Ambiente

Iea: la capacità produttiva delle rinnovabili è in aumento, ma non basta

Stando ai dati dell’Agenzia Internazionale per l’energia, nell’ultimo anno le fonti pulite hanno prodotto fino al 50% in più del 2022 nel mondo. Ma i livelli sono ancora lontani dagli 11.000 GW promessi alla Cop28
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29 febbraio 2024 Aggiornato alle 07:00

Il rapido cambio di rotta richiesto dall’accordo Global Stockstake firmato da 198 Paesi alla conclusione della Cop28 potrebbe non essere troppo lontana dal realizzarsi pienamente.

Il contesto geopolitico sempre più fragile e nervoso, con diverse guerre parallele e il costante timore di perdere l’accesso alle risorse energetiche, ha permesso al mondo intero di spingere l’acceleratore sulla produzione di energia proveniente da fonti rinnovabili e sostenibili.

A certificarlo è Renewables2023, un report annuale curato dall’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) - organizzazione intergovernativa che gravita nell’area dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) - secondo cui solo nel 2023 la capacità produttiva delle rinnovabili è aumentata del 50% rispetto all’anno precedente. Un valore complessivo di ben 3.700 gigawatt (510 in più del 2022) la cui maggioranza proviene dal sole.

D’altronde, stando alle previsioni effettuate dall’agenzia, «la capacità globale delle fonti rinnovabili crescerà fino a 7.300 GW tra il 2023 e il 2028», con un potenziale incremento fino a 2,5 volte il livello attuale già entro il 2030. Gran parte della crescita sarà da attribuire all’energia prodotta dall’eolico e dal solare, che da sole riusciranno a superare la capacità produttiva dell’idroelettrico e, a partire dal 2025-2026, anche del nucleare.

Si tratta di una crescita a trazione cinese. Solo nell’ultimo anno, il Dragone ha avviato progetti legati al fotovoltaico pari a quelli dell’interno mondo nel 2022, generando contestualmente incrementi di energia eolica pari al 66% ogni anno.

Risultati che vanno ben oltre le programmazioni, tanto da assicurare alla Cina un vantaggio competitivo di ben 6 anni rispetto agli altri paesi sul raggiungimento dei livelli di capacità produttiva delle rinnovabili.

D’altronde, il gigante asiatico domina il mercato globale avendo in mano il 70% della produzione di moduli fotovoltaici, frutto di ingenti investimenti pubblici in rinnovabili che nel solo 2023 sono aumentati del 40%, raggiungendo ben 6,3 trilioni di yuan (ossia 890 miliardi di dollari), equiparabili quasi al totale degli investimenti globali nella fornitura di combustibili fossili nello stesso anno.

Ai gradini più bassi si pongono poi gli Stati Uniti, in cui recentemente il Dipartimento dell’Agricoltura ha annunciato investimenti per 207 milioni di dollari distribuiti fra 675 progetti di sviluppo per le rinnovabili in 42 stati nell’ambito del Rural Energy for America Program (Reap) e Fertilizer Production Expansion Program (Fpep), parallelamente ai 783 miliardi di dollari da spendere nell’ambito dell’Inflaction Reduction Act (Ira), atto legislativo federale entrato in vigore proprio per potenziare lo sviluppo delle rinnovabili attraverso incentivi fiscali e investimenti diretti.

Ottimi risultati anche per il Brasile, che qualche mese fa è riuscito a posizionarsi ottavo nella classifica mondiale dei Paesi con più energia potenziale accumulata da fonti solari fotovoltaiche, con oltre 26 miliardi di dollari di investimento e un impegno ambientale su più fronti, tra cui quello di ridurre a zero la deforestazione in Amazzonia e trasformarsi entro dieci anni nell’«Arabia Saudita delle energie rinnovabili».

L’Europa si mostra pronta a produrre più del doppio di energia pulita entro il 2028 e arrivare a 532 GW complessivi, coperti al 26% da eolico per il 70% dal fotovoltaico.

Una fonte che negli ultimi anni ha visto aumentare la sua popolarità anche grazie al fenomeno dell’autoconsumo, ossia la possibilità di utilizzare direttamente l’energia elettrica autoprodotta da un impianto fotovoltaico per soddisfare il proprio fabbisogno energetico nella propria abitazione o in un luogo di lavoro, con la possibilità di stoccare in appositi sistemi di accumulo l’energia prodotta ma non consumata immediatamente, per poi utilizzarla in un secondo momento oppure condividerla fra più utenti riuniti in una comunità energetica.

Una risorsa che fornisce benefici su più fronti e che vari Paesi europei hanno deciso di incentivare.

In Italia, per esempio, è recentemente entrato in vigore un decreto ministeriale che definisce tariffe incentivanti all’energia elettrica prodotta da impianti configurati per l’autoconsumo, oltre che disposizioni per l’erogazione di contributi fino a un massimo del 40% dei costi ammissibili per lo sviluppo delle comunità energetiche e delle configurazioni di autoconsumo collettivo nei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti.

Per onorare gli impegni firmati a Dubai lo scorso dicembre, tuttavia, servirà triplicare l’apporto delle rinnovabili per portarle fino a 11.000 GW, in linea anche con la roadmap delineata tre anni fa dalla stessa Iea per raggiungere le zero emissioni globali entro il 2050 e dunque rispettare l’accordo di Parigi (secondo cui nei prossimi 26 anni la temperatura mondiale dovrà stabilizzarsi a 1,5 °C).

Obiettivi sicuramente ambiziosi a cui, proprio grazie alle rilevazioni dell’Agenzia, possiamo guardare con un po’ più di speranza. Sempre che si riescano a eliminare i vari intoppi amministrativi e burocratici posti lungo la strada della transizione ecologica, come le lunghe attese che bloccano le autorizzazioni di impianti solari ed eolici per oltre 3.000 GW, di cui circa la metà in stadio avanzato di sviluppo, che da soli riuscirebbero a far raddoppiare il valore globale attuale rendendolo sempre più vicino all’obiettivo.

C’è poi il nodo delle reti di distribuzione e di trasmissione, su cui i governi europei e del resto del mondo (escluse Cina e India) hanno investito a malapena l’1% in più ogni anno dal 2010.

Il mondo, dunque, si presenta fortemente in ritardo nello sviluppo e nella modernizzazione di queste infrastrutture fondamentali per l’espansione delle rinnovabili e per gli obiettivi di decarbonizzazione, che tuttavia - da come si evince in un precedente report della Iea intitolato Electricity Grids and Secure Energy Transitions - non riescono a tenere il passo con la rapida crescita delle principali fonti di produzione di energia pulita. Una dimenticanza che mette a rischio il raggiungimento degli obiettivi prefissati a livello internazionale, oltre che l’utilità e l’affidabilità stessa delle reti già esistenti, di cui più del 50% in Europa sono in funzione da oltre 20 anni, ossia la metà della loro durata media.

Dunque, per rispettare le stime della Iea secondo cui la produzione complessiva delle rinnovabili supererà quella del carbone già dall’anno prossimo, per poi coprire quasi la metà della produzione di energia complessiva entro il 2028 grazie a eolico e fotovoltaico, sarà necessario prima costruire 80 milioni di km di nuove reti elettriche entro il 2040 e contemporaneamente raddoppiare gli investimenti annuali in quest’area «fino a superare i 600 miliardi di dollari entro il 2030».

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