Economia

Greenwashing: più di 9 investitori su 10 non si fidano dei bilanci di sostenibilità

Il 94% del campione intervistato da Pwc per il suo Global Investor Survey legge con sospetto i report aziendali sugli standard Esg, a causa della mancanza di prove a conferma delle informazioni riportate
Credit: aryaman chaturvedi
Tempo di lettura 5 min lettura
15 marzo 2024 Aggiornato alle 08:00

Secondo il rapporto Global Investor Survey, realizzato da PwC, la maggior parte degli investitori (94%) non si fida dei rapporti di sostenibilità redatti dalle aziende: sospetta che siano basati solo su azioni di greenwashing e che contengano informazioni non veritiere e non supportate da prove concrete circa il reale impegno ambientale, sociale e di governance (Esg).

L’indagine (giunta al suo terzo anno consecutivo) ha intervistato 345 investitori e analisti di diverse aree geografiche, classi di asset e approcci di investimento per ottenere informazioni sui fattori che influenzano maggiormente le società in cui investono. È emerso un ampio consenso sull’importanza delle questioni Esg, con il 70% che concorda sulla necessità di incorporare i fattori ambientali, sociali e di governance direttamente nella propria strategia aziendale, mentre il 75% afferma che la gestione dei rischi e delle opportunità legate alla sostenibilità da parte delle aziende sia un fattore importante nel processo decisionale.

In aumento, poi, l’attenzione degli investitori sul rispetto del costo che gli impegni di sostenibilità hanno: il 76% ritiene che queste informazioni siano importanti o molto importanti. Il 75% concorda sul fatto che le aziende dovrebbero rivelare il valore monetario del loro impatto sull’ambiente o sulla società, in aumento rispetto al 66% del 2022.

Tuttavia, queste esigenze spesso non trovano soddisfazione: oltre 9 investitori su 10 diffidano dai bilanci di sostenibilità, sottolineando forti dubbi sull’affidabilità dei report e delle informazioni usate. Questa percezione è dovuta anche dalla mancanza di garanzie: gli investitori si rivolgono infatti alle autorità di regolamentazione e agli standard setter per creare chiarezza e coerenza nella rendicontazione delle aziende.

Il 57% degli investitori ha affermato che se le aziende rispettassero le normative e gli standard (incluse le norme sulla divulgazione climatica proposte dalla Sec negli Stati Uniti e gli standard Issb), soddisferebbero le loro esigenze di informazione per il processo decisionale. Inoltre, l’85% afferma che una ragionevole garanzia (simile alla revisione dei rendiconti finanziari) darebbe loro fiducia nel reporting di sostenibilità in misura “moderata”, “ampia” o “molto ampia”.

Un esempio di normativa è la Corporate Social Responsibility (Csr), che dal 2024 si applica a tutte le imprese con più di 250 dipendenti, un fatturato superiore a 50 milioni di euro e un bilancio annuo di circa 43 milioni. A rendicontare i bilanci saranno quest’anno 50.000 aziende in tutta Europa, di cui 6.000 Pmi italiane, con una virtuosa reazione a catena, dal momento che nei report saranno inclusi per obbligo anche i fornitori, a loro volta tenuti a rispettare i parametri di sostenibilità.

Altro caso è la normativa approvata recentemente dal Parlamento Ue in materia di greenwashing, che punta a rendere l’etichettatura dei prodotti più chiara e affidabile, vietando l’uso di indicazioni ambientali generiche come “rispettoso dell’ambiente”, “rispettoso degli animali”, “verde”, “naturale”, “biodegradabile”, “a impatto climatico zero” o “eco” se non supportate da prove concrete.

Saranno vietate tutte le indicazioni infondate circa la durata dei prodotti e la loro riparabilità e le informazioni sulla garanzia dovranno essere più visibili. Verrà creato inoltre un marchio armonizzato atto a favorire i prodotti con una garanzia più estesa; in più, anche i marchi di sostenibilità saranno regolamentati, data la confusione che la loro proliferazione e l’assenza di dati comparativi causano.

I benefici effettivi all’interno delle aziende che redigono un bilancio di sostenibilità sono evidenti; migliorano l’efficienza, abbattono i costi e favoriscono politiche aziendali consapevoli nel lungo termine, consentendo migliori valutazioni costi/benefici e un costante monitoraggio dell’effettivo rispetto di standard di performance, leggi, normative e iniziative volontarie. Esternamente, le imprese migliorano la loro reputazione, dimostrano agli stakeholders il valore dell’organizzazione, e mitigano gli impatti negativi sociali, ambientali e di governance (Esg).

Secondo Arb, società che fornisce consulenza alle aziende in un’ottica di sviluppo sostenibile, affinché non sia “puro greenwashing”, un bilancio di sostenibilità necessita di una mappatura approfondita sui rischi e le opportunità del report, impiegando dati scientifici e affidabili e senza mai omettere degli obiettivi non raggiunti (per evitare ripercussioni sulla reputazione aziendale); inoltre, è necessario che la stesura sia fatta in tempi adeguati (dai 4 ai 6 mesi) e veda coinvolti gli stakeholder in maniera diversificata. Il lavoro, inoltre, può essere facilitato da un apposito comitato di sostenibilità.

Leggi anche
Greenhushing
di Mario Di Giulio 3 min lettura