Ambiente

Crisi idrica: cosa stiamo facendo per contrastarla?

California, Inghilterra, Italia stanno adottando alcune norme per affrontare il problema della scarsità dell’acqua, reso più complesso dagli effetti del cambiamento climatico
Credit: Aviv Perets 

Crisi idrica: un problema globale in un clima che cambia

La crisi idrica sta mettendo a dura prova diverse aree del mondo. I dati ci dicono chiaramente che la crescente indisponibilità di “oro blu” è destinata a diventare una delle criticità più importanti che l’umanità sarà chiamata ad affrontare in questo secolo. Per molte comunità, l’impossibilità di accedere a riserve di acqua potabile è già una realtà presente.

Secondo la Fao, 3,2 miliardi di persone vivono in aree agricole con carenza o scarsità d’acqua elevata. Di queste, 1,2 miliardi di persone, ovvero circa un sesto della popolazione mondiale, vivono in aree agricole sottoposte a gravi stress idrici, aree in cui l’accesso alla risorsa è, in larga parte, negato.

Uno studio del 2016 ha rilevato che circa 4 miliardi di persone, che all’epoca della pubblicazione costituivano i due terzi della popolazione globale, sperimentano una grave scarsità d’acqua per almeno un mese all’anno.

Con l’aumento della popolazione globale e il perpetuarsi di uno sviluppo economico basato su un modello estrattivo, le risorse idriche e le infrastrutture di molti Paesi non riescono a soddisfare la domanda crescente.

A complicare ulteriormente il quadro, il cambiamento climatico, che agendo da vulnerability-multiplier, cioè da forza che esacerba le vulnerabilità preesistenti di un dato territorio o di una comunità di individui, sta contribuendo all’intensificarsi dei periodi di siccità, sempre più prolungati, frequenti e imprevedibili.

Per queste ragioni, secondo la rete delle Nazioni Unite che si occupa di acqua, la UN-Water, è fondamentare che l’acqua venga trattata come risorsa scarsa, garantendo una gestione integrata delle risorse idriche che consenta ai governi di allineare le pratiche di utilizzo dell’acqua alle esigenze degli individui e degli ecosistemi naturali.

Spinti dalla necessità di adattarsi a un clima che cambia, per rispondere alla siccità molti Stati del mondo stanno prendendo provvedimenti.

In California, luce verde al riciclo delle acque di lavandini, gabinetti e docce

È il caso della California, una tra le terre del Nord America più interessate da fenomeni di siccità prolungata. Da anni, infatti, sono già in atto una serie di misure che prevedono il riciclo delle acque reflue per scopi come irrigazione agricola e produzione di neve artificiale per le località sciistiche.

A partire da quest’anno, però, è stato compiuto un ulteriore passo avanti. Lo scorso gennaio, il governo statale californiano ha introdotto nuove regole per il riutilizzo delle acque reflue, limitando in maniera ancor più stringente lo scarico di queste nell’Oceano Pacifico e nei fiumi locali.

La nuova normativa prevede che anche l’acqua proveniente da lavandini, gabinetti, docce e vasche da bagno sarà trattata e reintrodotta nel sistema idrico dopo essere stata resa potabile grazie all’utilizzo di sistemi di depurazione.

Questa decisione, secondo molti descritta come troppo radicale, è giustificata dalla riduzione drastica delle risorse idriche a cui lo Stato ha assistito negli ultimi anni.

Come specificato dal California State Water Resources Control Board (Swrcb), affiliato all’Agenzia californiana per la protezione ambientale, si è trattato comunque di una scelta ponderata, presa a seguito di una serie di studi effettuati per valutare i possibili impatti di tale decisione sulla salute umana, e che hanno sortito esiti positivi.

Va anche specificato che le nuove regole non costituiscono in alcun modo un obbligo per i gestori dell’acqua potabile, anche perché il costo degli impianti di depurazione rimane piuttosto alto. Le nuove misure non vanno dunque interpretate come un’imposizione ma come un’opportunità, una soluzione che sarà incentivata dal governo del Paese e gradualmente implementata nelle diverse contee.

L’Inghilterra e il Galles eliminano i bonus per le aziende colpevoli di scarichi illegali di liquami

Anche in Inghilterra e Galles, negli ultimi giorni, è arrivata una nuova decisione esecutiva che riguarda la gestione delle risorse idriche.

