Ambiente

Plastica: 11 milioni di tonnellate inquinano i fondali marini

Un nuovo studio scientifico condotto dalla Csiro e dalla University of Toronto denuncia il grave inquinamento delle grandi distese d’acqua causato dalle microplastiche, destinato a raddoppiare entro il 2040
Credit: Smithsonian's National Zoo 
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10 aprile 2024 Aggiornato alle 10:00

Sui fondali degli oceani sarebbero presenti 11 milioni di tonnellate di materie plastiche e questa quantità, secondo i trend attuali, raddoppierà entro il 2040.

Questo è il pericoloso scenario che emerge dall’ultimo studio prodotto dalla Commonwealth Scientific and Industrial Research Organization (Csiro), in collaborazione con la University of Toronto, che hanno lanciato l’allarme sull’inquinamento degli ecosistemi marini. L’analisi intitolata “Plastics in the deep sea – A global estimate of the ocean floor reservoir” fa parte del progetto Ending Plastic Waste del Csiro, che si è posta l’obiettivo di cambiare il modo in cui produciamo, utilizziamo, ricicliamo e smaltiamo la plastica.

Secondo la dottoressa Denise Hardesty, ricercatrice senior del Csiro, la ricerca sviluppata dal loro team è il primo studio che stima il reale inquinamento degli oceani, data l’enorme difficoltà posta dalla rilevazione delle microplastiche e nanoplastiche: «Sappiamo che ogni anno milioni di tonnellate di rifiuti di plastica finiscono nei nostri oceani, ma quello che non sapevamo è quanto di questo inquinamento finisce sui nostri fondali oceanici. Abbiamo scoperto che il fondale è diventato un luogo di giacenza, o serbatoio, per la maggior parte dell’inquinamento da plastica, tra le 3 e le 11 milioni di tonnellate di plastica. Anche se in precedenza è stata effettuata una stima delle microplastiche sul fondale marino, questa ricerca esamina oggetti più grandi, dalle reti, ai sacchetti di plastica, fino a tutto il resto».

Lo studio si è avvalso di 2 modelli predittivi per calcolare la quantità di plastica presente su i fondali marini e per verificarne la distribuzione negli abissi degli oceani. I 2 modelli hanno raccolto i dati dai veicoli telecomandati (Rov) e dalle reti a strascico. Circa il 46% delle materie plastiche è presente sul fondo oceanico, che si trova al di sopra dei 200 metri di profondità, mentre il restante (circa il 54%) è sparso fra i 200 e gli 11.000 metri di profondità. Si è scoperto inoltre che nonostante la dimensione ridotte dei mari interni e costieri, queste aree contengono più o meno la stessa massa di plastica del resto dei fondali oceanici.

L’importanza di queste analisi è fondamentale per comprendere le dinamiche sul grave inquinamento in corso. «La superficie dell’oceano è un luogo temporaneo di deposito della plastica, quindi se riuscissimo a impedire alla plastica di entrare nei nostri oceani la quantità verrebbe ridotta. Tuttavia la nostra ricerca ha scoperto che la plastica continuerà a finire nelle profondità dell’oceano, che sta diventando un luogo di riposo permanente o un bacino per l’inquinamento marino da plastica. Questi risultati aiutano a colmare una lacuna di conoscenze di lunga data sul comportamento della plastica nell’ambiente marino. Comprendere le forze trainanti dietro il trasporto e l’accumulo di plastica nelle profondità dell’oceano aiuterà a orientare gli sforzi di bonifica ambientale, riducendo così i rischi che l’inquinamento da plastica può comportare per la vita marina» ha sottolineato Alice Zhu, dottoranda della University of Toronto che ha condotto lo studio in questione.

Il possibile raddoppio a livello globale di questi rifiuti potrebbe danneggiare ulteriormente gli habitat naturali, colpendo quasi a ogni livello la rete alimentare marina. Non solo tramite l’ingestione accidentale della plastica da parte degli animali, ma anche attraverso l’inquinamento chimico. Un mix che finisce per impattare sulla salute umana.

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