Storie

Laika: «La mia prima opera dedicata a Greta Thunberg»

È una delle più misteriose firme della street art italiana. La sua #storiadisvolta inizia 3 anni fa, con un poster affisso durante un corteo dei Fridays for Future a Roma. Da allora ha dipinto altri murales, sempre all’insegna dell’impegno sociale. E della maschera bianca che copre il suo viso
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23 febbraio 2022 Aggiornato alle 22:10

Di lei non si sa nulla. Le rare volte che appare in pubblico, ha il volto coperto da una maschera bianca, una parrucca rossa in testa, e la voce distorta da una macchinetta. È la scelta di Laika MCMLIV (1954, anno di nascita della cagnetta russa a bordo dello Sputnik), pseudonimo di una delle più misteriose firme della street art italiana, autrice di poster e murales, come il famoso abbraccio fra Patrick Zaki e Giulio Regeni, spuntato su un muro vicino alla sede dell’Ambasciata Egiziana a Roma. «La mia è una maschera bianca sulla quale, di volta in volta, posso idealmente dipingere ciò che voglio – ci racconta Laika, spiegando la sua scelta di anonimato - Non c’è nulla di me che sia visibile e questo, può solo che valorizzare il mio percorso artistico».

La tua prima opera? «Il poster di Greta Thunberg con la faccia di Craxi e la scritta: “Hanno creato un clima infame”, famosa citazione del premier socialista, attualizzata in chiave green in occasione di una manifestazione dei Fridays for Future. Lo attaccai a Roma vicino alla Stazione Termini. Lo considero il poster zero: non ero minimamente consapevole di quello che volevo essere, mi andava solamente di fare una cosa divertente. Avevo disegnato solo adesivi fino a quel momento».

Quando è diventata una vera professione? «Sembra passata un’eternità e invece sono solo 3 anni. Col tempo sono diventata più seria, arrabbiata, impegnata, lasciando l’ironia un po’ in secondo piano. Però, periodicamente mi ricordo chi sono, da dove vengo e faccio opere in chiave più leggera. La costante in questo lavoro è essere comunicativa, far riflettere, stimolare il confronto».

La Street Art, in questi ultimi anni, sta portando l’attenzione lì dove i giornali non vanno più. «Sarà un cliché, ma un’immagine vale davvero più di mille parole. Nel mio caso sento sempre la responsabilità di ciò che attacco in giro. Non intendo abbassare l’attenzione e continuerò a dire la mia, anche sulle violenze in Bosnia, sulla vita disumana dei migranti, sulla discriminazione di genere e sul diritto di ogni cittadino di vivere una vita felice».

È un’arte ancora illegale la tua? «Certo, è affissione abusiva. Ho realizzato solamente un pezzo autorizzato, il murale per Soumaila Sacko nel quartiere San Paolo di Roma. Poi c’è la street art che entra nelle gallerie d’arte. Banksy o Obey hanno cominciato come semplici vandali e adesso espongono in tutto il mondo».

Il tuo resta un mondo maschile. «Vorrei vivere in un mondo dove non si fanno più distinzioni, dove se è una donna a fare qualcosa non fa più notizia, non è un’eccezione, non è una sorpresa. Siamo ancora alle prese con: la prima premier donna, la prima presidente, la prima qui, la prima lì. La mia battaglia riguarda non solo la street art, ma tutti i campi della società. La lotta al machismo, al patriarcato, deve essere una lotta trasversale».

Come vedi il futuro? «Come artista lo vedo in continua evoluzione, a sperimentare tecniche nuove, supporti diversi. Voglio avere più coraggio e mettermi meno limiti».