Futuro

L’anno degli autocrati

Un 2022 all’insegna delle manifestazioni di potere assoluto: ma le percezioni non sono sempre realtà. I media hanno mostrato che la democrazia vive se coltiva i limiti del potere
Credit: Quarto potere, 1941
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29 dicembre 2022 Aggiornato alle 06:30

Non è successo tutto nel 2022. Ma quest’anno ha suonato un grande campanello d’allarme per le democrazie e i processi partecipativi. Non è certo la prima volta. Il punto è che questo è avvenuto a più dimensioni: il potere degli autocrati si è manifestato non solo nella politica, ma anche nella economia. È una dimostrazione ulteriore della complessità del contesto nel quale si sviluppa l’umanità del tempo presente: non una storia lineare che si dipana di fronte agli occhi del mondo ma una quantità di dinamiche e di punti di vista, una molteplicità di strutture scricchiolanti e di novità poco comprese. Il che rende più difficile l’interpretazione.

Chi sono gli autocrati? Non si tratta di persone che hanno un potere assoluto. Nessuno lo ha. Si tratta di persone che controllano un enorme potere e che lo possono usare in modo sproporzionatamente soggettivo, confrontandosi con la realtà solo dopo avere agito, avendo eliminato le opinioni critiche. Quest’anno gli autocrati hanno fatto guerre, rotto alleanze, distrutto forme di convivenza, cambiato il corso della globalizzazione.

Un teatro di confronto di enorme portata è stato quello dei mezzi di comunicazione. Ovviamente l’allarme è scoppiato con la guerra della Russia in Ucraina, la cui storia è stata raccontata in modi radicalmente diversi nei diversi Paesi. Il ricompattamento dell’Occidente, più apparente che reale, è stato visto dall’Europa e dagli Stati Uniti come un riflesso difensivo, mentre in Russia è stato percepito come una dimostrazione di aggressività. La separazione delle fonti di informazione, tra Europa e Russia, è stata radicale. Peraltro, paradossalmente analoga alla tendenziale separazione delle forme di accesso all’informazione sperimentata dalle diverse aggregazioni politiche che dividono le società occidentali.

Intanto, in Asia, in Africa, in Sudamerica, molti Paesi hanno cominciato a sviluppare punti di vista autonomi. Nigeria, Sudafrica, India, Israele, Turchia, Indonesia, hanno mostrato gradi di indipendenza forse inattesi per chi avesse creduto al contesto narrativo della globalizzazione a trazione americana. Cina e Iran hanno dimostrato di vivere in un loro mondo, ovviamente alternativo all’Occidente, ma solo per questo non troppo distante dalle scelte della Russia. E stanno gestendo le loro conflittualità interne in modi molto diversi: la Cina, apparentemente cedendo alla richiesta di allentamento delle politiche anti-pandemia, l’Iran tentando invece la via della repressione contro le proteste femminili relativamente ai diritti umani.

Le narrative, l’uso dei media, le forme di aggregazione sono essenziali nella riuscita di breve periodo delle varie politiche. In Cina, a quanto riferisce Rest of the World, l’organizzazione delle proteste è avvenuta con messaggi analogici, evitando il digitale. In Iran, il digitale è stato il luogo di partenza della protesta. La soggettività degli autocrati ha scelto ovunque strade relativamente autonome, interpretando contemporaneamente le esigenze dettate dal puro e semplice mantenimento del potere e gli interessi delle società che forniscono le basi di quel potere.

Molto meno sofisticati, gli aspiranti “autocrati” dell’Occidente, i proprietari che controllano pienamente le loro grandi piattaforme digitali, hanno mostrato la volontà di decidere soggettivamente ma non la capacità di interpretare gli interessi delle società che costituiscono le basi del loro potere. Nel 2022, Mark Zuckerberg e Elon Musk sono stati gli esempi più eclatanti.

Il fondatore di Facebook che ha acquisito Instagram e Whatsapp per poi rinominare tutto sotto il cappello di Meta, ha deluso chiunque sperasse di farsi ascoltare per consigliare strategie meno autoreferenziali in materia di metaverso. La vecchia Facebook attraversava certamente problemi insanabili di credibilità, la mossa di Zuckerberg di lanciarla in un contesto competitivo nuovo come il metaverso non è stata insensata: ma la quantità di denaro investito, l’incapacità di realizzare prodotti interessanti, la crescente frustrazione degli analisti finanziari, hanno condotto l’azienda su un piano inclinato sempre più ripido e bruciato oltre il 60% della capitalizzazione in un solo anno.

Un gruppo che era arrivato a 1.000 miliardi di dollari di valore, oggi viaggia intorno ai 300 miliardi. Ma Zuckerberg, apparente autocrate, non ha sentito ragioni e ha proseguito sulla sua strada, deludendo inserzionisti, utenti, finanziatori, partner e soci. Intanto, Elon Musk ha pensato bene di dimostrare tutta la sua soggettività autocratica con il gioco incomprensibile al quale ha condannato Twitter e i suoi utenti.

Non occorre ripercorrere puntualmente le tappe di una vicenda sconcertante, partita con l’arrogante proposta di acquisto della piattaforma per 44 miliardi, proseguita con la rinuncia all’affare, terminata nella conclusione dell’operazione sulla scorta di una incipiente condanna in tribunale. Dal momento dell’acquisizione, non è passato giorno che Musk non manifestasse il suo piglio autocratico, cacciando metà del personale, imponendo tempi di lavoro massacranti, definendo obiettivi assurdi che venivano cambiati ogni giorno, perdendo milioni di utenti e di dollari di budget pubblicitari, chiudendo gli account di giornalisti contrari alla sua condotta dopo aver riammesso Donald Trump, perdendo miliardi della sua ricchezza e il titolo di persona più ricca del mondo, lanciando plebisciti sempre più personali: fino all’ultimo nel quale ha chiesto se i suoi follower ritenessero che per lui fosse giunto il momento di lasciare la guida di Twitter e ottenendo una sonora risposta affermativa.

Gli autocrati, in un mondo complesso, incontrano presto la loro opposizione. Raramente questa è abbastanza forte e lucida da arrivare a rovesciarli, ma può intaccarne la credibilità, fondata sull’ipotesi del potere autoreferenziale.

Nel mondo delle reti, il più grande potere è quello che influenza le coscienze, dice Manuel Castells, grande pioniere della ricerca sulla società digitale. La più grande libertà dunque è quella di criticare e limitare il potere di influenzare le coscienze.

Sicché, mentre l’azione degli autocrati continua a dividere il mondo, i democratici scoprono che la loro vocazione è privilegiare ciò che unisce, il bene comune. In un contesto normativo che limita il potere. Le narrative divisive fanno guadagnare voti nel breve periodo ma intaccano il potere democratico nel lungo termine. Dopo un ventennio di errori, da questo punto di vista, le democrazie faranno bene a tornare a occuparsi dei problemi che accomunano i loro cittadini. Ce ne sono. Sono importanti. Sono i più importanti. Il cambiamento climatico è il primo della lista. Ma non certo l’unico.

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