Ambiente

Il purè su Monet ci sdegna, la devastazione ambientale no

L’indignazione che genera il gesto dello sfregio calcolato sulle storiche opere d’arte non trova un corrispettivo quando costruiamo una nuova pista d’aereo che devasta la brughiera. Perché?
Credit: Last Generation via AP
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28 ottobre 2022 Aggiornato alle 06:30

Due attiviste ambientali del movimento Just Stop Oil hanno lanciato il 14 ottobre dei barattoli di zuppa di pomodoro Campbell sul capolavoro di Van Gogh, Girasoli, in mostra alla National Gallery di Londra. Richiesta: l’immediata cessazione di qualsiasi nuovo progetto petrolifero o legato al gas.

Domenica 23 ottobre due attiviste del gruppo ambientalista tedesco Letzte Generation (“Ultima generazione”) hanno imbrattato con del purè di patate un quadro di Monet nel Museo Barberini di Potsdam. Richiesta: agire sulla crisi climatica subito. Il 22 luglio scorso in Italia un gruppo di attivisti si era incollato al vetro che protegge La Primavera di Sandro Botticelli.

In nessun caso si è registrato danno alcuno. «La gente è affamata, ha freddo, muore. E tutto ciò di cui siete preoccupati sono una salsa di pomodoro o un purè su un quadro. Sapete per cosa sono preoccupata io? Sono preoccupata perché la scienza ci dice che non potremo dare da mangiare alle nostre famiglie nel 2050», spiega una delle due attiviste di Postdam. “Cosa vale di più, la vita o l’arte?”, hanno reclamato gli attivisti londinesi.

Da molte parti queste azioni sono state criticate, soprattutto dal mondo ambientalista. Come il bravo Nicolas Lozito che si è interrogato dalle pagine della sua newsletter sulla reale efficacia di azioni di questo tipo. “Ha senso? Io continuo a credere che siano inutili e dannosi alla causa, perché tra Van Gogh, Botticelli, Leonardo e, dall’altra parte, gli attivisti… chi vorrebbe mai schierarsi contro l’arte?”, ha scritto il giornalista, dando voce a una preoccupazione giusta. Meglio non radicalizzare e spaventare tanti che supportano la causa ma credono in una trasformazione graduale e progressiva.

Molte e molti ambientalisti hanno ribadito che servirebbe una revisione della strategia (zuppa contro i petrolieri, oppure contro i grandi ricchi del pianeta, anche se personalmente userei direttamente del petrolio), azioni simboliche forti, anche di sabotaggio. E indubbiamente l’attivismo prenderà sempre più una dimensione diretta, fisica, di azione a supporto di un’idea molto forte, come la ribellione all’estinzione, la difesa del futuro.

Analizziamo però sotto un’altra lente quanto accaduto nei templi dell’arte: se provassimo a leggere il gesto come una riflessione importante da cogliere sulla bellezza, al di là dell’efficacia dell’azione o meno. Non preoccupiamoci per un momento se il gesto può rischiare di alienare più persone invece che avvicinarle alla causa climatica. Interpretiamolo invece come una performance, di cui la stessa arte fino a ora è stata incapace (e che ha fatto poche riflessioni artistiche sul gesto), per discutere della crisi climatica e di come la interpretiamo sul serio.

Se al posto delle due giovani attiviste ci fosse stato un’artista famosa come avremmo letto il gesto? La cruda violenza dell’assalto al bello artificiale di Monet da parte dei clima-attivisti è parallela alla brutalità del nostro assalto alla natura e alla sua bellezza. L’indignazione che genera il gesto dello sfregio calcolato sulle storiche opere d’arte non trova un corrispettivo quando costruiamo un nuovo impianto sciistico in mezzo alle alpi, una nuova pista d’aereo che devasta la brughiera, un nuovo capannone che devasta un bosco mediterraneo, un nuovo porto che elimina costa marina. Siamo assuefatti a colate di cemento, di asfalto, di fumi tossici, di centri commerciali e infrastrutture di ogni tipo. Non capiamo che ogni giorno versiamo ben di peggio di una zuppa Campbell scaduta sul nostro pianeta.

Leggiamo dunque questo gesto simbolico su Monet nella sua parte più profonda, in una critica dura alla nostra incapacità di indignarci di fronte al nostro scempio ambientale oltre che alla nostra incapacità di dare priorità alle azioni politiche.

Cosa viene prima?

La decarbonizzazione o il nostro diritto a divertirci? Lo sviluppo economico delle classi più ricche o il benessere di tutt* domani?

Questa è la riflessione che mi ha ispirato il gesto di queste giovani donne. E che forse avremmo dovuto leggere con un’ottica migliore invece di arrabbiarci subito come richiedono i giorni dell’ira dei social media. Capire che ruolo ha l’arte oggi nel denunciare la crisi climatica? Chiedersi quanto è urgente la rabbia delle nuove generazioni? Chiedersi perché reagiamo così solo davanti a un’opera d’arte e non allo sfacelo della natura?

Non credo serviranno più azioni dirette contro l’arte, che hanno avuto il loro effetto, ovvero di scuotere un dibattito duplice, da un lato sull’azione diretta degli attivisti (che vede un costante crescendo in tutto il mondo), dall’altro sulle priorità della nostra etica (preoccuparci di cosa davvero?).

Dobbiamo però aprire un dibattito più amplio sulla questione delle azioni dirette, non violente, di sabotaggio, quando si creano evidenti situazioni di stallo ai progressi climatici e ambientali (come accaduto a esempio in Brasile).

Andreas Malm nel suo How to Blow Up a Pipeline ha dimostrato come una delle vie del climattivismo del futuro potrà passare non per l’azione nonviolenta ma per azioni di sabotaggio dirette.

L’azione politica, civile ed economica globale dovrebbe continuare ad accelerare seriamente la transizione ecologica e la lotta contro la perdita di biodiversità – su questo per altro non si vedono molti attivisti.

Se i paesi saranno in grado di fermare l’assalto alla bellezza del pianeta (e alla sicurezza e benessere delle generazioni future), azioni dirette e di sabotaggio non saranno necessarie.

Altrimenti, quando le temperature medie globali avranno superato i 2,5°C a meta secolo le zuppe Campbell e il purè di patate nei musei saranno bazzecole di fronte alle vaste tensioni sociali e politiche che inevitabilmente la distruzione del sistema planetario porteranno.

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