Ambiente

Mari sempre più caldi, per gli scienziati “qualcosa non quadra”. Preoccupa il Mediterraneo

Dopo un anno - che si credeva eccezionale per El Niño, vulcani e crisi climatica - le temperature dell’acqua continuano a restare estremamente elevate. Si teme un cambiamento irreversibile. E il Mare Nostrum si riscalda più di altri
Credit: Rizek Abdeljawad/Xinhua via ZUMA Press  

Tempo di lettura 6 min lettura
21 marzo 2024 Aggiornato alle 18:00

Qualcosa non quadra. Nella maggior parte del Pianeta - dato che la Terra è composta al 70% da oceani - sta accadendo un fenomeno che anche gli scienziati faticano a spiegare.

Da oltre un anno - e siamo già ormai entrati nel secondo con queste modalità - le temperature superficiali degli oceani stanno toccando record di calore mai visti primi, tanto da far pensare ai ricercatori che stia avvenendo un cambiamento per i sistemi terrestri che potrebbe essere addirittura irreversibile.

Oltre un anno fa gli scienziati ci avevano avvertiti di temperature “drammatiche” registrate nei mari: anomalie perfino di tre gradi in certe zone del mondo.

Si è cercato di capire se potesse essere collegato ovviamente al global warming, oppure all’influenza di El Niño, o ancora all’impatto di eruzioni vulcaniche: tutti fattori che incidono ma non sono, da soli, in grado di spiegare perché - non per un singolo periodo, ma per mesi che continuano tuttora - la temperatura superficiale dell’acqua fosse così elevata. Davvero «è una questione che non quadra», ha detto al Washington Post Gavin Schmidt, il direttore del Goddard Institute for Space Studies della Nasa.

Queste temperature, dall’Atlantico al Mediterraneo, con pesanti ripercussioni sugli ecosistemi marini, sono infatti del tutto “fuori scala”.

Nell’Atlantico si parla di 1-2 gradi sopra alla media del periodo 1971-2000, a largo del Sud Africa perfino più tre gradi, così come in Giappone ma anche nelle acque olandesi.

Ovviamente, essendo stato lo scorso anno (e probabilmente anche il 2024) il più caldo della storia, molto ha a che fare con le pessime condizioni dell’atmosfera. Rispetto all’aria però però per riscaldare le acque e mantenere in maniera costante livelli così elevati di temperature ci vuole molta più energia e di conseguenza tempo. Eppure in poco più di un anno i valori, con temperature che in questo periodo sono in media intorno a 21,1 gradi, sono letteralmente schizzati in alto mantenendosi costanti e lasciandoci intendere come dalle barriere coralline sino agli impatti sulle specie aliene, tutto potrebbe rapidamente cambiare (in peggio).

Questi dati, queste anomalie, sono ora contenute anche nel rapporto annuale sullo stato del clima dell’Organizzazione meteorologica mondiale: gli scienziati sostengono che le ondate di calore si sono diffuse su oltre il 90% della superficie degli oceani nel 2023.

In particolare il caldo eccezionale ha colpito l’Atlantico settentrionale orientale, il Golfo del Messico e i Caraibi, il Pacifico settentrionale e vaste aree dell’Oceano Antartico.

In pratica da aprile scorso le temperature medie globali della superficie del mare hanno raggiunto livelli record ogni mese, soprattutto a luglio, agosto e settembre.

In futuro forse l’avvento de La Niña, fenomeno naturale opposto a El Niño, potrebbe mutare queste condizioni. Ma se il caldo record delle acque non dovesse diminuire allora “il mondo si troverà in un territorio inesplorato”, ha detto senza mezzi termini Schmidt.

In tutto ciò uno dei mari più in crisi risulta ancora una volta il Mare Nostrum, il Mediterraneo che ha sperimentato per il 12° anno consecutivo una copertura quasi completa da parte delle ondate di calore.

In sostanza il Mediterraneo sta diventando il mare con il riscaldamento più rapido del Pianeta. Anche qui è aumentata l’acidificazione e le temperature più calde, spiegano dai monitoraggi di Enea, sono state registrate sempre più anche in profondità.

Un bel problema perché come spiegano da Enea il “Mediterraneo influenza fortemente la vita dei paesi che lo costeggiano: dall’agricoltura, alla pesca, all’idrologia, all’evoluzione climatica, alla salute delle popolazioni e così via. Continuare a monitorarlo è la chiave per comprendere gli effetti del riscaldamento globale, aumentare la consapevolezza su questa emergenza e stimolare l’adozione delle necessarie misure di adattamento e mitigazione. Dobbiamo sempre tenere presente che a causa di questo fenomeno si verificano ogni anno in tutto il mondo danni enormi, spesso accompagnati dalla perdita di vite umane”.

Non solo, un mix di fattori, dalle acque più calde che permettono l’adattamento di specie aliene all’ingresso di “invasori” legato al commercio e le acque reflue delle navi (come quelle dal canale di Suez) sta nel tempo portando il nostro mare a fare i conti, trovandosi spesso impreparato, con specie che possono rapidamente modificare gli ecosistemi.

Da noi il caso forse più noto ed eclatante è il granchio blu che in meno di un anno ha devastato, per esempio, l’economia legata alle vongole.

Altrove, come nella vicina Croazia, il pesce pappagallo insieme ad altre 50 nuove specie che ci sono diffuse nell’Adriatico stanno minacciando le popolazioni ittiche autoctone.

Di recente, alla Reuters, Nenad Antolovic, ricercatore dell’Istituto per la ricerca marina e costiera con sede a Dubrovnik, ha raccontato per esempio che gli stock ittici nell’Adriatico, il braccio più settentrionale del Mediterraneo, «sono crollati a causa della pesca eccessiva, dei cambiamenti climatici e dell’invasione di nuove specie».

«L’Adriatico sta cambiando, si sta riscaldando. Per questo motivo compaiono nuovi organismi. Con questo intendo pesci, plancton e alghe», ha detto Antolovic.

Ci sono infatti sempre più specie di granchi e di pesci, come il pesce leone o il pesce coniglio, presenti e catturati nell’Adriatico e nel Mediterraneo. Specie in grado di causare danni considerevoli a un ecosistema già fragile a causa della crisi del clima. Se le temperature dovessero aumentare ancora o rimanere costantemente elevate, queste specie potrebbero prosperare, temono i ricercatori e i pescatori.

Per ora, mentre gli scienziati continuano a indagare quel che “non quadra”, le armi più preziose per poterci difendere sono lo studio, la gestione e il controllo dei mari (anche tramite aree marine protette).

Come chiosa nel suo studio sul Mediterraneo Franco Reseghetti, ricercatore di Enea, “un monitoraggio sistematico dei mari, in particolare del Mar Mediterraneo, attraverso la misurazione dei valori di alcuni parametri quali temperatura, salinità, Ph e ossigeno, è l’unico modo per consolidare le conoscenze in materia e migliorare l’attendibilità delle previsioni che al momento momento non sono così precisi come necessario e auspicato, ma c’è una chiara tendenza all’aumento della temperatura”.

Leggi anche
Estate bollente
di Giacomo Talignani 2 min lettura
Tecnologia
di Riccardo Liguori 2 min lettura