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La vicenda Weinstein, dagli anni novanta a oggi

Una storia che risale a più di vent’anni, culminata con la nascita del movimento MeToo. Continua la vicenda giudiziaria dell’ex magnate del cinema americano, con nuove accuse di violenza sessuale
Una donna bendata durante una protesta del 2020 davanti alla New York City criminal court, in occasione del processo contro Harvey Weinstein
Una donna bendata durante una protesta del 2020 davanti alla New York City criminal court, in occasione del processo contro Harvey Weinstein Credit: John Lamparski/SOPA Images via ZUMA Wire
Tempo di lettura 7 min lettura
18 giugno 2022 Aggiornato alle 20:00

Harvey Weinstein, ex celebre produttore cinematografico noto alla cronaca giudiziaria per anni di processi e accuse di violenza sessuale, è stato incriminato (di nuovo) per aggressione sessuale ai danni di una donna inglese per un episodio avvenuto a Londra nel 1996.

Le investigazioni condotte dalla procuratrice Rosemary Ainslie hanno portato alla condanna del mogul newyorchese in relazione a due capi d’imputazione, a seguito delle indagini della Metropolitan Police di Londra.

La mancanza di un termine di prescrizione per questi delitti (contrariamente a quanto succede in molti altri ordinamenti come il nostro) ha una funzione sociale notevole: l’obiettivo è quello di perseguire e punire sempre i reati a sfondo sessuale per contrastare la violenza di genere e tutelare le vittime, anche per fatti risalenti a molti anni fa.

Attualmente H. Weinstein sta scontando una pena di 23 anni presso l’istituto carcerario Twin Towers Correctional Facility di Los Angeles dove è in attesa di giudizio, sempre per accuse di reati a sfondo sessuale. A Ottobre di quest’anno avrà inizio il processo a suo carico: l’ex magnate del cinema è indagato di violenza sessuale ai danni di cinque donne, per episodi avvenuti dal 2004 al 2013, e rischia fino a 140 anni in più di carcere.

L’inizio del declino

La vicenda Weinstein è stata resa pubblica per la prima volta nel 2017 grazie a inchieste giornalistiche di portata eccezionale (prima del New York Times e poi del New Yorker). Quello che rischiava di rimanere uno scandalo mediatico è diventato ben presto non solo una complessa e articolata vicenda giudiziaria, oggi ancora non del tutto conclusa, ma il caso simbolo del movimento femminista MeToo.

L’ex potentissimo produttore cinematografico, celebre per aver contribuito al successo di cult del cinema come Pulp Fiction e Shakespeare in love, già nel 2015 è stato sotto indagine del New York Police Department (in un’intercettazione ambientale è stato lo stesso Weinstein ad ammettere di aver palpeggiato una modella italo-filippina di nome Ambra Battilana Gutierrez, descrivendolo come un comportamento a cui era “abituato”).

Il giornalista del New Yorker Ronan Farrow, avendo raccolto le testimonianze di 13 donne tra cui Asia Argento e Gwyneth Paltrow, ha descritto il comportamento dell’ex produttore come «ampiamente noto sia alla Miramax che alla Weinstein Company». I messaggi inviati da Irwin Reiter - un alto dirigente dell’azienda - a Emily Nestor - una delle donne che aveva dichiarato di essere stata molestata - descrivevano il «maltrattamento delle donne come un problema seriale che la Weinstein Company aveva affrontato negli ultimi anni».

Anche a Hollywood queste dinamiche erano note a tutti e tutte e infatti, dopo le rivelazioni del Times, si iniziò a delineare un vero e proprio sistema. Il casting couch, appunto, era diabolico e ben consolidato. Le assistenti di Weinstein e altre persone attorno a lui servivano da cosiddetto honeypot, da esche: inizialmente si univano a un incontro con una donna a cui il produttore era interessato, poi venivano allontanate, lasciandolo solo con la vittima scelta.

Come tutti gli ambienti inquinati dal maschilismo intrecciato con il potere, le donne avevano timore di rivelare l’accaduto per paura di ritorsioni personali e lavorative, come nel caso di Ambra Battilana Gutierrez, una delle prime donne a denunciare. Come spesso accade, in seguito alla denuncia sono apparsi rapidamente sulle riviste di gossip di New York articoli sulla sua condotta privata, che mettevano in dubbio la sua credibilità e la definivano una ”arrivista opportunista”. Sembrava che, tutto sommato, le molestie subite non fossero davvero tali e che, anzi, fossero delle “opportunità” per accedere al mondo esclusivo del cinema hollywoodiano.

