Bambini

Orfani di femminicidio, il dramma dei bambini che restano

Quando un uomo uccide la madre dei propri figli, questi restano improvvisamente soli ad affrontare le conseguenze di un delitto che li priva di entrambi i genitori
Credit: Andy Barbour
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24 febbraio 2024 Aggiornato alle 08:00

Secondo i dati Istat e del Ministero dell’Interno, sono oltre 3000 i femminicidi compiuti in Italia dal 2002 al 2023, la maggior parte in ambito famigliare e affettivo. Si tratta quindi spesso di donne uccise dal partner o dall’ex partner, che in alcuni casi è anche padre dei loro figli.

Quando ciò avviene, alla tragedia per la morte della donna si somma il dramma dei bambini chi restano e diventano orfani di entrambi i genitori, visto che a seguito di un simile delitto il padre non ha più contatti con loro, perché detenuto con responsabilità genitoriale sospesa o decaduta, o perché morto suicida.

I figli in questo caso sono vittime indirette e vengono definite dalla psicoterapeuta Anna Costanza Baldry “orfani speciali”, perché speciale e complesso è il trauma che li attraversa, dovuto a una perdita brutale e aggressiva di affetti e punti di riferimento.

Ma cosa succede loro dopo il tragico evento? Dove vivono e con chi? In che modo vengono tutelati dallo Stato?

Nel 2018 è stata approvata la legge n. 4 in tutela degli orfani a causa di crimini domestici, che modifica il codice penale intervenendo sull’omicidio aggravato dalle relazioni personali, e, dal punto di vista processuale, consente ai figli della vittima l’accesso al patrocinio a spese dello Stato, a prescindere dai limiti di reddito.

Il provvedimento, infatti, opera con aiuti e tutele economiche agli orfani minorenni e maggiorenni non autosufficienti, erogabili attraverso più modalità: assegno alle famiglie affidatarie, borse di studio per garantire l’accesso all’istruzione e contributi per l’inserimento al lavoro. Un’ulteriore disposizione della legge n. 4 consente ai figli, laddove richiesto, di modificare il proprio cognome, se coincidente con quello del genitore condannato definitivamente per omicidio.

Quella degli “orfani speciali” è una situazione poco dibattuta, che necessita di accorgimenti di fondamentale importanza. A oggi però non esiste ancora una banca dati ufficiale circa il numero preciso degli orfani di femminicidio, motivo per cui l’unico modo di risalire ai casi presenti in Italia è andare a ritroso, partendo dalle donne uccise e analizzando la loro situazione familiare.

Elementi parziali e circoscritti si possono ricavare dall’iniziativa A braccia aperte a opera dell’impresa sociale Con i Bambini, soggetto attuatore del Fondo per il contrasto alla Povertà Educativa Minorile istituito dall’Acri e finalizzato alla rimozione degli ostacoli economici, sociali e culturali che impediscono la piena fruizione dei processi educativi da parte dei minori.

A braccia aperte è un progetto volto all’assistenza, alla formazione e all’inclusione socio-lavorativa degli orfani di crimini domestici, nonché al sostegno delle famiglie affidatarie. Dall’attività di raccolta e analisi dei dati fatta dai responsabili risulta che, su un campione di 157 orfani di femminicidio presi in carico, il 36% era presente al momento dell’omicidio. Il 42% della totalità dei casi oggi vive in famiglia affidataria e solo il 5% è stato dato in adozione.

Nel medesimo perimetro si articola anche la relazione condotta dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, approvata nella seduta del 18 novembre 2021, che ha permesso di individuare che, nel biennio 2017-2018, i figli rimasti orfani di madre, in seguito al femminicidio di quest’ultima per mano del partner o dell’ex partner, sono 169, di cui il 39,6% minorenni. Il 32,5% del totale è rimasto orfano anche del padre, suicidatosi dopo l’omicidio.

In quest’ultima percentuale trovano spazio anche storie incomprensibili che nascono proprio dalla difficile constatazione dei casi di omicidio-suicidio. Un esempio è quella di Noemi d’Alba, un’orfana speciale che aveva solo 12 anni quando il padre, dopo aver ammazzato la madre, si è tolto la vita. Noemi si è vista negare il proprio inserimento nella categoria protetta degli orfani di femminicidio perché, in assenza di sentenza di condanna per la morte della madre, il padre, suicidatosi dopo l’assassinio, non è mai stato processato. Pertanto Noemi, non essendo rientrata nella sopracitata categoria, non ha potuto godere di alcuna forma di tutela prevista dalla legge n. 4 del 2018, né psicologica, possibile solo grazie al contributo degli zii affidatari, né economica, che l’ha vista costretta a lavorare per coprire il costo degli studi universitari.

Gli orfani di femminicidio sono, quindi, vittime collaterali che vivono portando sulle spalle non solo il peso del dramma verificatosi ma anche le conseguenze, psicologiche, burocratiche ed economiche, che questo comporta. Si tratta di casi complessi e articolati che richiedono un trattamento specifico su tutti i piani d’azione, favorito anche da associazioni e imprese sociali che appoggiano la causa. Ma l’inesistenza di dati ufficiali che documentano quanti e dove siano li pone, inevitabilmente, in una condizione di ombra.

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