Economia

Le aziende non stanno rispettando i loro impegni per la riduzione delle emissioni

Più di 200 compagnie sono state rimosse dalla campagna Onu Business Ambition for 1,5 per non aver rispettato gli obiettivi climatici stabiliti; tra le società escluse, anche il colosso tecnologico Microsoft
Credit: Anton H
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8 aprile 2024 Aggiornato alle 12:00

Che il mondo non sia esattamente sulla strada migliore per raggiungere in tempi brevi la neutralità climatica non è certo una novità. Già l’ultima edizione dell’Emissions Gap Report 2023 curato annualmente dal 2010 dallo United Nations Environment Programme (Unep) evidenziava come l’umanità sia stata in grado di battere tutti i record sbagliati relativi al cambiamento climatico, allontanandosi dunque dall’impegno firmato nell’Accordo di Parigi del 2015 di mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali. A conferma di ciò, arriva anche un amaro boccone dalle aziende.

Tutto ha inizio nel 2019, quando nell’ambito del vertice Climate Action Summit tenuto dalle Nazioni Unite è stata lanciata la campagna Business Ambition for 1,5, nel tentativo di stimolare i progetti a tutela del clima creati dalle aziende per raggiungere in maniera armonizzata obiettivi coerenti con il mantenimento della temperatura mondiale entro 1,5°C. L’occasione fu accolta ben volentieri da migliaia di aziende da oltre 23 trilioni di dollari di capitalizzazione di mercato, il cui impegno sarebbe stato vagliato dalla Science-Based Targets (Sbti), un organismo composto da diverse organizzazioni no-profit creato proprio per controllare l’andamento dei progetti e soprattutto la loro coerenza con gli obiettivi fissati.

Alla luce di questi controlli, è emerso che fra le 971 imprese analizzate, il 96% ritiene che avere obiettivi basati sulla scienza sia “buono/molto buono” e il 71% si è dichiarato fortemente soddisfatto della campagna. I primi 5 Paesi in cui le aziende partecipano attivamente alla campagna sono Regno Unito, Stati Uniti, Francia, Svezia e Germania. Nonostante ciò, è emerso che il 54% delle aziende intervistate ha vissuto diverse difficoltà nel rispettare i livelli di emissioni scope 3, ossia quelle generate all’interno della catena di fornitura, il trasporto, l’utilizzo o lo smaltimento dei prodotti, mentre il 22% ritiene gli obiettivi net zero troppo astratti e confusionari.

Più di 230 aziende che hanno aderito tra il 2019 e il 2021 non sono riuscite a rispettare gli obiettivi promessi all’interno dei loro progetti, che sono stati quindi rimossi ufficialmente dal sito web della campagna. Tra queste spiccano il colosso tecnologico Microsoft e la brasiliana Jbs, la più grande azienda al mondo per la produzione di carne. Quest’ultima afferma che la sua rimozione sarebbe stata provocata dall’irrigidimento dei criteri di misurazione degli obiettivi climatici, che hanno fondamentalmente modificato le precedenti intese tra Jbs e Sbti. Solo due settimane prima della rimozione, il procuratore generale dello Stato di New York, Letitia James, aveva intentato una causa contro la divisione statunitense di Jbs, accusata di avere avanzato dichiarazioni di marketing ambientali false per ingannare i consumatori newyorkesi. In risposta, la società affermava di stare «collaborando attivamente con terze parti credibili per fissare obiettivi attuabili», e i cui risultati sarebbero stati pubblicati nel prossimo futuro.

Certamente non un’ottima pubblicità, all’interno di un mercato sempre più attento a investire in società concretamente coinvolte nella lotta al cambiamento climatico e lontane da qualsiasi meccanismo di greenwashing. A loro volta, le società escluse dall’iniziativa cercano di incolpare i Governi dei rispettivi Paesi per non aver posto un quadro politico e normativo sufficientemente chiaro alla base delle loro roadmap ambientali, ponendo più ostacoli verso il raggiungimento degli obiettivi fissati.

La multinazionale attiva nel settore degli alimentari Unilever, “colpita” dalla rimozione, rientra fra le aziende che non avevano presentato il proprio target ambientale da raggiungere, sforando dunque i due anni concessi dalla Sbti per tutte le aziende aderenti all’iniziativa. La società ha comunque recentemente avviato un nuovo piano di transizione climatica concentrato sulla riduzione delle emissioni dei fornitori per raggiungere le emissioni zero entro il 2039.

La strategia di minimizzare impegni ambiziosi e di enfatizzare le specifiche operative si articolano su progressi consequenziali di riduzione del 42% delle emissioni energetiche prima del 2030, a partire da un investimento di 163 milioni di dollari nei prossimi 3 anni per incrementare l’elettrificazione delle apparecchiature, la sostituzione del gas naturale con i biocarburanti e l’introduzione della tecnologia solare termica per applicazioni industriali. Un impegno rigido che Unilever spera possa convincere la Sbti ad approvare il suo nuovo progetto e restituirle il posto da cui è stata rimossa a inizio marzo.

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