Futuro

Piccola guida di sopravvivenza alla crisi permanente

Nell’epoca della continua emergenza è difficile pensare che “tutto tornerà come prima”. Forse è meglio attrezzarsi, innanzitutto psicologicamente, e trovare ciascuno i propri strumenti per superare - anche - la pioggia battente d’informazione
Credit: Tim Marshall, Unsplash
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6 marzo 2022 Aggiornato alle 08:00

Navigando in questi giorni sui social network si avverte un clima di grande angoscia. Le frasi più ricorrenti sono “e adesso però basta”, oppure “non andrà tutto bene, ma almeno che si esca da questo incubo”. Si avverte un sovraccarico emotivo che le persone fanno fatica a elaborare e sopportare. Dopo la pandemia, ora la guerra. C’è chi auspica tempi migliori “perché non può essere peggio così”, chi si dice anche convinto che torneremo presto alla leggerezza.

Purtroppo, così non è. Siamo entrati in un tunnel di emergenze, prima la pandemia, ora la guerra, che è destinato a esacerbarne altre. Se anche la pandemia e la guerra finissero, ci sarebbe comunque la crisi climatica, presto destinata a prendere le scene e con maggiore gravità perché irreversibile. D’altronde, era tutto già scritto. Che fossimo destinati a entrare in una fase caratterizzata da emergenza climatica, guerre e pandemia gli scienziati lo avevano scritto da tempo. Le crisi si reggono le une sulle altre – la guerra della Russia è anche una guerra dove centrali sono le risorse, dal gas al grano -, si intrecciano tra di loro, e ciascuna aggrava gli effetti dell’altra.

Cosa fare, dunque? La pressione psicologica ed emotiva di questi eventi su di noi, pure ancora non toccati direttamente, è pesantissima. Usciamo, appunto, da una pandemia logorante e ci troviamo di fronte una possibile guerra nucleare, mentre nel nostro Paese non piove da mesi. Come sopportare tutto ciò? Il primo passo, per quanto doloroso, è accettare che siamo in una crisi permanente da cui non usciremo. Almeno non ora, non nei prossimi anni né forse decenni. Il secondo, cominciare ad attrezzarsi per vivere nell’era delle emergenze. Cercando di ritagliarsi spazi privati, ma anche pubblici, dove le emozioni non schiacciate dalle continue crisi possano fluire ancora spontaneamente.

Ciascuno può trovare i propri. Può essere utile senza dubbio farsi aiutare a livello psicologico, anche se oggi occorrono sempre più specialisti che sappiano collegare la nostra paura, e a tratti disperazione, non solo ad ancestrali conflitti interni ma anche a pericoli reali.

Una mano importante può venire dalla cultura. Leggere, anche rispetto alle crisi e alle sofferenze del passato, lenisce l’ansia, la relativizza, in qualche modo. Ci aiuta a capire meglio e dunque, anche, a sentire meglio, come aiuta avere, per chi ce l’ha, una vita spirituale, che sempre più appare necessaria. Dobbiamo trovare il nostro tempo, il nostro passo rispetto a ciò che accade, una via di mezzo complicata ma necessaria tra l’osservazione-accettazione di ciò che accade e un umanissimo tentativo di proteggersi, anche per evitare di stare ancor più male. Cosa che non aiuterebbe né la soluzione delle crisi né noi stessi.

Ma c’è un problema, anzi un ostacolo, su questa nostra strada di compromesso, nell’epoca delle emergenza. E si chiama sistema mediatico. Sono stata sinceramente scioccata dalla rapidità con cui si è passato dal parlare, sui grandi giornali e i relativi siti, più o meno del nulla, ovvero della politica italiana, a una copertura massiccia della crisi bellica, a cui i giornali da giorni e giorni dedicano le prime trenta pagine. Siamo passati - in maniera francamente un po’ surreale - da non sapere dov’è l’Ucraina al parlare dei “nostri fratelli ucraini”. Mi sono anche chiesta se questa copertura che ci avvisa dell’avanzamento delle truppe su Kiev chilometro per chilometro, ci mostra le foto straziate delle vittime, ci tiene sul filo angosciato di una imminente guerra nucleare sia davvero utile. Mi sono anche chiesta perché fino a ieri la stampa avesse ignorato una crisi che, come tutte le crisi, nasce molto prima del suo scoppio, salvo poi gettarsi a raccontarla senza lasciare spazio ad altro.

Ci sarebbero stati molto più utili articoli preventivi – la stampa può e deve fare prevenzione - che ci preparassero al possibile conflitto, che ci spiegassero che poteva accadere. Articoli che avrebbero dovuto uscire mesi fa e sempre in prima pagina. Invece la nostra informazione semplicemente rincorre i fatti e lo fa in modo ansiogeno e deleterio. Io non credo che la nostra mente possa sopportare tutti i titoli che io ho letto questi giorni. “Sarà sempre peggio”, “Presto cadranno anche altri Paesi”, “La guerra arriverà in Europa”, “Catastrofe nucleare” e altro ancora. Non abbiamo gli strumenti emotivi per gestirli, soprattutto per digerirli.

Paradossalmente, proprio ai tempi delle emergenze ci serve un’altra informazione. Diversa. Non la cronaca martellante e piena di ansia, non foto continue di distruzione e morte. Servono altri racconti. Altre analisi. Difendersi da tutto ciò è difficile ma sicuramente un primo passo che possiamo fare è staccarci da questo flusso angosciante. Scegliere con cura le fonti che ci interessano, leggere meno, molto meno siti dai titoli distruttivi. Anche questo è un primo passo per poter andare avanti. Anche questo è un primo passo per sopravvivere nell’epoca delle crisi permanenti.