Diritti

E se a negoziare per la pace fossero le donne?

Il gruppo a Gaza Women of the Sun e quello in Israele Women Wage Pace organizzano insieme manifestazioni, convegni e lanciano appelli per chiedere l’inclusione delle cittadine nei processi di peacebuilding
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20 febbraio 2024 Aggiornato alle 17:00

Prova a scorrere le immagini dei negoziati e degli incontri che dal 7 ottobre a oggi si sono susseguiti per giungere a un cessate il fuoco o una tregua umanitaria. Cambiano i luoghi, gli interlocutori, le poste in palio; solo un elemento resta sempre lo stesso: le delegazioni sono interamente composte da uomini. E sebbene ogni incontro o tentativo sia fin qui miseramente fallito, non c’è nessuno che metta in dubbio la composizione delle rappresentanze, nessuno che si chieda neanche lontanamente se la scelta dei negoziatori e soprattutto il loro sesso siano un contributo al fallimento.

In Israele e Palestina da anni fiorisce un movimento di donne di entrambe le sponde che si incontra regolarmente, organizza manifestazione e propone piani di pace. Sono decine di migliaia, in costante aumento, ma nelle società in cui vivono vengono costantemente ignorate.

I gruppi che raccolgono le maggiori adesioni sono quelli formati dalle donne di Women Wage Pace (WWP israeliane) e di Women of the Sun (WOS gaziane e cisgiordane). Tre giorni prima dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, migliaia di appartenenti a questi due formazioni gemellate si sono riunite al Monumento alla Tolleranza di Gerusalemme per una manifestazione e una marcia. In un’altra occasione le affiliate ai due gruppi si sono recate sulle rive del Mar Morto (che fin dall’antichità si ritiene abbia qualità curative), hanno allestito un tavolo simbolicamente negoziale e alzato le sedie agitandole per raffigurare la richiesta di tantissime persone per una ripresa di una trattativa nella speranza di evitare nuove carneficine.

Nelle due patrie vengono considerate folli: con il precipitare della situazione a Gaza, sono al momento ancora di più emarginate e hanno più difficoltà a far udire la loro voce. Ma risulta sempre più evidente che proprio da loro bisognerebbe ripartire, mettendole al centro di un progetto di mediazione che ponga basi nuove e metta in mostra la spaventosa “collezione” di fallimenti degli uomini.

“Le donne palestinesi – si legge nel sito di Women of the Sun - costituiscono più della metà della società palestinese, ma rappresentano meno del 12,5 delle posizioni di leadership in Palestina. Abbiamo la capacità di esistere nonostante le difficoltà, il dolore e gli ostacoli per tracciare un nuovo percorso di vita, siamo le donne che si ergono di fronte al muro di ostacoli e difficoltà che come donne dobbiamo affrontare per un futuro migliore”.

“Le donne – fa eco il portale di Women Wage Pace - tendono ad avere una visione più olistica della sicurezza, che non comprende solo la sovranità politica e la forza militare, ma anche la sicurezza economica, l’istruzione e la sicurezza personale”.

Il movimento israeliano, fondato all’indomani dei 50 giorni di guerra di Gaza/Operazione Protective Edge del 2014, è cresciuto fino a raggiungere 45.000 membri, il più grande raggruppamento di pace di base in Israele oggi. Il suo principale obiettivo è dare alle donne di comunità diverse la possibilità di costruire fiducia al di là delle divisioni, portando a sua volta a una richiesta unitaria di negoziati diplomatici con una piena rappresentanza delle donne, per porre fine al conflitto israelo-palestinese.

I due movimenti gemelli agiscono sempre in coppia: organizzano manifestazioni, convegni, lanciano appelli e continuano a restare saldamente uniti anche dopo la terribile notizia dell’uccisione della co-fondatrice di Wwp, Vivian Silver, 74 anni, da parte di Hamas proprio nel raid del 7 ottobre. La partnership ha dato vita a The Mothers’ call una petizione in cui si chiede ai leader di entrambe le fazioni di avviare i negoziati per il “bene del futuro dei nostri figli”.

Il loro discorso va bene al di là di quote rosa e gender gap. Per loro garantire la partecipazione delle donne non è una solo una sacrosanta questione di equità o correttezza, o una dimostrazione di inclusione. Per i due gruppi è il vero e forse unico strumento per arrivare alla pace.

Sono le statistiche a suggerire la necessità di un netto cambio di paradigma nella gestione dei negoziati. L’inclusione di donne nei processi di peacebuilding, conflict resolution o peace keeping, infatti, quando adottata, miete successi da qualsiasi lato la si osservi. Secondo report e studi sostenuti e confermati da organismi transnazionali come l’Onu, l’Osce, l’Ue o da una serie di realtà internazionali come il Think Tank americano Council on Foreign Relations, la presenza di donne nei tavoli negoziali in qualità di mediatrici, facilitatrici o firmatarie, aumenta del 20% le possibilità che l’accordo regga almeno 2 anni e che duri stabilmente del 35%. Le due variabili (percentuali e tempo), come è facile intuire, sono decisive nel cammino verso la ricostruzione fisica e morale di società devastate da conflitti

Ci sono poi molti studi che dimostrano che le donne tendono a essere più collaborative, meno concentrate sulle questioni militari e molto di più su quelle sociali, oltre a essere meno propense ad attaccare chi ha opinioni diverse. Con donne sedute al tavolo, ancora meglio se in maggioranza, la possibilità di assumere comportamenti aggressivi e rischiosi ha meno possibilità di prevalere, mentre, come dimostra lo studio Why Diverse Teams Are Smarter pubblicato dalla Harvard Business Review, nei team eterogenei è più probabile che le decisioni si basino su fatti piuttosto che su ipotesi.

Testi come Sex and World Peace, poi, scardinano una serie di presupposti del discorso politico e di sicurezza, dimostrando che la sicurezza delle donne è un fattore vitale per la sicurezza dello Stato e la sua incidenza su conflitti e guerre.

«Abbiamo imparato dai casi dell’Irlanda del Nord e della Liberia - ha dichiarato a Foreign Policy Yael Braudo-Bahat, co-direttrice di Women Wage Peace - La partecipazione attiva delle donne ha rafforzato notevolmente questi processi di pace e di ripresa. Continuiamo i nostri piani, lavoriamo insieme e non lo nascondiamo. Potrebbe essere più pericoloso per le Donne del Sole, ma sono molto coraggiose».

I Paesi democratici o, in ogni caso, tutti gli interlocutori coinvolti e attivi nel porre fine al conflitto a Gaza così come in tante altri parti del mondo, hanno un ruolo da svolgere oltre al finanziamento e al sostegno politico: bisogna «insistere e pretendere la partecipazione delle donne ai negoziati», come ha dichiarato una rappresentante delle Women of the Sun a Foreign Policy (che ha preferito rimanere anonima).

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