Ambiente

Crisi climatica: sette motivi per cui non scendiamo in piazza

Dalla tendenza a negare le crisi fino alla responsabilità dei media. Una guida per comprendere il nostro problema con la gestione del climate change
Credit: NBC News

Non è difficile intuire come la crisi climatica rappresenti la più grande minaccia alla nostra esistenza, sia pubblica che individuale.

Le scene di questi giorni – incendi, negozi chiusi per il caldo, torrenti di grandine, nubifragi, devastazione e morte – ne hanno dato l’ennesima, tragica, dimostrazione.

Eppure, anche di fronte a un rischio concreto di morte, anche se la crisi climatica non si arresta – e al netto dei giovani ambientalisti che hanno continuato tutta l’estate a mobilitarsi e mettere in atto proteste di ogni tipo, anche con conseguenze pesanti sulle loro vite – il resto della popolazione sembra inerme.

Nessuno scende in piazza per il clima. Come mai? Ecco alcune possibili risposte.

Il peso dell’ignoranza

Questo punto vale per una parte della popolazione, non per tutta.

Si tratta di quelle persone che, non certo per loro colpa, non sanno esattamente a quali rischi vanno incontro, non sono consapevoli di essere realmente in pericolo.

Spesso si tratta di individui, famiglie o gruppi più segnati dalla povertà, e dunque focalizzati – e come potrebbe essere altrimenti – sulla sussistenza.

Ma non tutti i “climaticamente ignoranti” sono poveri.

Talvolta sono solo persone meno istruite, e va detto che, pur essendo ormai i segni della crisi evidenti a tutti, il tema del clima resta comunque un tema complesso.

Anche se di clima si parla ai mercati, nelle piazze, anche se in molti intuiscono che si tratta di una cosa grave non sanno fino a che punto.

E dunque perché scendere in piazza per qualcosa che non si sa esattamente cosa sia?

La responsabilità infinita dei media

Perché dovremmo preoccuparci della crisi climatica se i media non ne parlano? O se se ne parla come una notizia tra le altre, ma l’apertura è sempre sul sistema politico, i partiti, le polemiche, ma niente che faccia presagire che siamo a rischio di vita?

Le persone tendono a dare fiducia ai media, per pigrizia, o per buona fede, per molte ragioni.

Basterebbe che giornali e tv aprissero davvero con la crisi climatica e con i modi per contrastare perché l‘attenzione cresca e con essa la protesta verso quei leader che non fanno nulla per essa. E allora perché le persone dovrebbero scendere in piazza quando le notizie sul clima vendono derubricate a pagina venti?

La tendenza alla negazione delle crisi

La psicologia umana tende a negare le crisi. Anche quelle piccole, figuriamoci quelle enormi, figuriamoci quelle che mettono in discussione l’esistenza.

Purtroppo, molti fattori aiutano questa naturale tendenza a non voler vedere gli aspetti negativi, conflittuali, a volte tragici.

I media che non raccontano la crisi, come è stato già detto, ma in generale tutto ciò che indebolisce il nostro spirito critico.

Il sistema consumistico purtroppo peggiora la capacità di visione, perché chi ci spinge all’acquisto continuo prospetta sembra il consumo, e tutto il resto, in maniera eccitante e positiva.

Basti vedere il mondo delle pubblicità: c’è da restare senza parole a vedere quanto siano distanti dalla vita reale, anche per il modo in cui usano voci quasi sempre femminili e eccitate, su di giri, rassicuranti, come se un prodotto potesse mai garantirci di essere al sicuro.

Questo ottundimento dello spirito critico vale per tutti i drammi, ma ovviamente per la crisi climatica ha conseguenze ancora peggiori.

Perché scendere in piazza quando questo significa ammettere una crisi che tutto il sistema in cui siamo nega?

La convinzione di essere immortali

Avendo cancellato culturalmente la consapevolezza della mortalità non possiamo credere a una crisi che ci mette di fronte alla nostra finitezza. In parte il covid ci ha costretto a pensarci, ma soprattutto perché i media ce lo hanno ricordato, oltre che la politica. Con la crisi climatica invece siamo lasciati in balia delle nostre paure, dei nostri terrori senza che nessuno se ne faccia carico. La paura di morire, di soccombere diventa allora troppo grande perché riusciamo a gestirla.

