Ambiente

Cos’è l’inattivismo ambientale

Dopo la COP26 di Glasgow, nel 2021, l’allarme climatico è sparito dai media. Sostituito con una comunicazione rassicurante, che anche il grande climatologo Michael Mann definisce “una strategia subdola”: un modo per far passare in secondo piano la necessità di azioni collettive. E dividere gli attivisti tra di loro
di Sergio Ferraris
Sergio Ferraris Direttore della rivista Nextville
Tempo di lettura 4 min lettura
10 febbraio 2022 Aggiornato alle 16:00

La dinamica è sempre la stessa. Grande esposizione mediatica poco prima dell’appuntamento sul clima, prima delle famose “COP” (le conferenze delle Nazioni Unite su climate change), dopo di che l’argomento sprofonda nel silenzio, fino all’anno dopo.

Una modalità che nel 2021 è stata lievemente modificata vista l’uscita del report dell’Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale (IPPC) ai primi d’agosto, dal quale è emerso che la situazione climatica è ben più grave di quella stimata durante l’accordo di Parigi del 2015, dove si fissò il limite dei 2°C al 2100.

Il risultato del report ha portato a ridefinire l’obiettivo, durante la COP 26 di Glasgow, portandolo a 1,5°C. Ma poi ci si è incagliati sulle prime questioni “pratiche”, come il diritto di Cina e India d’emettere più CO2, in virtù del fatto che la quota d’emissione storica procapite con la quale noi, Paesi sviluppati, abbiamo incrementato il nostro benessere è enormemente più alta di quella utilizzata da cinesi e indiani. Per non parlare di altri Stati in via di sviluppo come quelli africani.

Clima e media

Una volta fissato l’obiettivo di 1,5°C e comunicato il fatto che per raggiungerlo si deve intervenire entro i prossimi 8 anni con riduzioni drastiche, sancite anche dagli obiettivi europei al 2030 che prevedono una riduzione del 55% delle emissioni, l’allarme climatico è semplicemente sparito dai media, sostituito con una comunicazione sull’ambiente rassicurante.

E così, anche in Italia ora siamo di nuovo passati dalla fase dell’allarme a quella della “valorizzazione” dei comportamenti individuali - che ci ha accompagnato per anni con la retorica delle buone notizie per l’abbattimento delle emissioni - ma che forse sarebbe meglio chiamare individualistici: una sorta di distrazione di massa che è «una delle strategie più subdole degli “inattivisti” che, oltre a far passare in secondo piano la necessità di azioni collettive come dare un costo alle emissioni, regolamentarle, eliminare i sussidi alle fossili o incentivare le fonti rinnovabili, divide gli attivisti tra di loro», scrive Michael E. Mann nel suo volume La nuova guerra del clima (Edizioni Ambiente).

Del resto «il concetto d’impronta di carbonio individuale è stato promosso dalla compagnia petrolifera BP una decina d’anni fa» prosegue Mann. E la nostra compagnia petrolifera di bandiera si è recentemente adeguata con una campagna di comunicazione a hoc proprio prima della Cop 26.

Clima e prezzi

Ecco allora, per tornare in Italia, che con la crisi dei prezzi dell’energia fossile di questi giorni abbiamo visto da parte del Governo l’utilizzo di un complesso di armi di distrazione di massa tese esattamente a sviare l’opinione pubblica, dalle fonti rinnovabili, che oltretutto non sono state adeguatamente pianificate a livello politico, dando loro la colpa dei rincari in bolletta, grazie agli extraprofitti. Un po’ come se negli anni 20 del secolo scorso si fossero tassate le autovetture di Henry Ford visto che l’omonima casa automobilistica realizzava “extraprofitti” a scapito delle carrozze a cavalli.

E oltre agli “extraprofitti delle fonti rinnovabili” sono stati anche distolti i proventi dell’Emissions Trading, che sono i fondi che le imprese energivore devono pagare per poter emettere CO2 oltre la quota stabilita, e che andrebbero usate per il riassorbimento di queste emissioni. Ma oltre alla “distrazione” c’è anche il negare il problema nel decreto in questione. La quota di sussidi alle fonti fossili levata dal Governo è insignificante: 120 milioni di euro contro 18 miliardi.

Clima e inazione

E nel frattempo prosegue l’inazione. Di semplificazione amministrativa per favorire le rinnovabili non c’è l’ombra, mentre il nuovo Pniec (il Piano energia e clima) che dovrebbe adeguare gli obiettivi di riduzione delle emissioni ai nuovi target europei e il decreto FER2, che dovrebbe dare impulso alle nuove rinnovabili, sono persi tra le nebbie dei corridoi ministeriali del nuovo MITE che stenta a trovare non solo un’identità, ma semplicemente una metodologia d’azione.

Nel frattempo la CO2 aumenta. Le previsioni per il 2022 appena in iniziato sul fronte delle emissioni sono cupe. Dopo l’aumento delle emissioni del 4,9% nel 2021, praticamente lo tesso livello del 2019 prepandemia, sono molti ad aspettarsi quest’anno un nuovo balzo visto che l’alto prezzo di gas e petrolio dovrebbe spingere a livello globale all’aumento dell’utilizzo del carbone. E l’Italia si associa alla tendenza delle nazioni più arretrate valorizzando i fossili, nello specifico il costoso gas naturale, a scapito delle rinnovabili.

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