Ambiente

“Stracci”: un documentario sul riciclo della moda

Dal distretto tessile di Prato, dove si rigenera la lana usata, alla discarica di vestiti più grande dell’Africa. Su Amazon Prime Video, un docufilm ripercorre la storia di quello che indossiamo
Un frame del documentario "Stracci", disponibile dal 10 maggio su Amazon Prime Video
Un frame del documentario "Stracci", disponibile dal 10 maggio su Amazon Prime Video Credit: Stracci - trailer
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
13 maggio 2022 Aggiornato alle 15:00

Una distesa enorme di vestiti in fiamme, vista dall’alto, è avvolta da una coltre di fumo. «Di quello che indossiamo non sappiamo niente», dice una voce femminile.

È così che si apre il documentario Stracci, diretto da Tommaso Santi e scritto insieme a Silvia Gambi: il riciclo degli abiti usati che parte dal distretto tessile di Prato e fa il giro del mondo accompagna lo spettatore in un viaggio all’insegna della sostenibilità, passando per il Ghana e il Pakistan e poi tornando a casa.

Da pochi giorni è possibile assistere a questo viaggio sulla piattaforma Amazon Prime Video, non solo in Italia ma in oltre 50 Paesi del mondo, tra cui Stati Uniti, Canada e Australia. Realizzato dalla società di produzione cinematografica Kovelab, è in collaborazione con Solo Moda Sostenibile, il podcast della giornalista Silvia Gambi che spiega il dietro le quinte di uno dei settori più inquinanti del Pianeta e ripercorre la storia di quello che indossiamo.

Perché si intitola così? Perché a Prato, in Toscana - e in molte altre realtà italiane – gli abiti usati si chiamano “stracci”. Il documentario parte proprio da questa definizione e racconta un’esperienza di economia circolare straordinaria, quella del riciclo della lana a opera delle industrie tessili di Prato, il distretto tessile più grande d’Europa.

I protagonisti del documentario sono, appunto, gli abiti di lana usata, al centro di una tradizione di riciclo e rigenerazione che nel tempo ha permesso a centinaia di aziende del territorio di creare ricchezza a partire da ciò che gli altri gettavano via.

Quello che spiega la voce narrante è vero: non conosciamo l’origine dei nostri abiti, né dove vanno a finire una volta che ce ne liberiamo. Ogni anno vengono bruciati “60 miliardi di kg di rifiuti tessili”, che siano vestiti vecchi, usurati e buttati o semplicemente indumenti invenduti e “originati da un modello produttivo che fa del consumo eccessivo e della sovrapproduzione i suoi punti di forza”, spiega il documentario.

Da più di un secolo l’industria tessile li raccoglie e li trasforma in materia prima: la lana rigenerata, la lana meccanica, su cui “si basa la forza di un intero distretto industriale che ha costruito un’enorme ricchezza sull’economia circolare quando ancora nessuno sapeva che cosa fosse”.

Il primo a parlare della tradizione familiare che lo ha formato è Riccardo Matteini Bresci del Gruppo Colle; poi c’è il cenciaiolo - l’operaio addetto, cioè, alla cernita degli stracci - Siro Puggelli, che con il collega Giovanni Masi già nel 2007 e nel 2008 parlava della “sete di stracci” di Prato, che ne voleva sempre di più. «Siamo gente che si ricicla da tanto tempo», dice l’imprenditrice tessile Daniela Gori. Le voci che si alternano sono molte di più, e vengono da chi, di stracci, ne ha visti tantissimi a Prato.

Tra le testimonianze, anche quella della Ellen MacArthur Foundation, uno dei più grandi enti benefici operanti nel settore dell’Economia Circolare e della sostenibilità, nato nel 2010 a Chicago. «Nel mondo meno dell’1% del materiale per indumenti viene riciclato per nuovi vestiti», spiegano.

Juliet Lennon, programme manager della fondazione, dice che «produciamo sempre più vestiti e li usiamo sempre meno». Ed è proprio questo il problema dell’industria del fast fashion: il sistema tossico di sovrapproduzione innescato negli anni ‘80 ed esploso negli anni 2000 quando, come scrive l’associazione senza scopo di lucro Dress The Change, “le aziende di moda iniziarono a produrre un numero sempre maggiore di collezioni l’anno a costi stracciati, passando dalla realizzazione di 2 collezioni l’anno a ben 52”.

Il viaggio del documentario passa anche, attraverso la testimonianza di Liz Ricketts, co-founder dell’ente di beneficenza che opera dal 2009 The OR Foundation, si arriva in Ghana, ad Accra: è qui la discarica più grande dell’Africa, il luogo in cui confluiscono quantità inimmaginabili di vestiti ogni minuto.

“La consapevolezza è alla base del cambiamento di uno stile di vita insostenibile”, dice la voce narrante. E questo deve partire da ogni individuo, che nel suo piccolo può e deve fare scelte responsabili.

Ma è anche la moda a dover fare un grande passo: utilizzare materiale non solo riciclato, ma anche riciclabile. Bisogna imparare da chi, gli stracci, li tratta da una vita.

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