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Il femminicidio: la punta del solo iceberg che dovrebbe sciogliersi

Oggi si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. Purtroppo però tra gelosia, botte e ancora troppe morti, la strada verso l’uguaglianza è tutta in salita
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25 novembre 2023 Aggiornato alle 09:00

Oggi, 25 novembre, si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne e io ti volevo parlare di una cosa che è successa la settimana scorsa e che c’entra con questa ricorrenza. Poi, però, questa cosa è successa di nuovo lunedì. Oggi siamo sabato e ci sono buone possibilità che risucceda prima di lunedì. Questa cosa è un femminicidio.

Il femminicidio è quando si uccide una femmina - ragazza, donna, signora anziana: l’età non conta - proprio perché è femmina. Perché la gente - tanta gente - crede che le femmine siano di proprietà dei maschi. Le figlie sono proprietà dei loro babbi, le fidanzate sono proprietà dei loro fidanzati e le mogli sono di proprietà dei loro mariti. Allora quando una femmina fa di testa sua, il maschio che se ne sente il padrone la uccide.

In Italia, per fortuna, si uccide sempre di meno. Ci sono state epoche recenti - chiedi anche ai tuoi nonni - in cui gli omicidi erano molti più comuni. Nel 2004, quasi 20 anni fa, erano stati 711, quasi 2 al giorno. Un sacco. Nel 2021, 2 anni fa, sono stati 303, meno della metà, meno di uno al giorno. Ma in questi 20 anni, il numero di femminicidi non è diminuito, anzi: ogni anno si superano i 100 femminicidi.

Questo vuol dire che 1 omicidio su 3 non è compiuto da una persona sconosciuta - che ne so, un ladro, un criminale, un supercattivo con i superpoteri - ma da un parente della donna uccisa. Un marito, un fidanzato, un padre.

Gli omicidi sono solo una parte del problema. Non tutti i maschi uccidono le femmine - ci mancherebbe altro! Ci sono le botte, per esempio. In Italia, sono finite al pronto soccorso 14.000 donne solo nel 2021 per i colpi subiti da mariti e fidanzati.

Te l’ho detto e lo capisci pure da te, non tutti i maschi uccidono le femmine. Il maschilismo, però, è molto profondo e si esprime attraverso piccoli gesti velenosi, piccole frasi amare, piccoli pensieri sporchi che, se non ricevono l’antidoto, possono portare a gesti, frasi e pensieri molto più gravi.

Ci sono tanti gesti che consideriamo normali, addirittura belli, e che sono invece veri e propri reati. La gelosia, che ci fa sentire importanti, è sbagliata, ci toglie la libertà e nasce dall’idea che siamo di proprietà esclusiva di qualcuno. Ma vietare a unə fidanzatə di uscire è un reato. Controllare il suo telefono alla ricerca di messaggi è un reato. Offenderlə è un reato. Ricoprire un ex fidanzatə di messaggi e di attenzioni indesiderate è un reato. Obbligarlə a farci delle coccole a forza è un reato.

Noi viviamo in una cultura patriarcale, cioè una cultura sbagliata dove i maschi sono messi al centro del mondo e le femmine dovrebbero svolazzar loro intorno come tante falene intorno a un lampione. Quando una femmina decide di fare di testa sua, per esempio studiando, lavorando, andando via di casa, inseguendo un sogno, va contro questa cultura. Ma la falena è libera, mica è incatenata al lampione.

La settimana scorsa, una ragazza giovane e brillante di nome Giulia è stata uccisa dal suo ex-fidanzato. Da allora, sua sorella Elena sta facendo una cosa portentosissima. Parla. Parla a tutti, con infinita forza e pazienza, alla stampa, in tv, sui social. Anche se è tramortita dalla tristezza trova una forza misteriosa per spiegare a tutti cos’era successo. Si è presa la briga di spiegare ai ragazzi (ma pure a tanti adulti) la cultura maschilista nella quale siamo inzuppati e che tarpa le ali a tutti, maschi e femmine. Ha usato lo spazio del suo dolore per mettere in guardia le ragazze ed evitare che succeda loro quello che è successo a sua sorella.

Perché una cosa così, una cultura sbagliata, non si risolve in un attimo. Le culture si tessono in centinaia e centinaia di anni e ci vuole altrettanta pazienza per sbrogliarne i punti storti e raddrizzare il tiro. Non ci serve una cultura con le toppe che nascondono squarci e buchi, ma una cultura rammendata con cura e intessuta da tutti e da tutte con molta pazienza.

Da quando Giulia non c’è più, una rabbia buona si è impossessata di ragazzi e ragazze. Ogni giorno, bellissime manifestazioni si sono succedute nelle strade, nelle scuole, nelle università. “Basta!” hanno intonato in coro. A questo basta, però, ci arriveremo solo in coro. I politici e le politiche dovranno mettere soldi e riflessioni in azioni davvero concrete. Dovranno investire nell’educazione affettiva, nei consultori e negli ospedali. Le famiglie dovranno drizzare le orecchie e accogliere i problemi invece di nascondersi dietro al sottile paravento della perfezione.

I maschi dovranno educarsi fra loro. Ogni volta che vedranno un amico, un parente, un compagno trattare male una ragazza, dovranno farglielo notare e metterlo con le spalle al muro. Le ragazze continueranno a fare quello che hanno sempre fatto: rete. Si occuperanno le une delle altre e pure degli altri. Con un po’ di fortuna, però, potranno fare a meno di morire.

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