Culture

Arte: restituire le bellezze

Gli egiziani chiedono a gran voce il rimpatrio della Stele di Rosetta, conservata al British Museum dal 1802. Non sono gli unici a desiderare la restituzione di opere cedute o trafugate in passato
La Stele di Rosetta, conservata al British Museum di Londra dal 1802
La Stele di Rosetta, conservata al British Museum di Londra dal 1802 Credit: Via britishmuseum.com
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
21 novembre 2022 Aggiornato alle 09:00

Quando scienziati e archeologi riuscirono a decodificare i geroglifici egizi circa 200 anni fa, grazie alle 3 grafie incise nella Stele di Rosetta, non sapevano che quella stessa testimonianza avrebbe potuto essere causa di discordia per i popoli futuri. Una petizione firmata da più di 2.500 archeologi chiede che il più famoso reperto conservato al British Museum faccia ritorno a casa.

La lastra datata 196 a.C. che riporta delle iscrizioni dello stesso testo in geroglifico, greco antico e demotico, un’antica scrittura egizia, venne scoperta durante la campagna napoleonica in Egitto e poi usata dal francese Jean-Francois Champollion per decifrare la scrittura egizia e comprendere al meglio la cultura dei Faraoni. È nelle mani degli inglesi dal 1801, quando l’imperatore Napoleone la cedette come parte del Trattato di Alessandria insieme ad altri 16 manufatti trovati dai francesi ed è esposta al British Museum dal 1802.

Secondo la petizione, “non solo l’Egitto era sotto l’occupazione dell’Impero Ottomano e non aveva voce in capitolo né sovranità sul proprio patrimonio culturale, ma gli articoli del trattato di Alessandria violano il diritto delle nazioni, le leggi internazionali consuetudinarie e le leggi islamiche applicabili all’epoca. […] La storia non può essere cambiata, ma può essere corretta”.

Migliaia di archeologi esortano il primo ministro egiziano Mostafa Madbouly a “lavorare con mezzi diplomatici e legali” per recuperare tutte le antichità cedute agli inglesi. Gli oggetti sarebbero parte integrante del patrimonio nazionale egiziano e “la loro continua esposizione ignora deliberatamente una storia di saccheggio e sfruttamento colonialista”.

Ma, secondo il gruppo, questa potrebbe essere “una grande opportunità per la Gran Bretagna […] di scegliere di seguire i principi morali piuttosto che il profitto e sostenere la guarigione delle ferite inflitte dalle potenze coloniali”.

Come spiega l’emittente statunitense National Public Radio, non è la prima volta che viene chiesta la restituzione della Stele di Rosetta: nel 2010, dopo che il Metropolitan Museum di New York dichiarò che avrebbe restituito 19 piccoli oggetti dalla tomba di Tutankhamon, l’esperto di antichità egizie Zahi Hawass disse che “tutto ciò che se ne è andato illegalmente dovrebbe tornare in Egitto”. Ma la sua voce non venne ascoltata.

Non è nemmeno la prima volta che qualcuno invoca il rimpatrio di un’opera d’arte: pensiamo alla Gioconda, dipinta da Leonardo da Vinci, portata dallo stesso artista in Francia nel 1516 e venduta all’allora re Francesco I. Si trova al museo del Louvre di Parigi dal 1804, dopo la Rivoluzione francese, ma non è stata trafugata né sottratta illegalmente.

Una più recente diatriba sulla restituzione delle opere d’arte vede protagonisti i marmi del Partenone e, anche stavolta, il British Museum di Londra. Fu Thomas Bruce, conte di Elgin e ambasciatore scozzese in Grecia, a sottrarli nel 1801 dal tempio che sorge sull’acropoli di Atene. Si trovano nel museo dal 1817.

Di recente, il presidente George Osborne si è espresso duramente sulla loro restituzione: «Sentiamo le voci che chiedono la restituzione. Ma la creazione di questo British Museum universale è stato il lavoro dedicato di molte generazioni. Smantellarlo non deve diventare l’atto negligente di una sola». Osborne, che ritiene che Lord Elgin li abbia acquistati legittimamente, ha invocato il British Museum Act del 1963, che limita la cessione del patrimonio museale.

Anche la Nigeria ha esortato i britannici a restituire dei manufatti del Benin custoditi a Londra e sottratti dall’impero inglese alla fine del 1800. Il bottino di guerra venne poi spedito a circa cinquanta musei europei e nordamericani. Il ministro della cultura Lai Mohammed ha esortato il British Museum a imitare la mossa dello Smithsonian Institution di Washington, che a ottobre ha restituito al Paese 29 bronzi del Benin. Gli americani hanno preso spunto, a loro volta, da un accordo tra Nigeria e Germania, che a luglio ha ridato ai legittimi proprietari un migliaio di reperti nigeriani sparsi in vari musei tedeschi, tra cui l’Humboldt Forum di Berlino.

Non è sempre facile stabilire se le opere d’arte siano state saccheggiate o acquistate legalmente, ma il tema della restituzione di ritrovamenti e manufatti sottratti durante il colonialismo è all’ordine del giorno. Alcuni, come il British Museum, credono nell’idea del museo universale. Altri, come l’Humboldt Forum di Berlino, accettano che le opere tornino nel loro Paese d’origine. Chi ha ragione?

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