Ambiente

La promessa di Shein: «Ci impegniamo a decarbonizzare»

Il colosso del fast-fashion cinese cerca di ripulire la propria immagine promuovendo campagne ad hoc sulla sostenibilità ambientale. Ma il rischio greenwashing è dietro l’angolo
Credit: Allison Saeng  

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9 aprile 2024 Aggiornato alle 15:00

Il giro d’affari di Shein copre la quota maggiore del mercato globale del cosiddetto fast fashion: nel 2022 ha raggiunto quasi il 18%, ma le previsioni dicono che si avvicinerà rapidamente verso il 20% entro tre anni. Seguono Inditex, H&M, Primark, secondo i dati di Coresight Research.

Per queste ragioni sarebbe particolarmente importante che la condotta del gigante di origini cinesi fosse pressoché irreprensibile ma, ahimè, sappiamo che non sembra essere così.

Nel frattempo il suo stile di matrice orientale è sempre più affermato anche in ambito occidentale e il marchio viene spesso citato dalle nuove generazioni e dagli influencer di tutto il mondo sui social network. Basta fare un giro tra i classici video di TikTok o tra le Storie di Instagram per rendersene conto.

La strategia del brand, fondato nel 2008 ed esploso negli ultimi anni, viene definita ultra low cost perché come è noto è prevalentemente basata sull’invio diretto di abbigliamento dai suoi stabilimenti asiatici alle abitazioni degli utenti, riuscendo tra l’altro a mantenere prezzi bassissimi. Si tratta di abiti pagati soltanto 9-10 euro oppure di magliette a mezze maniche vendute a una manciata di monete, per capi che possono essere considerati sostanzialmente usa e getta anche sul piano della qualità dei materiali utilizzati.

D’altra parte, alla diffusione internazionale e al successo di Shein ha contribuito in maniera notevole la pandemia, quando i ragazzi e in generale le persone chiuse in casa a causa dei lockdown e delle quarantene, in molti casi hanno iniziato a passare il tempo facendosi arrivare vestiti in ogni momento, in pochi giorni e da ogni angolo del mondo, stando comodamente seduti sul divano, con o senza mascherina anti-Covid sul viso.

L’Applicazione ufficiale del colosso asiatico negli ultimi anni non ha mai mollato le prime posizioni nelle classifiche delle App più richieste. È l’instant fashion, bellezza. Ora il gigante della moda fast è proiettato verso l’entrata alla Borsa di New York, dopo aver chiuso il 2023 con ricavi per 45 miliardi di dollari e profitti per 2 miliardi: a inizio 2024 ha presentato domanda all’autorità di regolamentazione cinese per quotarsi negli Stati Uniti.

Qualche tempo fa, però, Milena Gabanelli e Marta Camilla Foglia si sono occupate per il Corriere della Sera di questa tipologia di business parlando di “lavoratori schiavi, tessuti tossici e inquinamento”.

Secondo Bloomberg, come riporta Il Sole 24 Ore, la produzione cinese di fibre sintetiche è cresciuta di 21 milioni di tonnellate tra il 2018 e il 2023, una quota sufficiente per la realizzazione di oltre 100 miliardi di t-shirt all’anno, poi vendute al prezzo di soli 5 euro l’una. Questi numeri portano a un incremento eccessivo dell’utilizzo di petrolio, delle emissioni di CO2 e dell’impiego di una quantità di elementi pericolosi superiore ai livelli consentiti dalle normative europee.

Tra i Paesi più intraprendenti contro la moda ultra veloce e low cost nell’ultimo anno c’è la Francia. Una proposta di legge avanzata a fine febbraio dalla parlamentare Anne-Cécile Violland, già adottata dall’Assemblea nazionale e ora al vaglio del Senato, ha lo scopo di imporre un sovrapprezzo, o comunque una tassa, agli articoli di fast fashion venduti oltralpe. Si parla di almeno 5 euro in più su ogni capo, ma si raggiungeranno i 10 euro entro sei anni. Parigi ha già messo in campo un piano analogo contro le automobili più inquinanti.

Di fronte alle crescenti accuse di concorrenza sleale, uso di sostanze tossiche e condizioni di lavoro disumane, Shein ha cominciato a trasmettere messaggi ad hoc attraverso campagne di comunicazione per migliorare la propria reputazione a tema ambientale. Tra le ultime iniziative c’è l’annuncio riguardante il tessuto denim “senz’acqua”.

«Ci impegniamo a decarbonizzare la nostra catena di approvvigionamento, a reperire materiali responsabili e a proteggere la biodiversità e il benessere degli animali», ha dichiarato la società, ponendo degli obiettivi per ridurre l’impatto sul pianeta dei suoi prodotti e delle sue strutture, tra cui:

  • Ridurre le emissioni di gas serra (scope 1, 2 e 3) del 25% entro il 2030;

  • Diventare carbon neutral nello Scope 2 entro il 2030;

  • Approvvigionarsi di imballaggi in viscosa e carta sicuri al 100% per le foreste entro il 2025;

  • Garantire che tutti gli imballaggi contengano il 50% di materiali selezionati entro il 2030;

  • evoluSHEIN by Design” è l’iniziativa che mira a promuovere materiali e metodi di produzione responsabili riutilizzando le eccedenze tessili, spedendo prodotti con contenuti sostenibili.

Più di un anno e mezzo fa il colosso del fast-fashion ha stanziato un fondo da 50 milioni di dollari per promuovere la sostenibilità della moda e affrontare la gestione dei rifiuti tessili. La speranza, tutt’oggi, è che non si tratti solamente di un tentativo di greenwashing ma che ci sia sostanza dietro queste mosse.

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