Come possiamo accettare la possibilità di una morte magari violenta quando – complice anche la laicizzazione della vita – non riusciamo più a concepire un termine della vita? Come possiamo scendere quando questo significherebbe ammettere che non viviamo per sempre, mentre la nostra cultura – che ha dimenticato ogni forma di rapporto con la fine, ma anche con il non noto, ciò che ci sovrasta – ci spinge a credere in tutti modi al contrario?

La ricerca di soluzioni individuali alla crisi climatica

Il degrado dei beni comuni a causa della crisi climatica – e l’inazione della politica - spinge le persone a cercare soluzioni individuali a quel degrado, soluzioni che passano soprattutto attraverso i soldi, attraverso i quali è possibili acquistare macchine climatizzate sempre più confortevoli, vacanze – soprattutto – per sottrarsi alle estate tragicamente torride delle città e consentire a sé e ai propri figli di poter godere di verde, acqua (piscina o mare), temperature meno dure. Insomma la lotta alla crisi climatica si fa con la ricerca di maggiore benessere individuale, cosa che aggrava in realtà la crisi, ma rappresenta una forma individuale di adattamento.

Adattamento che però fa sentire meno la crisi e quindi spinge le persone a non protestare.

Perché scendere in piazza per chiedere una soluzione collettiva a un problema che ciascuno sta cercando di risolvere individualmente?

Scetticismo e impotenza, i sentimenti più rischiosi

Da ultimo, esiste un generale, e immenso, scetticismo di fondo rispetto al fatto che la crisi climatica possa essere combattuta.

Forse non è vero che non sappiamo di che si tratta, forse abbiamo intuito benissimo la portata della crisi e sappiamo che una vera soluzione non c’è. Che non saranno i nostri inetti partiti politici a risolverla, visto che non ci riescono neanche le conferenze mondiali sul clima.

Questo scetticismo, che nasce da una situazione di drammatica impotenza, ha una base reale, perché purtroppo è evidente, a esempio, che fermare la fusione dei ghiacciai è impossibile. Gli scienziati si sgolano nel dirci che le soluzioni ci sono, ma non riescono a convincerci abbastanza, sia a causa – sempre - del fatto che i media parlano pochissimo delle soluzioni alla crisi climatica sia perché l’aggravarsi della crisi stessa fa sì che si tenda a essere sempre più scettici su una soluzione.

E lo scetticismo spinge a distogliere lo sguardo da ciò che non si può risolvere. Perché infatti scendere in piazza per un problema senza soluzioni?

La mancata consapevolezza di avere dei diritti

Legato allo scetticismo, c’è il tema della sempre più assenza di consapevolezza di avere dei diritti. Questo vale in ogni ambito, ma almeno ci sono alcuni settori, come quello della salute, a esempio, dove la consapevolezza dell’ingiustizia è più forte: se una visita ci viene data dopo un anno, se al pronto soccorso non c’è posto, se ci negano una terapia perché troppo costosa reagiamo, ci muoviamo, sentiamo che un diritto è stato violato.

Nel caso dell’ambiente, no. Non sappiamo che, tanto più dopo le recenti modifiche costituzionali, abbiamo il diritto a un ambiente salubre, non inquinato, così come i nostri figli hanno il diritto di non ricevere in eredità un mondo devastato. Non sappiamo che se il mare è sporco, se fa troppo caldo per uscire, se un temporale può ucciderci vuole dire che alcuni nostri diritti sono stati violati. Convinti da una cronaca che parla solo di disastri e ambiente distrutto al fatto che siamo in un’epoca di cataclismi, subiamo tutto senza alzare la testa e chiedere che il nostro diritto di respirare, non perire di caldo, avere un futuro è forse il più fondamentale, e dobbiamo far sì a tutti i costi che venga rispettato. Perché mai scendere in piazza se non si è neanche consapevoli di quali diritti sono stati violati?

È dunque, in conclusione, contro questi sentimenti, questi timori, questa mancanza di informazioni che chi ha gli strumenti per capire e combattere la crisi climatica deve tener presente. E così una comunicazione climatica degna di questo nome proprio da queste radici sentimentali e culturali dovrebbe partire. Per scalzarle piano piano, per riportare le persone a sentire che possono agire, e che possono farlo insieme.

E che scendere in piazza, qualunque cosa questo voglia dire, è fondamentale per il clima e altrettanto fondamentale per scacciare l’impotenza.

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