Culture

Poche e stereotipate: le donne nella cultura italiana

Squilibri di potere, sottorappresentazione femminile e gender pay gap: secondo il primo rapporto dell’Osservatorio del MiC, la parità di genere nel settore culturale è ancora lontana
Credit: Cottonbro Studio/pexels
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 7 min lettura
24 novembre 2022 Aggiornato alle 14:00

Pensiamo spesso che quello della cultura sia un universo a sé, capace di ospitare e trasmettere valori più alti delle nostre comuni miserie. Eppure, se guardiamo al mondo delle arti con la lente della parità di genere e della rappresentazione delle donne, le cose non vanno molto meglio rispetto a tutti gli altri ambiti.

Secondo il primo rapporto annuale sulla parità di genere nel mondo della cultura diffuso il 22 novembre, curato dall’Osservatorio interno al MiC, infatti, “risulta rilevante il gender gap nel mondo del cinema e dell’audiovisivo nel nostro Paese”, un gap che si estende anche a tutti gli altri ambiti del settore culturale.

Il report, dal titolo La questione di genere tra immaginario e realtà, è il primo frutto delle ricerche dell’Osservatorio per la parità di genere del MiC, istituito il 24 novembre 2021: è infatti un’analisi del gender gap nei diversi ambiti culturali, ma ha un focus sul cinema e l’audiovisivo grazie al lavoro congiunto della Direzione generale cinema con l’Istat.

«Dalla Relazione - ha sottolineato la coordinatrice dell’Osservatorio Celeste Costantino - viene fuori una condizione di squilibrio generalizzata nei vari ambiti con alcuni dati incontrovertibili: disparità di potere tra uomini e donne, sottorappresentazione femminile nei prodotti culturali e squilibrio nelle retribuzioni tra uomo e donna».

Poche, e malpagate

Se guardiamo solo al mondo dell’audiovisivo, è evidente fin da un’occhiata superficiale ai dati quanto lo squilibrio di genere sia radicato e, soprattutto, come sia emanazione (e al contempo replicazione) degli stereotipi di genere applicati alle professioni.

È di 1 a 10, infatti, il rapporto tra le donne e gli uomini nella regia dei lungometraggi, mentre le donne nella sceneggiatura, nel montaggio e nella produzione sono circa il 25%, una percentuale che scende tra il 10 e il 16% per chi sul set si occupano di fotografia, musica ed effetti speciali. Le donne sono in maggioranza soltanto nel trucco (73%), nella scenografia (58%) e nei costumi (82%).

La presenza femminile è più elevata nella direzione di documentari (21%) e cortometraggi (17%) rispetto ai lungometraggi, dove la percentuale di donne non raggiunge neppure la doppia cifra (9%).

E se alcune cose si muovono, lo fanno troppo lentamente: “l’analisi del trend dal 2017 al 2021 fa emergere per molti settori una situazione di sostanziale stabilità, per altri (regia, musiche, scenografia, effetti speciali), segnali deboli di una riduzione del gender gap, ma il cammino verso una parità di genere appare ancora lungo”.

Poche, e mal rappresentate

Se le donne che lavorano in cinema e tv sono poche e meno pagate dei colleghi uomini, anche quelle che appaiono sugli schermi non godono di un trattamento migliore. Dall’analisi di uno studio commissionato dalla Rai (i cui risultati sono riportati nel report di Monitoraggio sulla rappresentazione della figura femminile, sulla capacità di garantire il pluralismo di temi, soggetti e linguaggi e contribuire alla creazione di coesione sociale nella programmazione Rai trasmessa nell’anno solare 2021), emerge una forte sottorappresentazione delle donne in tutte le tipologie di programmi televisivi: la presenza femminile raggiunge il 40% solo nei programmi di intrattenimento e fiction di produzione Rai mentre, per esempio, si ferma ad appena il 15,8% nei programmi sportivi.

Significativa è anche l’assegnazione dei ruoli nei film e nelle fiction: “sono 4 su 10 i ruoli cosiddetti centrali o rilevanti attribuiti alle donne, ma la differenza diventa maggiore per i ruoli di personaggi over 65 quando alle donne viene assegnata solo il 25% delle parti in scena”.

