Economia

L’eco-digitale potrebbe valere 33mila miliardi entro 4 anni

Le imprese che scommettono su digitalizzazione e tecnologie sperimentali non solo hanno un ritorno economico superiore alla media, ma impattano positivamente sull’ambiente
Credit: Danielle Suijkerbuijk
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20 febbraio 2024 Aggiornato alle 08:00

La velocità dell’innovazione tecnologica può incutere paura nei lavoratori (di oggi e di domani), che sin dai primi anni della rivoluzione industriale temono di essere sostituiti da una tecnologia molto più performante e instancabile. È un rischio che, oggettivamente, si annida sempre dietro l’angolo, ma che tuttavia non deve offuscare i numerosi vantaggi che l’utilizzo dei nuovi strumenti tecnologici e digitali può regalare al mondo del lavoro, specialmente in termini di risparmio energetico.

A fare il punto della situazione ci ha pensato il rapporto di The Eco-Digital Era: The dual transition to a sustainable and digital economy curato da Capgemini Research Institute, società di consulenza informatica che fornisce soluzioni e strategie innovative digitali e tecnologiche, in collaborazione con il Digital Value Lab del Digital Data Design Institute di Harvard. La ricerca si è basata sulla somministrazione di interviste a 1.500 dirigenti di livello senior di oltre 1.300 grandi organizzazioni (con fatturato annuo superiore al miliardo di dollari) insieme a 150 startup dello stesso valore impegnate in molteplici iniziative digitali, tutte attive in diversi settori (automotive, prodotti di consumo, banche, assicurazioni ecc.) e dislocate in 14 Paesi tra Nord America, Asia-pacifico, Europa, tra cui l’Italia.

Nell’intento di fare il punto sulla transizione digitale e sostenibile, il rapporto prevede che l’economia eco-digitale, composta da nuovi modelli di business fortemente digitalizzati, potrà raddoppiare il suo valore entro i prossimi 4 anni grazie a un giro d’affari pari a 33.000 miliardi di dollari e notevoli implicazioni positive anche a livello ambientale. Un successo potenziale che affonda le sue radici nel lavoro e svolto dalle aziende negli ultimi 5 anni, che ha consentito di “ridurre il consumo energetico di quasi un quarto e le emissioni di gas serra (GHG) del 21%”. Tanto che 7 imprese su 10 guardano con fiducia a un futuro dove il digitale sarà determinante per la crescita dei ricavi, ben più alti di tutti i modelli di business tradizionali

La digitalizzazione rappresenta quindi un valore economico, sociale e in ottica di sostenibilità, condensato nella efficiente combinazione tra utilizzo di dati, cloud, ecosistemi collaborativi insieme a prodotti e servizi connessi che consentono alle aziende numerosi vantaggi connessi alla riduzione del consumo di carta e delle relative emissioni di gas serra, grazie a un maggiore utilizzo di documenti digitali che, oltre a comprimere l’inquinamento, permettono di gestire in maniera più intelligente i propri dati e ottimizzare i processi produttivi, riducendo sia gli sprechi che i costi di produzione e gestione. Il tutto conferisce maggiore efficienza e produttività all’impresa digitalizzata, un capitale di valore che ne incrementa la competitività sul mercato e può aprire nuove opportunità di business.

Non può mancare, inoltre, una specifica attenzione alle tecnologie più innovative che, nonostante il carattere ancora sperimentale, hanno già convinto il 48% delle imprese oggetto di indagine, che ne prevedono l’implementazione a breve. Parliamo di edge computing, un modello di elaborazione dei dati che avviene in prossimità della loro fonte, anziché in un data center centralizzato e più lontano, con benefici in termini di riduzione della latenza e maggiore affidabilità e sicurezza.

E ancora la biologia sintetica, disciplina a metà strada tra l’ingegneria e la biologia molecolare, in grado di costruire nuovi sistemi biologici, la cui applicazione spazia fra diversi settori come la farmaceutica, agricoltura, chimica ed energetica. Ultima, ma non per importanza, è l’intelligenza artificiale generativa, sempre più studiata e implementata dalle aziende per coadiuvare lo sviluppi di nuovi prodotti e servizi, ottenere analisi più accurate per le decisioni strategiche e sistemi di customer care intelligenti, ma anche svolgere i compiti più ripetitivi e logoranti e ottimizzare i processi produttivi.

Nei prossimi 5 anni, prevede lo studio, gli investimenti rivolti a sostenere la trasformazione digitale, dalla cybersecurity all’automazione dei processi aziendali incrementeranno i loro rendimenti dal 4% al 14%. Uno scenario aziendale completamente rivoluzionato soprattutto in termini di competenze, dato che “quasi il 40% dei dipendenti totali sarà dedicato alle iniziative digitali nei prossimi 3-5 anni”, un obiettivo a cui già il 64% delle organizzazioni sta dedicando risorse, nell’intento di portare il proprio organico a nuovi livelli di conoscenze che garantiscano un uso proficuo delle nuove tecnologie.

Se complessivamente il 77% delle imprese in tutto il mondo è inserita in un percorso di transizione digitale, a livello esclusivamente nazionale ben il 68% delle aziende si riconosce come molto attento a questi cambiamenti. Anche se, come evidenzia il report, nella grande torta della transizione eco-digitale l’Italia rappresenta una piccola fetta dell’1,5%, al pari dei Paesi Bassi, ma molto meglio di Spagna (1,0%), Australia (0,9%) e Svezia (0,8%). Mentre sul podio siedono rispettivamente Francia con il 3,9% di economia digitalizzata, Giappone con l’11,1% e infine gli Stati Uniti, che con il 25,8% è riuscita a produrre 3,7 trilioni di dollari di gross output (ossia il valore complessivo dei beni e servizi prodotti da un’azienda o da un settore industriale in un determinato periodo di tempo), ovvero il 10,3% del prodotto interno lordo nazionale.

L’economia digitale del Sud-Est asiatico ha registrato invece un aumento delle dimensioni del 20% rispetto al 2021 e si prevede possa raggiungere i 224 miliardi di dollari entro il 2025, tenendo sempre a mente che, prima della pandemia, l’Asia rappresentava il 60% dei brevetti tecnologici, in aumento rispetto al 40% rispetto ai due decenni precedenti.

Nonostante il punteggio piuttosto basso anche a livello europeo (dove in base a quanto rilevato dall’indicatore Sme-Digix in tema di digitalizzazione ci posizioniamo al 19° posto su 27 Paesi dell’Unione), a dare speranza all’Italia è l’indice di potenziale crescita del 32%, segno che le aziende del Belpaese stanno già facendo progressi nell’implementazione di tecnologie eco-digitali, per le quali il 75% dei leader ritiene strategico investire nell’automazione dei processi lavorativi, per poi seguire con l’educazione digitale dell’organico e implementazioni di software di intelligenza artificiale generativa.

«Siamo alle porte di una nuova era di trasformazione - commenta Raffaella Santoro, managing director di Capgemini Invent in Italia - abbiamo solo iniziato a scoprire in che modo le tecnologie digitali possono dare un contributo per ottenere notevoli vantaggi a livello economico, ambientale e sociale».

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