Economia

Perché c’è chi dice no ai buoni pasto

Per le loro alte commissioni, questi tagliandi potrebbero non essere più vantaggiosi. Così per la giornata di oggi, molti esercenti hanno deciso di non accettarli in segno di protesta, proponendo di trasformarli in soldi da inserire direttamente in buste paga
Credit: Thought Catalog/unsplash
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15 giugno 2022 Aggiornato alle 15:00

Oggi 15 giugno, va in scena lo sciopero dei buoni pasto.

Così, tagliandi con cui lavoratori e lavoratrici italiani pranzano non verranno accettati nei bar, ristoranti, alimentari, supermercati e ipermercati come forma di protesta, ricorda Federdistribuzione in una nota.

Solo un’azione drastica (e per la quale i consumatori sono stati avvertiti) potrà forse portare «il Governo a una riforma radicale del sistema dei buoni pasto con l’obiettivo di salvaguardare un servizio importante per milioni di lavoratori e renderlo economicamente sostenibile».

Il problema infatti, ricorda la federazione, è che «in Italia abbiamo commissioni non eque, le più alte d’Europa. Parliamo del 20% del valore nominale di ogni buono». Di conseguenza a pagare «sono le aziende».

«Vogliamo che i buoni pasto, un servizio prezioso per milioni di lavoratori e famiglie, continuino a essere utilizzati anche in futuro, ma ciò sarà possibile solo sulla base di condizioni economiche ragionevoli e di una riforma radicale dell’attuale sistema che riversa commissioni insostenibili sulle imprese e ne mette a rischio l’equilibrio economico».

Meno d’accordo sembrano essere le associazioni dei consumatori italiani come Adiconsum, Assoutenti e Federconsumatori che, bocciando lo sciopero, sostengono come «ancora una volta i consumatori italiani vengono usati come ostaggi dalle organizzazioni della Gdo e dei ristoratori per rivendicazioni che, seppur giuste nella sostanza, finiscono per danneggiare solo e unicamente i cittadini».

In questo contesto, Altrocosumo avanza dunque una proposta: denaro in busta paga. Secondo l’associazione, in Italia circa 3 milioni di lavoratori e lavoratrici ricevono buoni pasto per un valore di circa 3,2 miliardi, un terzo dei quali è assorbito dalla Pubblica Amministrazione.

Tra inflazione e contesto economico complesso, i buoni pasto rischiano però di non essere più accettati a causa delle alte commissioni di incasso che devono pagare gli esercenti come bar, ristoranti e supermercati. «Le commissioni in media, infatti, sono comprese tra il 10% e il 20% del valore del buono: per una spesa di 10 euro, l’esercente ne incassa in pratica solo 8», spiega Altroconsumo.

Di conseguenza, se gli esercenti smettessero di accettare buoni, verrebbero penalizzati i lavoratori. Per questo l’associazione propone una modifica legislativa, «per consentire alle aziende italiane di versare il corrispettivo dei buoni pasto direttamente nelle buste paga dei lavoratori, mantenendo per entrambe le parti le agevolazioni fiscali oggi previste per i buoni pasto. Lo Stato, infatti, concede vantaggi fiscali alle aziende che li acquistano, permettendo loro di dedurre l’intero importo dal totale su cui si pagano Ires e Irap, favorendo così anche il reddito disponibile dei dipendenti».

Nello specifico, la modifica richiesta «per rendere non tassabili le indennità di mensa corrisposte in busta paga a tutti i lavoratori fino almeno a 8 euro al giorno come gli attuali buoni pasto elettronici o per rendere il meccanismo ancora più vantaggioso, è portare il limite a 10 euro giornalieri. Attualmente, infatti, la non imponibilità della indennità di mensa è riservata solo ad alcune categorie di lavoratori e ha il limite di 5,29 euro al giorno».

In questo modo, chiosano da Altroconsumo, si potrebbero ottenere vantaggi «innanzitutto per i lavoratori, che potrebbero vedere crescere il denaro disponibile in busta paga senza pagare imposte aggiuntive, ma anche per i datori di lavoro, che avrebbero benefici fiscali per la deducibilità delle somme erogate ai fini Ires e Irap e amministrativi».

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