Il governo ha infatti stabilito la cancellazione di bonus finora previsti per i dirigenti di tutte le società idriche che d’ora in poi non riusciranno a prevenire fuoriuscite illegali di liquami grezzi che inquinano fiumi, laghi e mari.

Questa decisione è il risultato della pressione politica effettuata da attivisti per il clima e rappresentanti del partito laburista, che da tempo denunciano l’impatto ambientale dei liquidi di scarico.

Si tratta di una misura sostenuta dal segretario all’ambiente, Steve Barclay, che ha proposto di bloccare i pagamenti ai capi delle aziende trovati colpevoli del reato di inquinamento idrico.

A tal proposito, Barclay ha dichiarato: «Nessuno dovrebbe trarre profitto dal comportamento illegale ed è giunto il momento che i dirigenti delle società idriche si assumano la responsabilità di ciò».

Secondo il Dipartimento per l’Ambiente, l’Alimentazione e gli Affari Rurali inglese, l’eliminazione dei bonus dovrebbe verificarsi in caso di inquinamento di aree protette o siti balneari, oppure in circostanze di comprovate carenze gestionali, con la possibilità che i provvedimenti siano estesi ai direttori generali e a tutti i membri dell’organo esecutivo.

In Italia aumentano gli investimenti per una gestione dell’acqua più sostenibile

Qual è invece la situazione nel nostro Paese?

Se è vero che il settore agroalimentare è sempre più orientato all’adozione di pratiche sostenibili di gestione delle risorse idriche, al fine principale di raccogliere e immagazzinare l’acqua in accesso per assicurare riserve sufficienti nei periodi di siccità, gli sforzi fatti finora risultano insufficienti. A fotografare la situazione, un dato su tutti: su 300 miliardi di metri cubi di acqua che cadono ogni anno sul territorio italiano, soltanto l’11% viene raccolto.

A fronte di ciò, l’Associazione nazionale dei consorzi di bonifica (Anbi) ha avviato dei progetti, alcuni dei quali in fase di realizzazione (circa il 62% è nelle fasi conclusive), grazie agli 1,1 miliardi di euro provenienti da fondi del Ministero dell’Agricultura e che attingono a linee di finanziamento del Programma di sviluppo rurale nazionale e del Pnrr.

Secondo i dati forniti da Anbi, grazie ai progetti già avviati che coinvolgono in massima parte aree che negli ultimi anni sono state duramente colpite da periodi di siccità prolungate e da ondate di calore, sarà possibile registrare progressi considerevoli.

Come ha spiegato Massimo Gargano, direttore Anbi, «riusciremo a risparmiare 548 milioni di metri cubi d’acqua l’anno, un volume superiore a quello del lago di Garda, mentre la riduzione delle perdite raggiungerà i 465 milioni di metri cubi. L’obiettivo principale è stabilizzare l’irrigazione dei terreni».

Non solo, anche il valore della produzione delle aree interessate dovrebbe aumentare significativamente. Secondo le stime l’incremento annuale sarà di 96 milioni, con un effetto domino positivo anche per l’occupazione, soprattutto grazie alla riconversione dei terreni a colture specializzate, cosa che farà crescere il numero degli impiegati di 7.694 unità.

Ma non c’è da essere troppo ottimisti. Molti progetti sono ancora in cantiere, in attesa di ricevere finanziamenti. Altri fanno fatica a decollare. È il caso del Piano nazionale degli invasi, risalente al 2017 ma ancora alle battute iniziali: si tratta di un progetto da 20 miliardi di euro che prevede la creazione di 2000 bacini idrici in tutto il territorio nazionale. Un altro esempio è il Piano laghetti, presentato nel 2022 da Anbi e Coldiretti, che consiste nella realizzazione di oltre 10.000 piccoli e medi invasi entro il 2030.

Per tirare le somme: è indiscutibile che si stiano facendo dei progressi, ma questo è il momento di accelerare il passo. L’Italia è un paese estremamente vulnerabile al cambiamento climatico. Gli eventi meteorologici estremi che negli ultimi mesi hanno colpito diverse regioni del Paese, da Nord a Sud, ce lo hanno dimostrato. Per far fronte alla sfida rappresentata dalla crisi idrica e per garantire una gestione più sostenibile dell’acqua sul lungo periodo è imperativo cambiare radicalmente le tecniche di coltivazione, aumentare gli investimenti in nuove infrastrutture e sprigionare l’enorme potenziale di tutti quei progetti che non hanno ancora visto la luce.

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