Culture

L’anno della “crisi permanente”

“Permacrisis” è la parola dell’anno del 2022 secondo il dizionario di HarperCollins. «Un lungo periodo di instabilità e insicurezza», a cui hanno contribuito pandemia, guerra ed emergenza climatica
Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres al vertice del G20
Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres al vertice del G20 Credit: Christoph Soeder/dpa
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 3 min lettura
8 dicembre 2022 Aggiornato alle 20:00

«Un lungo periodo di instabilità e insicurezza, specialmente quello derivante da una serie di eventi catastrofici». È la definizione di “permacrisis”, eletta parola dell’anno 2022 dal Collins English Dictionary, il popolare dizionario inglese pubblicato dall’editore statunitense HarperCollins.

«Un termine che incarna perfettamente il senso vertiginoso di barcollare da un evento senza precedenti a un altro, mentre ci chiediamo cupamente quali nuovi orrori potrebbero essere dietro l’angolo», afferma l’autore David Shariatmadari sul blog ufficiale del dizionario.

In principio fu il Covid-19, che con la sua nemesi di calcolate restrizioni, lockdown forzosi e prudenti distanziamenti ha precipitato l’umanità in una sorta di metaverso realizzato, uno spazio alternativo che ha portato il corpo sociale dallo stato liquido a quello gassoso. Ma mentre l’horror vacui della pandemia sembrava alle ultime battute – era invece l’inizio degli sfiniti titoli di coda che ancora scorrono –, la guerra in Ucraina ci ha fatto rimpiangere l’assenza di contatti fisici.

In sottofondo, ineluttabile, il countdown dell’emergenza ambientale, che in apertura della Cop27 il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha definito «un’autostrada verso l’inferno climatico». Con pedaggi ancora più salati per i più poveri e la sensazione che la letteratura catastrofista non tarderà a darci saggi sempre più evidenti del guaio in cui ci siamo cacciati.

«Come sopportare tutto ciò?» si domandava su Elisabetta Ambrosi su La Svolta a marzo di quest’anno. «Il primo passo, per quanto doloroso, è accettare che siamo in una crisi permanente da cui non usciremo. Almeno non ora, non nei prossimi anni né forse decenni. Il secondo, cominciare a attrezzarsi per vivere nell’era delle emergenze. Cercando di ritagliarsi spazi privati, ma anche pubblici, dove le emozioni non schiacciate dalle continue crisi possano fluire ancora spontaneamente».

Attrezziamoci quindi, e intanto pensiamo a uscire come meglio possiamo dall’anno che sta per finire. È noto ma vale ripeterlo: la parola ‘crisi’ proviene dal greco krisis, ‘scelta’, a sua volta derivante da krino – da cui anche ‘critica’ o ‘criterio’ – che vale per ‘separare’, ‘distinguere’, quindi ‘decidere’, ‘giudicare’.

Se il concetto di crisi permanente, per paradosso, sconfessa la filosofia del progresso e sembra negarci perfino l’idea compensatoria di opportunità, ci invita però a riconsiderare il nostro ruolo di osservatori quali operatori di scelte. Affrontiamo minacce più grandi di noi? Il fanciullo Davide sconfisse il gigante Golia con una fionda. Ci vuole coraggio, ma anche saper usare bene gli occhi per prendere la mira.

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