Storie

3,5 miliardi di persone non hanno accesso a servizi igienico-sanitari

Francesca Greco (dottoressa in Water and Food Policy) ha spiegato a La Svolta qual è lo stato delle risorse idriche della Terra e cosa dovremmo aspettarci nei prossimi 10 anni
Francesca Greco
Francesca Greco
Tempo di lettura 9 min lettura
22 marzo 2024 Aggiornato alle 12:00

Come ogni anno, oggi, 22 marzo, si celebra la Giornata mondiale dell’acqua, istituita nel 1992 dalle Nazioni Unite come monito sull’importanza dell’oro blu e sugli obiettivi collegati a questa preziosa risorsa, stabiliti all’interno dell’Agenda 21, uno dei pilastri decisionali della Conferenza sulla Terra di Rio de Janeiro.

Il tema scelto per quest’anno è Water for Peace, “Acqua per la pace”, uno slogan che suona come un appello disperato in un momento in cui, secondo l’Unicef, nel cuore del Mediterraneo il 70% delle persone che vivono a Gaza bevono quotidianamente acqua salata o contaminata, dove i bambini rifugiati nel Sud della Striscia hanno accesso a circa 1,5-2 litri di acqua al giorno (ben al di sotto dei 3 litri stimati come il quantitativo minimo per sopravvivere) e dove almeno metà delle infrastrutture collegate alle risorse idriche sono state distrutte.

Ma c’è di più. A sottolineare a La Svolta l’urgenza di agire e la gravità del problema è la dottoressa Francesca Greco (esperta in Water and Food Policy grazie a un master e un dottorato, oltre che vincitrice di una borsa di studio Marie Curie all’Università di Bergamo; è anche visiting research fellow al King’s College London): la sua carriera, ma anche una buona parte della sua vita personale, è mossa dalla passione, dalla curiosità e dalla voglia di cambiare la percezione comune su quello che viene ormai chiamato “l’oro blu”.

«A 20 anni mi sono trovata a lavorare su una disputa idrica tra Giordania e Arabia Saudita, per una falda sotterranea in mezzo al deserto. I vari colleghi, e le colleghe, erano affascinati dai conflitti che ruotavano attorno ai grandi fiumi: il Nilo, il Giordano… Mentre io scoprivo piano piano l’importanza e il fascino delle falde sotterranee, dell’acqua che c’è ma non si vede. Basti pensare che il 99% delle risorse idriche allo stato liquido si trovano sottoterra. Oppure dell’acqua virtuale, quella che utilizziamo, a esempio, per produrre cibo. Secondo la Fao, il 92% delle risorse idriche a livello globale sono consumate in agricoltura e per dare a una persona la possibilità di bere una sola tazza di caffè, sono necessari ben 140 litri di acqua».

Numeri che fanno riflettere e che, leggendo il nuovo report delle Nazioni Unite (Water for Prosperity and Peace, pubblicato oggi) non lasciano alcun dubbio sull’urgenza di trattare l’argomento come una crisi planetaria a cui è importante rispondere tutto l’anno e non solo in occasione del 22 marzo.

Dottoressa Greco, qual è lo status delle risorse idriche a livello planetario?

Secondo il nuovo report delle Nazioni Unite, “2,2 miliardi di persone, nel 2022, non avevano accesso a risorse idriche adeguate e ad acqua potabile gestita in sicurezza. Di queste, 4 su 5 vivevano in zone rurali. La situazione relativa ai servizi igienico-sanitari gestiti in sicurezza rimane grave: 3,5 miliardi di persone, infatti, non vi hanno accesso e le città e i municipi non sono stati in grado di tenere il passo con l’accelerazione della crescita della popolazione urbana”.

Eppure, proprio l’accesso all’acqua potabile è uno degli obiettivi sanciti dall’Agenda 2030, un documento che abbiamo eletto a faro guida per il futuro dell’umanità.

