Diritti

Nella sanità il gender gap può costare la vita

Secondo il rapporto della British Heart Foundation, i pregiudizi sessuali verso le donne rischiano di compromettere gli interventi medici. Aumentando la probabilità di morte e diagnosi errate
Credit: Vidal Balielo Jr/Pexels
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
21 settembre 2022 Aggiornato alle 15:00

In alcuni settori, come quello sanitario, il divario di genere può essere letale. Secondo la British Heart Foundation (Bhf) – un ente di beneficenza per la ricerca cardiovascolare nel Regno Unito – una donna ha il 50% di probabilità in più rispetto a un uomo di ricevere una diagnosi iniziale sbagliata per un attacco di cuore.

Non solo. Secondo un rapporto sui “bias biologici” realizzato dalla fondazione britannica, infatti, le donne hanno meno probabilità degli uomini di ricevere una serie di trattamenti potenzialmente salvavita in modo tempestivo, e a seguito di un infarto è meno probabile che alle donne vengano prescritti farmaci per prevenire un secondo infarto.

Nel Regno Unito ogni anno vengono ricoverate oltre 30.000 donne a causa di infarto. Nonostante le donne abbiano il doppio di probabilità di morire di malattia coronarica – la principale causa di infarto – rispetto al cancro al seno, la questione continua a essere sottostimata. Ma il problema non riguarda solo i casi di attacco cardiaco.

Uno studio del dicembre 2021 eseguito su un campione di 1,3 milioni di pazienti ha rivelato che in casi di intervento chirurgico le donne hanno il 15% in più di probabilità di subire un esito negativo e il 32% di probabilità in più di morire quando a eseguire l’operazione è un uomo anziché una donna.

«Questi risultati sono preoccupanti perché non dovrebbero esserci differenze sessuali nei risultati dei pazienti indipendentemente dal sesso del chirurgo», ha dichiarato la dottoressa Angela Jerath dell’Università di Toronto, coautrice della ricerca, che ha attribuito agli uomini «pregiudizi sessuali impliciti» e «atteggiamenti inconsci e profondamente radicati».

A contare tuttavia non è soltanto il sesso, ma anche il genere. Pazienti che mostravano tratti associati alla femminilità, indipendentemente che si trattasse di maschi o femmine, hanno riscontrato una probabilità quattro volte maggiore di tornare in ospedale con sintomi ricorrenti dopo essere state dimessi.

A incidere è anche il numero più elevato di cardiologi maschi rispetto alle donne che scelgono di intraprendere la professione. Negli Stati Uniti oltre il 50% di chi frequenta una scuola di medicina è di sesso femminile, ma a essere cardiologhe interventiste sono solo il 4,5% delle donne.

Da un sondaggio sulle preferenze di carriera di tirocinanti statunitensi ambosessi realizzato da Jama - Journal of the American Medical Association - , emerge che il 62,6% delle donne non ha mai preso in considerazione una carriera in cardiologia, mentre la percentuale di uomini che hanno scartato questo percorso scende al 37%.

Disparità si registrano anche in Italia. Un’analisi condotta sulle abitudini lavorative e la vita privata dei cardiologi interventisti affiliati al Gise - Società Italiana di Cardiologia Interventistica -, ha messo in luce come sebbene «le donne rappresentano una percentuale crescente di cardiologi interventisti in Italia rispetto ad altri Paesi», tuttavia «esistono lacune nella comprensione e nell’adattamento all’impatto di questi mutevoli dati demografici».

La ricerca ha evidenziato in particolare come le donne erano più frequentemente non sposate (22,1% contro 8,7% uomini) e senza figli (43,9% contro 56,1%). Inoltre il 69,8% delle donne ha affermato che gravidanza e allattamento hanno un impatto negativo sullo sviluppo delle capacità professionali e sull’avanzamento di carriera.

«Sarebbe un errore non incoraggiare le donne laureate in medicina a essere più coinvolte nella professione e avere ambizioni», ha dichiarato ai microfoni del quotidiano Senti chi parla Barbara Casadei, ex presidentessa della Società Europea di Cardiologia (Esc) e docente di Medicina cardiovascolare presso la Bhf.

«Sono già diversi anni che le studentesse di medicina sono più degli studenti – ha aggiunto Casadei –, e credo che debba essere compiuto ogni sforzo possibile affinché le donne mediche siano parte integrante delle infrastrutture sanitarie».

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