Ambiente

Gaza: la catastrofe è anche climatica

Il conflitto ha generato finora circa 280.000 tonnellate di CO2 (anche se il dato potrebbe essere sottostimato); la maggior parte dell’inquinamento è causato dagli aerei israeliani e americani
Credit: EPA/ATEF SAFADI EPA-EFE/ATEF SAFADI 
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11 gennaio 2024 Aggiornato alle 18:00

Il conflitto armato a Gaza iniziato il 7 ottobre 2023 ha finora causato la morte di oltre 20.000 palestinesi e di circa 1.200 israeliani, condannando milioni di abitanti della Striscia allo sfollamento e a livelli di insicurezza alimentare estremi. Non solo: le emissioni generate durante i primi 2 mesi della guerra sono state superiori all’impronta di carbonio annuale di oltre 20 delle Nazioni più inquinanti al mondo.

Secondo lo studio condotto dal professor Benjamin Neimark della ​​Queen Mary University di Londra, e pubblicato nell’archivio online Social Science Research Network, il costo climatico dei primi 60 giorni di conflitto equivale alla combustione di almeno 150.000 tonnellate di carbone, pari a 281.000 tonnellate di CO2.

La ricerca, non ancora sottoposta a revisione paritaria (ovvero, non valutata da esperti accademici), ha analizzato solo alcuni scontri dove la quantità di carbonio implicata è stata alta. Per questo i risultati raccolti rappresentano probabilmente una stima al ribasso dell’effettivo inquinamento prodotto dal conflitto finora.

La maggior parte delle emissioni sono state provocate dai voli degli aerei israeliani e americani, in secondo luogo dalle bombe e dall’artiglieria israeliane e in parte minore dai razzi lanciati su Gaza da Hamas. Se nel conteggio si includono poi le infrastrutture militari con scopi protettivi costruite sia da Israele che da Hamas, le emissioni totali aumentano, superando quelle generate da 33 Paesi nel mondo in un anno.

La ricerca rivela anche il costo ambientale a lungo termine della guerra, con una stima del carbonio che verrà emesso durante la futura ricostruzione di Gaza. Le immagini satellitari commissionate dalla Bbc hanno contato quasi 100.000 edifici della Striscia distrutti o danneggiati dai bombardamenti. Per la loro riparazione dovrebbero essere utilizzati almeno 30 milioni di CO2. Si tratta di una quantità pari a tutta l’anidride carbonica emessa dalla Nuova Zelanda in un anno e superiore a quella prodotta annualmente da altri 135 Paesi, tra cui Sri Lanka, Libano e Uruguay.

Tra alluvioni e mancanza di acqua potabile, gli effetti del cambiamento climatico stanno già aggravando le condizioni delle persone che vivono sotto le bombe. La Fao ha rilevato che Israele e i territori palestinesi occupati fanno parte di una regione del Medio Oriente da tempo sottoposta a stress idrico. La Banca Mondiale ha riferito che le falde acquifere, che rappresentano la principale fonte d’acqua della Striscia, stanno risentendo negativamente dell’innalzamento del livello del mare: meno del 4% dell’acqua del territorio è potabile.

In base a questi dati, la regione rischia di dover affrontare il più imponente incremento a livello globale di inondazioni fluviali, perdita dei raccolti e siccità, oltre che un aumento delle temperature superiore al grado e mezzo prefissato dalla Cop21 con gli accordi di Parigi del 2015.

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