Secondo il precedente rapporto ufficiale Onu sul monitoraggio dell’indicatore 6, quello dedicato appunto all’acqua e chiamato il Blueprint for Acceleration: Sustainable Development Goal 6, nel 2023 la situazione era già negativa per tutti i target stabiliti e, nel 2024, la situazione non è cambiata. Secondo il nuovo rapporto, infatti, circa la metà della popolazione mondiale vive oggi in una condizione di grave scarsità idrica almeno per una parte dell’anno. Un quarto della popolazione mondiale deve far fronte a livelli di stress idrico già estremamente elevati.

Ma se quello all’acqua non è ancora un diritto umano fondamentale, come possiamo pensare di raggiungere tutti gli altri obiettivi dell’Agenda 2030 e indirizzarci verso un mondo più equo e giusto dove “nessuno venga lasciato indietro”?

Il diritto umano all’acqua ha solo 14 anni. È ancora molto giovane e poco radicato, sebbene proteste popolari e manifestazioni sul tema abbiano causato morti e innumerevoli feriti tra i manifestanti in varie parti del mondo, dall’America Latina all’India. Nonostante sia riconosciuto come diritto essenziale, al momento non esiste nessun obbligo giuridico vincolante che regoli l’accesso all’acqua e, questo, continua a rientrare in quella che viene definita soft law. Ogni Stato, a livello globale, è tenuto a fare del suo meglio per garantire il diritto all’acqua ma esistono problemi legati alle capacità economiche dei vari Paesi, alla situazione politica e sociale che vige al loro interno, così come ai rapporti a livello transnazionale e ai vari conflitti di interesse che possono aumentare fenomeni gravi come quello del land grabbing, letteralmente l’acquisizione di terreni agricoli su scala globale da parte di imprese transnazionali o Governi, che ha spesso come conseguenza il water grabbing ossia l’accaparramento di acqua. Nel nuovo report delle Nazioni Unite c’è un intero capitolo dedicato a questo tema in cui si sottolineano le differenze tra il godimento del diritto all’acqua in ambito rurale e urbano.

Crisi idrica e crisi climatica: due facce della stessa medaglia? Cosa dobbiamo aspettarci dai prossimi 10 anni?

Innanzitutto dobbiamo ricordarci che che gli impatti sulle risorse idriche sono determinati da noi esseri umani, proprio come accade con la crisi climatica. Secondo il rapporto Onu appena uscito, “i cambiamenti climatici intensificheranno il ciclo globale dell’acqua, aumentando ulteriormente la frequenza e la gravità di siccità e inondazioni”. Questa dinamica andrà peggiorando in alcuni contesti, come nelle città, dove ci sarà sempre più carenza idrica: mobilitare sempre più acqua in sempre meno spazio, sarà ogni anno più difficile.

In secondo luogo, siamo in continua crescita e questo significa che useremo sempre più acqua perché le nostre abitudini alimentari stanno cambiando verso cibo sempre più idrovoro (latticini e carne) rispetto a una dieta vegetale che ha un’impronta idrica nettamente minore. Non dimentichiamoci, poi, che il genere umano è l’unico organismo vivente che inquina l’acqua: micro/nano plastiche, Pfas, farmaci, fertilizzanti, composti chimici… Sono tutte sostanze che rilasciamo nell’ambiente e che degradano le risorse idriche mondiali danneggiando, in ultimo, anche la nostra salute.

E poi c’è l’impatto sul ciclo dell’acqua e su quello che potremmo definire un vero e proprio “malessere”. Con l’aumento del riscaldamento globale, l’acqua diventa un ciclone, si trasforma in inondazioni, scompare per anni dando luogo a fenomeni siccitosi devastanti. E questo, solo per fare qualche esempio che non dovrebbe più dar luogo a dubbi: siamo nel mezzo di una crisi climatica che noi stessi abbiamo generato e che, come ricorda l’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change, ndr), non si abbatte sulle popolazioni in modo equo. Ci sono i privilegiati e coloro che non hanno i mezzi per proteggersi o reperire in tempo le informazioni che potrebbero salvar loro la vita. Nei prossimi 10 anni se non riusciremo a fermare l’innalzamento delle temperature, l’acqua andrà avanti nelle sue manifestazioni estreme e le nostre economie, le nostre società, le nostre vite cambieranno per sempre. Secondo i dati di oggi e le serie storiche che si susseguono, il cambiamento è già avvenuto.

