Ambiente

Fast fashion: arriva la stretta dalla Francia

L’Assemblea Nazionale si scaglia contro la moda insostenibile grazie a una tassa a favore della sostenibilità ambientale e dei diritti dei lavoratori che confezionano i capi. La proposta deve ora passare in Senato per diventare legge
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26 marzo 2024 Aggiornato alle 19:00

L’Assemblea Nazionale Francese ha approvato la proposta di legge, “ridurre l’impatto ambientale dell’industria tessile”, presentata a fine febbraio dal partito di centro-destra Horizons, che prevede una tassa per disincentivare l’acquisto e la vendita di prodotti delle aziende di fast fashion in Francia.

La legge è composta da tre articoli, il primo dei quali prevede dei messaggi che incoraggino al riuso e alla riparazione dei prodotti, dando informazioni sul loro impatto ambientale, oltre che sul prezzo vantaggioso. Legge che fa eco al bonus rammendo approvato la scorsa estate.

Questo articolo infatti si inserisce sulla scia, di più ampio respiro, di altre proposte del governo francese già varate, come la legge anti spreco, anti‑gaspillage, del novembre scorso che ha come caposaldi cinque obiettivi principali: abbandonare la plastica monouso, informare meglio i consumatori, combattere i rifiuti e promuovere il riutilizzo solidale, agire contro l’obsolescenza programmata e migliorare la produzione.

Nel secondo articolo della proposta anti fast fashion viene invece introdotta la tassa secondo il principio de Responsabilité èlargie du Producteur – Rep, principio semplice che impegna chi produce, distribuisce o importa un prodotto, a farsi carico di tutto il ciclo di vita del prodotto, compreso il suo fine vita.

Le aziende dovranno quindi pagare un sovraprezzo, per ogni prodotto di fast fashion, che crescerà fino al 2023 quando arriverà a 10 euro per prodotto. Il terzo articolo invece riguarda la pubblicità: “è vietata la pubblicità relativa alla commercializzazione di prodotti nell’ambito di una pratica commerciale che prevede collezioni di abbigliamento e accessori a rapida evoluzione”.

Quest’ultimo punto si allinea, come scritto nella proposta, alla legge “climat et résilience” che ha già vietato la pubblicità a favore dei combustibili fossili o del greenwashing; pertanto, la proposta fa parte “di uno sforzo continuo per allineare il settore pubblicitario ai nostri impegni nazionali (in Francia, europei e internazionali per la protezione dell’ambiente”.

Nella proposta si legge esplicitamente “à renouvellement très rapide” e si fa riferimento ai criteri con cui una azienda viene identificata come produttrice di fast fashion, che si basano sulla quantità di vestiti prodotti e sulla velocità di rotazione delle nuove collezioni, due aspetti che hanno un grande impatto sull’ambiente.

Nella prima parte del decreto, dove si spiegano le motivazioni della proposta di legge, infatti, si fa riferimento esplicito a una di queste aziende di fast fashion, la cinese Shein, che in media aggiunge 7.200 nuovi modelli di vestiti al giorno e mette a disposizione dei produttori più di 470.000 prodotto differenti, offrendo in totale un numero di prodotti 900 volte superiore a quello di un qualsiasi rivenditore francese tradizionale nello stesso ambito.

Sempre nella prima parte del decreto si legge che “l’industria tessile e dell’abbigliamento è responsabile di circa il 10% delle emissioni globali di gas serra, più di tutti i voli e i trasporti internazionali messi insieme”.

Inoltre, si legge che “il cotone è la prima coltura in termini di consumo di pesticidi, il 20% dell’inquinamento delle acque è attribuibile alla tintura e al trattamento dei tessuti e il lavaggio di abiti sintetici comporta il rilascio di microfibre di plastica”.

La norma prevede infatti che gli introiti generati dalle sanzioni verranno utilizzati per gestire la raccolta, smaltimento e trattamento dei rifiuti tessili e la filiera del riciclo della moda. Il grido d’arme dei “cugini francesi” è quindi chiaro: mettere in ginocchio la vendita e l’acquisto di abiti a basso costo per contribuire a salvaguardare il nostro Pianeta.

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