Futuro

Ma quanto consumano questi bitcoin!

Le operazioni di “mining” della criptovaluta richiedono sempre più elettricità, spesso proveniente dal fossile. Nasce una campagna per chiedere di cambiare codice: si risparmierebbe il 99% di energia
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31 marzo 2022 Aggiornato alle 07:00

Serve una revisione climatica anche per i bitcoin. Il processo che porta a “estrarre” le criptovalute, il mining, è strettamente legato a un alto consumo di energia. Per ottenere bitcoin è necessario far eseguire ai processori determinati programmi e attività: mettendo a disposizione la potenza di calcolo del proprio Pc il sistema ricambia in sostanza con bitcoin.

Il mining è una attività che richiede sempre più tempo, potenza e non sempre è conveniente, sia perché ci vuole sempre più energia elettrica per poterlo fare, sia perché può avere un impatto ambientale significativo. Per questo motivo, ha ricordato di recente il Guardian, alcuni gruppi in difesa dell’ambiente e impegnati nella lotta al surriscaldamento, sostengono ora che attraverso un cambiamento nei codici e nella codifica dei bitcoin, il consumo di energia potrebbe calare anche del 99%.

Alcuni report stimano che il mining utilizzi tanta energia quanto la Svezia, per dare un’idea. Più cresce la popolarità delle monete digitali, più c’è il rischio che l’energia necessaria per ottenere a esempio i bitcoin incrementi il mercato delle fonti fossili, come sta accadendo in alcuni casi negli Stati Uniti.

Per questo è stata lanciata una campagna chiamata “Change the Code Not the Climate” coordinata dall’Environmental Working Group, Greenpeace USA e diversi altri gruppi. La campagna chiede di cambiare il modo in cui i bitcoin vengono estratti per poter ridurre la sua enorme impronta di carbonio.

Per poterlo fare, gli attivisti sostengono la necessità che il codice software usato da bitcoin, conosciuto come “proof of work” e che richiede l’uso di grandi processori e di energia per convalidare e proteggere le transazioni, venga cambiato con un sistema più simile a quello della criptovaluta etherium, che ha un codice “proof of stake” che potrà ridurre il consumo energetico del 99%, dato che in questo modello sono gli stessi minatori che impegnano le loro monete per verificare le transazioni e dimostrano il possesso di un certo valore di criptovalute.

Le associazioni che hanno lanciato la campagna sono convinte che più aumenterà l’uso delle criptovalute, più sarà necessaria una revisione, una riforma legata all’impatto sull’ambiente e al dispendio energetico. Per questo invitano bitcoin a trovare una soluzione meno dispendiosa. Alcuni dei promotori ricordano per esempio che «le centrali a carbone che erano dormienti o che dovevano essere chiuse sono ora in ripresa e dedicate esclusivamente all’estrazione di bitcoin. Anche gli impianti a gas, in molti casi sempre più non competitivi dal punto di vista economico, sono ora dedicati al mining di bitcoin. Lo stiamo vedendo in tutti gli States. È particolarmente doloroso vederlo nel settore elettrico perché è proprio il luogo in cui gli Stati Uniti hanno compiuto la maggior parte dei loro progressi nell’ultimo decennio. Non è possibile raggiungere i nostri obiettivi climatici se stiamo facendo rivivere gli impianti a combustibili fossili» dicono.

Sì, nel mondo ci sono diversi “minatori” che per le loro operazioni usano energia proveniente dalle fonti rinnovabili, come l’eolico e il solare, ma in generale la maggior parte utilizza energia proveniente dal fossile, ricordano i promotori della campagna chiedendo con forza una modifica del codice bitcoin, una soluzione necessaria «per evitare uno scenario da incubo. Con la crescita delle criptovalute bisogna evitare infatti che il mining di bitcoin diventi motore di monetizzazione senza fine per i combustibili fossili».

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