Dopo lo scoppio dello scandalo mediatico, la nascita del movimento MeToo e il rischio di perdere, oltre che la reputazione, anche l’impero economico, Weinstein - che venne, infatti licenziato dalla sua stessa compagnia ed espulso dall’Academy of Motion pictures Arts and Sciences -tentò di limitare i danni, scusandosi in un’intervista al Times e al New York Post, riconoscendo in parte la sua responsabilità e dichiarò di dover “affrontare” la sua personalità irruenta.

Si arriva al processo

Nel gennaio 2020 finalmente iniziò a New York il processo per le denunce di due donne che, nel maggio 2018, avevano portato all’arresto di Weinstein. Fu lui stesso a presentarsi al commissariato di Lower Manhattan a New York, per poi essere rilasciato su cauzione di un milione di dollari in contanti.

L’imputazione a carico dell’ex produttore si fondava su cinque capi d’accusa: uno di atti sessuali criminali, due di stupro e due di atti da predatore sessuale, un reato che si commette quando lo stupro è reiterato. Nonostante Weinstein abbia sempre respinto ogni accusa, l’ex produttore è stato condannato per due di queste: stupro di terzo grado e atto sessuale criminale.

Weinstein era stato accusato di stupro di primo grado (la violenza più grave prevista dal codice), in relazione alla lunga e dettagliata testimonianza dell’attrice statunitense Jessica Mann, ma da questa è stato assolto. Nei confronti della donna è stato ritenuto responsabile del reato di violenza sessuale di terzo grado, che consiste nell’avere rapporti sessuali con un’altra persona senza il suo consenso, a prescindere da una costrizione psichica o fisica.

La seconda donna, Miriam Haley, ex assistente di produzione del programma Project Runway, ha testimoniato contro Weinstein in merito a un episodio avvenuto nel suo appartamento nel 2006, in cui l’uomo l’aveva ripetutamente spinta a terra per poi obbligarla a un rapporto orale non consensuale. Per tali fatti fu ritenuto colpevole di atto sessuale criminale di primo grado.

Per quanto riguarda il reato di aggressione sessuale predatoria, vale a dire la reiterazione di condotte aggressive a sfondo sessuale, l’accusa interrogò Annabella Sciorra, attrice statunitense celebre per la serie I Soprano, che dichiarò di essere stata stuprata negli anni Novanta dall’ex produttore cinematografico. Tuttavia, i giurati non ritennero provato oltre ogni ragionevole dubbio che Weinstein avesse violentato Sciorra. Votarono, quindi, per l’assoluzione da due accuse di violenza sessuale predatoria (una in relazione alle accuse di Sciorra e Haley e una in relazione a quelle di Sciorra e Mann).

Il verdetto finale

Il processo di primo grado si è concluso a febbraio del 2020 e ha portato alla condanna a 23 anni di carcere per violenza sessuale di terzo grado ai danni di Jessica Mann e per atto sessuale criminale nei confronti di Miriam Haley.

Nel Maggio 2022 gli avvocati di H. Weinstein hanno proposto appello avverso la sentenza di primo grado, sostenendo che il giudice James Burke avesse impedito al loro assistito di ricevere un equo processo, per esempio non rimuovendo il giurato numero 11 (che secondo gli avvocati stava scrivendo un romanzo di prossima pubblicazione sugli “Uomini anziani predatori”) o permettendo alle donne di testimoniare su accuse che non facevano parte del caso esaminato in quel giudizio.

Tuttavia, la Corte d’appello (composta da cinque giudici) ha deciso all’unanimità di confermare la condanna di Weinstein: «Respingiamo le argomentazioni dell’imputato e confermiamo la condanna in tutti i suoi aspetti», ha scritto la giudice Angela Mazzarelli nella sentenza di 45 pagine.

La vicenda giudiziaria contro l’ex magnate del cinema negli Usa ha riguardato le accuse di solo due donne, ma è stata la cassa di risonanza mediatica ad aver spinto quasi 80 donne a denunciare aggressioni, molestie e abusi.

Nonostante il movimento MeToo sia stato giudicato problematico sotto diversi aspetti, primo tra tutti quello di rappresentare solo donne bianche e privilegiate, il caso Weinstein e i suoi risvolti giudiziari mostrano un’esigenza di giustizia, soprattutto culturale, per rafforzare le coscienze collettive sul fenomeno della violenza di genere.

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