Diritti

L’inchiesta del New York Times denuncia gli stupri di Hamas contro le israeliane

Il quotidiano statunitense ha messo in luce le violenze e le mutilazioni inflitte alle donne durante gli attacchi del 7 ottobre. In Italia è stato lanciato l’appello Non si può restare in silenzio, per riconoscere la strage come femminicidio di massa
Credit: haaretz.com
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4 gennaio 2024 Aggiornato alle 18:00

I capelli color rame tenuti stretti da un uomo di fronte a lei, il sangue lungo la schiena e i pantaloni abbassati fino alle ginocchia. Lui la piega e un altro la penetra. Al primo sussulto, poi, un coltello le affonda la schiena. Questo è ciò che Sapir, dopo aver ricevuto un colpo di pistola, riesce a vedere da sotto i rami di un folto albero di tamerice: 24 anni, è diventata una delle testimoni chiave della polizia israeliana, nonché pilastro di un’indagine svolta dal New York Times su cosa realmente è successo il 7 ottobre in Israele. Quel giorno, oltre al primo e al più sanguinoso attacco di Hamas, è stato commesso un violento femminicidio.

Un’altra donna viene fatta a pezzi mentre un terrorista la violenta; un altro le taglia il seno e comincia a lanciarlo come se fosse un giocattolo. Sapir, mentre fornisce le fotografie del suo nascondiglio, è ancora agghiacciata. Da quel giorno non dorme, il cuore le batte troppo forte e si sveglia coperta di sudore. Questo è solo parte di ciò che il giornale americano è riuscito a ricostruire in un’inchiesta durata 2 mesi, che mostra una verità agghiacciante.

150 interviste di testimoni, personale medico, soldati e consulenti; video, dati ripresi dai Gps dei telefoni e una cruda galleria di vestiti strappati, genitali mutilati e gambe divaricate. Almeno 30 i corpi che i volontari hanno trovato in questo stato, dentro e intorno al luogo del rave e in 2 kibbutz. Il materiale, scrive il quotidiano di New York, non è stato facile da reperire, complici le zero autopsie e l’impossibilità di fare riprese e scattare fotografie; nonché la paura dei testimoni, come quella di Sapir, ma anche di Raz Cohen, consulente per la sicurezza e sopravvissuto agli attacchi nascondendosi nel letto di un torrente prosciugato, dal quale insieme a Soham Gueta ha assistito al massacro di una donna da parte di 5 uomini.

E, poi, il silenzio. Durante una guerra, infatti, si cerca di identificare i corpi delle vittime, tralasciando il motivo per cui sono morte. È per questo che un paramedico israeliano ha raccontato al Times di aver trovato i corpi di due ragazze adolescenti in una stanza a Be’eri, ma poiché il suo lavoro era quello di cercarne altri, non ha documentato la scena. Ha continuato a camminare, sorpassando col cuore in gola quella giovane donna sdraiata su un fianco con le mutande strappate e i lividi all’inguine, e poi, anche la sorella, sdraiata sul pavimento a faccia in giù, con il pigiama alle ginocchia, il sedere scoperto e lo sperma sulla schiena.

E mentre Hamas nega le accuse di violenza mosse da Israele, l’indagine continua con Shari Mendes, architetto chiamato alle armi come riserva, il capitano Maayan e diversi volontari della Zaka, la squadra di soccorso alle emergenze: ognuno di loro ha visto e testimoniato a posteriori le violenze. Nessuno ha fatto fotografie. Tutti se ne pentono.

Le loro voci però sono servite e stanno echeggiando in tutto il mondo, fino all’Italia dove il 2 gennaio è partito un appello contro la violenza di Hamas sulle donne. Una raccolta firme iniziata da Milano, promossa dalla ginecologa e attivista Alessandra Kustermann, dalla regista teatrale Andrèe Ruth Shammah, dalla clinica Mangiagalli-Policlinico, dalla giornalista Silvia Grilli e Anita Friedman (ideatrice dell’associazione Setteottobre) e dalla presidente della Casa delle Donne di Milano, Manuela Ulivi.

Un testo chiaro che chiede la condanna di un piano studiato per oltraggiare le donne, che cerca l’attenzione di chiunque non voglia rimanere indifferente di fronte a qualsiasi stupro, affinché quello del 7 ottobre venga dichiarato femminicidio di massa.

Non si può restare in silenzio: il testo dell’appello

Il 7 ottobre le donne non sono state uccise come gli altri civili durante l’attacco di Hamas a Israele. Sono state sottoposte a violenze di gruppo che hanno loro frantumato i bacini, le loro gambe sono state divelte, le loro vagine dilaniate con i coltelli, i loro seni asportati e usati per giocare a pallone. Sono state esibite nude sulle strade. I militanti di Hamas hanno urinato sui loro corpi, li hanno cosparsi di sperma. Le hanno decapitate, bruciate, smembrate. Prese in ostaggio, durante la prigionia sono state ancora molestate e oltraggiate. Anche i loro cadaveri sono stati vituperati.

Il mondo non ha voluto credere all’orrore. La verità è stata negata. nonostante le prove: i video che mostrano cadaveri con vestiti strappati, gambe divaricate, vagine in vista, volti carbonizzati. Poche voci si sono alzate per denunciare la violenza di genere, nonostante i filmati degli interrogatori in cui i terroristi ammettevano di aver voluto violentare le donne per sporcarle, nonostante le testimonianze raccolte dalla polizia, nonostante i racconti dei sopravvissuti. Nonostante, da ultima, l’inchiesta del quotidiano New York Times che conferma l’orrore a cui sono state sottoposte le israeliane.

Qualsiasi opinione abbiate sul conflitto, qui non si tratta di prendere una posizione politica. Qui si tratta di sottoscrivere che ci opponiamo sempre, in ogni caso, alla violenza di genere. Le violenze di Hamas non sono stati eventi isolati, ma un piano studiato per oltraggiare le donne. Chiunque condanni la violenza di genere non può rimanere indifferente, o girare la testa dall’altra parte.

Se credi che la vita di ogni donna abbia un valore, unisciti a noi in quest’appello per affermare che nessuno stupro debba essere legittimato, chiunque ne sia l’autore. Non si può restare in silenzio. Lo dobbiamo alla memoria di tutte le nostre sorelle, anche quelle israeliane.

Il femminicidio del 7 ottobre deve essere dichiarato femminicidio di massa e gli autori devono essere condannati per tale reato.

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