Qual è la regione del mondo in cui la situazione è più grave e in cui ci si aspetta che peggiorerà?

Gli studiosi di politiche idriche internazionali hanno passato gli ultimi 40 anni a costruire mappe delle dispute idriche mondiali e che non riguardano solo l’acqua ma tematiche più ampie. Le risorse idriche di per sé non sono mai state “il grilletto” che ha fatto partire il colpo di pistola dando inizio ai conflitti. Le famose “guerre per l’acqua” non si sono mai combattute in questi termini. L’oro blu è una delle tematiche incrociate da mille altri veti in regioni che hanno tensioni geopolitiche “altre” e che usano l’acqua come ulteriore campo di sfida facendola diventare, in ultimi analisi, una delle vittime dei conflitti, di attacchi militari, di azioni violente che hanno visto dighe bombardate, reti idriche domestiche venire distrutte… Il tutto a scopo puramente bellico.

Detto questo, la situazione più grave è quella che nessuno vede. L’acqua è consumata, come dicevamo, per il 92% dall’agricoltura che ne preleva ben il 70% a livello mondiale dai corpi idrici come fiumi, laghi e falde, e che consuma attivamente anche l’acqua piovana che cade dal cielo. Ricordiamoci che dove è presente una coltura di qualsiasi tipo questa impedisce, in una certa percentuale, che l’acqua piovana ricada completamente in falda, percolando. In pratica, la trattiene nel corpo delle piante, la fa evopotraspirare e ridiventare vapore. È in quel 92% il pericolo maggiore. L’agricoltura. E, purtroppo, continuiamo a non voler affrontare la realtà. Continuiamo a puntare il dito sul consumo domestico e industriale che, è vero, crescono in modo esponenziale ma non arrivano alle percentuali di prelievo o consumo di acqua dell’agricoltura in termini assoluti.

L’Europa può dirsi al sicuro?

In Europa “gli eventi attualmente in corso hanno evidenziato le devastanti conseguenze dei conflitti armati su risorse naturali, sostentamento, infrastrutture idrauliche e sicurezza”. Tuttavia, va evidenziato come, nel vecchio continente, la gestione transfrontaliera dei fiumi (garantita da accordi operativi che riguardano il 90% dei bacini transfrontalieri) sembra funzionare e rappresenta un elemento di speranza in un momento storico in cui svariate situazioni a livello geopolitico farebbero pensare solo al peggio. Rimane, tuttavia, un grave problema di inquinamento e di eventi collegati alla crisi climatica in tutto il bacino del Mediterraneo. Ricordiamoci che Barcellona è in razionamento idrico e tutto il Sud della Spagna ha annunciato l’emergenza siccità.

Cosa può dirci, invece, dell’Italia?

L’Italia fa parte di un cosiddetto “hot spot climatico”, come dimostrano una serie di anni consecutivi caratterizzati dalla siccità in svariate Regioni e da eventi estremi come alluvioni e frane che hanno causato un numero ingente di vittime e 11 miliardi di euro di danni solo in Emilia-Romagna e Toscana. Ma al di là della paura che queste cifre possono scatenare, il “giorno zero” in cui dai nostri rubinetti non uscirà più acqua è uno spauracchio che va tenuto a bada con azioni concrete e condivise da tutti, dai cittadini che dovrebbero riversarsi nelle strade per chiedere azioni urgenti, alla politica che dovrebbe dare risposte concrete. E invece tutto tace. Credo sia necessario iniziare a lottare per quello che ci spetta di diritto.

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