Ambiente

La corsa al bitcoin danneggia il Pianeta

Una centrale a carbone in Montana è rinata per dare vita a una miniera di criptovalute: un business sempre più crescente che aumenta considerevolmente le emissioni di CO2
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
22 febbraio 2022 Aggiornato alle 09:00

Per quanto sia difficile da credere e visualizzare nella propria testa, anche le criptovalute inquinano. A fornire un esempio di quanto queste monete virtuali stiano diventando sempre più cruciali nelle emissioni di CO2 nell’ambiente, è il britannico Guardian, che ha analizzato lo sviluppo, o meglio, la rinascita, di una centrale elettrica nella città di Hardin, in Montana.

Si tratta di una località immersa nella riserva indiana di Crow, che copre il 64,2% della contea di Big Horn, nel nord ovest degli Stati Uniti: la centrale a carbone sorgeva in mezzo a un prato, e gli ambientalisti la chiamavano “l’orologio della morte”, dopo anni di perdite finanziarie. Si trattava di una risorsa inattiva e del suo riavvio aveva parlato anche il Wall Street Journal a maggio del 2021: in quel periodo le vecchie centrali elettriche a combustibili fossili stavano chiudendo a favore di strutture dedicate alle energie rinnovabili, ma sul futuro di Hardin, nel 2020, intervenne la Marathon Digital Holdings che, in collaborazione con il proprietario di Hardin, la trasformò in un hub per l’estrazione di bitcoin.

Un business che, a livello globale, consuma più elettricità di tutta la Norvegia, che conta 5,3 milioni di abitanti. «Stavamo solo aspettando che quel posto morisse», ha dichiarato al Guardian Anne Hedges, co-direttrice del Montana Environmental Information Center, un’organizzazione ambientalista fondata nel 1973 per proteggere e ripristinare l’ambiente naturale dello Stato. «Era sull’orlo della fine. E poi è arrivata questa compagnia di criptovalute».

È il cosiddetto mining di bitcoin: il termine fa riferimento proprio all’atto di estrarre qualcosa, e nel caso delle criptovalute si riferisce al processo che porta all’aggiunta di nuovi blocchi alla blockchain, che è un registro pubblico e condiviso delle transazioni in ordine cronologico. In cambio della potenza di calcolo, il sistema ricompensa i “minatori” con delle commissioni, dopo che questi convalidano le transazioni.

Il processo di convalida consiste nel giocare a un gigantesco indovinello che diventa sempre più difficile man mano che i minatori partecipano. I nuovi bitcoin immessi, infatti, sono distribuiti in maniera del tutto casuale, ma le probabilità di incassarli aumentano quanto maggiore è la potenza di calcolo messa a disposizione del sistema. Per quanto sia facile sapere quanto valga un bitcoin – attualmente 34.000 dollari – e capirne dunque il valore nel mercato, è invece complesso calcolare quanta energia consumi. Si stima, però, che eguagli un Paese europeo medio: secondo il Bitcoin electricity consumption index dell’Università di Cambridge, una criptovaluta necessita di oltre 133 Terawattora di elettricità l’anno (1 TWh equivale a un miliardo di Kilowattora), più di un Paese come la Svezia, che ha un consumo annuo di quasi 132 TWh.

Il progetto di Marathon, come ha raccontato il giornalista Oliver Milman, ha generato un aumento delle emissioni impressionante: la centrale, che nel 2018 sembrava condannata al fallimento perché poco remunerativa, partiva da una potenza di 115 megawatt. Ma, con l’installazione di circa 30 mila unità di Antminer S19, un computer specializzato per estrarre bitcoin, solo secondo trimestre del 2021 ha prodotto 187.000 tonnellate di anidride carbonica, con un aumento del 5.000% rispetto allo stesso periodo del 2020.

Una «terribile svolta degli eventi» ha commentato Hedges riferendosi all’enorme consumo di elettricità necessario per sostenere la valuta virtuale. Fred Thiel, l’amministratore delegato di Bitcoin Marathon, ha respinto le accuse e ha affermato che le lavatrici attive negli USA consumano più energia. E le nuove centrali generano posti di lavoro.

«Le centrali elettriche a carbone e a gas naturale utilizzate per il mining di criptovalute che altrimenti cadrebbero in rovina mentre noi siamo intenti a decarbonizzare, aggiungono ancora più emissioni nell’atmosfera in un’era in cui dovremmo ridurle», ha detto al Guardian Benjamin Jones, specialista in economia delle risorse naturali presso l’Università del New Mexico.

E gli sforzi delle compagnie di criptovalute per aumentare l’utilizzo di energia pulita, non bastano: come non basta l’accordo di Marathon per sfruttare l’energia di un parco eolico in Texas. Si chiama greenwashing.

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