Ambiente

Giuseppe Barbera: «Non siamo coscienti di ciò che sta accadendo all’ambiente»

Secondo il professore e divulgatore scientifico, la politica è sorda circa l’emergenza ambientale. Eppure, sosteneva Churchill, il politico diventa uomo di Stato quando inizia a pensare alle prossime generazioni, non elezioni
Credit: Via Giuseppe Barbera
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24 agosto 2022 Aggiornato alle 21:00

Ci sono momenti della vita che segnano per sempre, lasciando quell’impronta indelebile che indica la via per il futuro. È un po’ la storia di Giuseppe Barbera, professore ordinario di Colture Arboree all’Università di Palermo e divulgatore ambientale, che nella vita si occupa di alberi, sistemi e paesaggi rurali del Mediterraneo.

Da ragazzo, l’inverno viveva in città, mentre l’estate si spostava nella vecchia villa di famiglia nella Conca D’Oro, dove trascorreva i mesi di vacanza circondato dalla natura del suo giardino, tra limoni e mandarini.

Ora quel suo angolo di paradiso è ormai circondato da palazzi, ma a lui sono rimasti i ricordi indelebili e gli odori inconfondibili di quegli anni che l’hanno segnato a tal punto da indicargli la via verso gli studi agrari, mentre quella realtà di campagna cancellata dal cemento gli ha aperto gli occhi e lo ha reso oggi membro del Consiglio Scientifico dell’Osservatorio nazionale del paesaggio rurale (MiPAAF) e del Direttivo del Parco Nazionale Isola di Pantelleria, oltre che Componente del Consiglio scientifico Associazione Italiana Parchi e Giardini Storici e della Fondazione Benetton Studi e Ricerche.

Molti la definiscono un autore ante litteram sui temi ambientali. Quanto è importante, secondo lei, saper comunicare su questi temi e saper raccontare dell’ambiente?

Credo di essere stato uno dei primi in Italia ad avere scritto in forma divulgativa il tema dei cambiamenti climatici, dell’effetto serra e del ruolo degli alberi.

Ritengo che sia fondamentale saper comunicare sull’ambiente e saperlo raccontare mettendo insieme saperi diversi: non è un tema di cui si può parlare solo in termini scientifici, né solo in termini umanistici. Quello ambientale, infatti, mi piace definirlo come un “tema della complessità”: riprende saperi scientifici, filosofici, sociali e umanistici insieme. Quando parliamo di ambiente e natura dobbiamo essere in grado di comunicare in ogni termine, andando a scavare sia negli aspetti materiali che quelli immateriali.

Quali sarebbero, secondo lei, le caratteristiche fondamentali del buon divulgatore, capace di attirare l’attenzione sui problemi ambientali?

Un buon divulgatore deve essere animato da una coscienza civile, dalla comprensione, l’interesse e la passione che lo portano a comunicare con gli altri. Gli scienziati chiusi nei loro laboratori servono a poco, sono come degli “specialisti ignoranti” che sanno solo della loro scienza e poi in realtà non sanno nulla del mondo. Ma la loro scienza dovrebbe servire a cambiare il mondo e crearne uno migliore e più giusto e questo non lo si può fare da soli: lo si fa con gli altri, scendendo nelle strade e dialogando con le persone che per queste strade si possono incontrare.

Per questo ritengo che il buon divulgatore sia colui che conosce, colui che è scienziato, ma non si chiude nel suo studio ed esce per le strade a regalare la sua conoscenza, a confrontarsi, parlare, informare e creare consapevolezza mostrando la passione che lo lega a ciò che racconta.

Sentiamo parlare ormai ogni giorno di crisi climatica, crisi ambientale e disastri legati al clima. Sebbene non sia un problema recente, perché ce ne siamo accorti solo ora?

Forse c’è anche un po’ di ottimismo in questa affermazione. Si, è vero, quando succede una disgrazia, c’è un grande incendio o una Marmolada che crolla, allora il giorno dopo sembriamo tutti allarmati e assolutamente consapevoli che dobbiamo cambiare stili di vita e modelli di sviluppo perché abbiamo paura. Ci troviamo di fronte alla realtà cruda e tutti, dal primo all’ultimo, sembriamo convinti di voler cambiare per non permettere più che accada nulla di simile.

Poi, però, letteralmente l’indomani questa consapevolezza sparisce. Perché? Perché sostanzialmente è facile continuare sulle strade che conosciamo e non abbiamo il coraggio di affrontare nuove strade. Il problema è che, lo dicono gli scienziati, la strada che percorriamo è una strada che ci sta portando alla distruzione.

Neanche i politici, di qualsiasi schieramento, si interessano veramente di tutto ciò che sta accadendo, al di là di qualche slogan sporadico che sentiamo pronunciare.

Quello della crisi climatica e ambientale non dovrebbe essere il tema principale di questa campagna elettorale? E invece sembra un tema che torna utile sfruttare quando bisogna per forza dire qualcosa. Non torna mai come consapevolezza che la lotta ai cambiamenti climatici significa cambiare il nostro modo di vivere, passare da uno stile di vita consumistico ed energivoro a uno sobrio e intelligente per usufruire delle risorse di cui noi disponiamo.

Winston Churchill diceva che il politico diventa uomo di Stato quando inizia a pensare alle prossime generazioni invece che alle prossime elezioni. Ma noi, politici e non, oggi abbiamo una limitatezza di orizzonti terribile sulla crisi ambientale e non abbiamo coscienza vera di ciò che sta accadendo.

Da professore universitario che ha visto crescere intere generazioni, pensa invece che i giovani siano più sensibili ai problemi ambientali e più consapevoli rispetto agli adulti?

È una domanda che mi rivolgo anche io spesso e mi do sempre risposte contraddittorie: a volte mi guardo attorno e vedo un’assoluta indifferenza su questi temi: mi chiedo com’è possibile che i ragazzi di oggi non si ribellino, non facciano qualcosa per cambiare direzione. Io vengo da una generazione, quella del ‘68, che ha avuto il coraggio di muoversi seguendo la possibilità di un mondo migliore: questo io oggi lo vedo molto poco rappresentato dai giovani.

È una minoranza, purtroppo, quella di ragazzi con una forza straordinaria, con grande coraggio e grandi visioni, visti come “alternativi” in un mondo in cui a trionfare sono altri modelli, quello conformistico e consumistico. E io per questo do una grande responsabilità ai media e ai social.

Per fortuna, col tempo stanno emergendo movimenti di ragazzi che dimostrano che la consapevolezza della necessità di un cambiamento invece c’è. Come il movimento dei giovani di Fridays for Future, per esempio, capitanato da Greta Thunberg.

Ecco, anche l’accoglienza riservata alla figura di questa giovane e intelligente attivista fa riflettere: è stata sommersa da dileggio, battute e insulti ed etichettata come una ragazzina turbata da suoi problemi personali da noi adulti, mentre i giovani l’hanno accolta come paladina del cambiamento. Vuol dire che abbiamo consapevolezze differenti del cambiamento climatico.

Lo scorso maggio ha vinto il Premio Cultura del Mediterraneo per il suo “ruolo di scrittore, divulgatore e profondo conoscitore del ruolo dell’umano e della cultura nella natura, e viceversa”. Cosa ha significato per lei questo riconoscimento?

Naturalmente è stata una grande soddisfazione perché è un riconoscimento non solo legato al mio ultimo libro Abbracciare gli alberi, ma legato a tutta la mia attività scientifica, divulgativa e culturale. Parlare, raccontare e divulgare è l’obiettivo del mio lavoro, lo stimolo che mi porta a riflettere e continuare a scrivere.

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