Il problema, poi, non è tanto (o meglio, non solo) la sottorappresentazione, ma il tipo stesso di rappresentazione proposta: “la presenza femminile domina, come prevedibile, rispetto agli uomini, all’interno dei ruoli femminili tradizionali, legati alla famiglia e alla funzione di caregiver (nella “cura della casa” il rapporto è 14.8 contro 85.2). Al contrario le donne continuano invece a essere fortemente sottorappresentate in tutta una serie di ruoli professionali non solo tra quelli stereotipicamente considerati a dominazione maschile (figura ingegneristica, imprenditoriale, etc.), ma anche in ruoli professionali a forte connotazione femminile (figure sanitarie, del mondo della scuola, etc)”.

Poche, ancora troppo poche

Il focus del rapporto è sul mondo del cinema e dell’audiovisivo, ma tutto il comparto culturale non brilla per parità di genere. “L’invisibilità delle donne nel mondo dell’arte è infatti una realtà purtroppo evidente”, ammettono laconicamente i redattori del report. I dati non sono recentissimi, ma già lo studio Donne Artiste in Italia. Presenza e rappresentazione del 2018, aveva mostrato come, nonostante il 66,7% degli iscritti alle accademie di Belle Arti sia donna, appena il 18% delle opere esposte nelle gallerie è stato realizzato da artiste.

Un gap artistico di genere che si estende anche alla selezione delle istituzioni museali: meno di 1 mostra su 5 riguarda le artiste. E lo stesso vale per le aste e quindi per il mercato. Non solo: “come peraltro accade in molti altri settori, più si sale verso posizioni di vertice, più il soffitto di cristallo si ispessisce e la presenza femminile diminuisce”.

La presenza maschile domina anche i settori che tradizionalmente siamo portati ad associare alla femminilità, come il balletto. Eleonora Abbagnato, ballerina, è l’unico esempio in Italia di direttrice di teatro: sono in maggioranza gli uomini a rappresentare le donne, a plasmarle e a dirigerle. “È evidente che il punto di vista delle donne farà fatica a emergere”.

Dal balletto al teatro, aggiunge il report, “purtroppo la situazione non cambia di molto sia per quanto riguarda le direzioni artistiche e i ruoli apicali sia per una concezione del corpo delle donne”. La media nazionale della presenza femminile nei principali teatri è del 32,4%: differenziata per ruolo, l’incidenza delle donne è più elevata per le attrici (37,5%) e molto più bassa per le registe (21,6%) e le drammaturghe (20,7%).

Stesso discorso vale per la musica, secondo i dati diffusi da Alessandra Micalizzi, docente di Sociologia dei nuovi media presso il SAE Institute di Milano: «Non arriva al 3% il numero di donne che produce; le cantanti professioniste sono sotto il 30% rispetto al panorama musicale di oggi; nell’industria discografica c’è spazio per le donne fino a un certo punto e solo in certi ruoli; le autrici di musica e testi, almeno in Italia, sono meno del 10%. E questi numeri non raccontano il panorama di ambiti musicali di nicchia o di secoli addietro. Sono numeri recenti».

E quindi?

Il report racconta lo stato dell’arte, ma come cambiare le cose? Innanzi tutto, spiegano i relatori, “la prima cosa che dovrebbe fare la collettività è non negare più il problema. Troppo spesso la questione di genere viene derubricata, messa da parte o addirittura ridicolizzata”. La soluzione delle quote rosa – che “in alcuni settori ha portato notevoli risultati” – per la cultura non può rappresentare la cura a un problema endemico: è necessario partire dai dati per aprire una riflessione più ampia.

Come per il settore STEM, anche per quello della cultura, è necessario che le ragazze abbiano dei modelli a cui ispirarsi. Più in generale, “quello che serve – oltre al lavoro indispensabile delle istituzioni governative e culturali – è una rivoluzione culturale che contribuisca a cambiare le distorsioni del pensiero comune. […] Partire dal lavoro nelle scuole, è lì che avviene la formazione e che oltre alla famiglia si diffondono e impongono modelli culturali sbagliati”.

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