India: la tribù degli Shompen è a rischio genocidio per un progetto di urbanizzazione
Un enorme progetto da 9 miliardi di dollari per trasformare la Grande Isola di Nicobar nella ”Hong Kong dell’India”. Un progetto che potrebbe diventare “una condanna a morte” per i cacciatori-raccoglitori Shompen che su quell’isola vivono. A riaccendere i riflettori sul lato oscuro del progetto del Governo indiano è un gruppo di 39 accademici provenienti da 13 Paesi, che in una lettera aperta al Presidente Droupadi Murmu ha avvertito che: “Se il progetto andrà avanti, anche in forma limitata, crediamo che sarà una condanna a morte per gli Shompen, equivalente al crimine internazionale di genocidio”.
Il progetto prevede la costruzione di un terminal marittimo internazionale, un aeroporto, una centrale elettrica, una base militare e un parco industriale ma anche lo sviluppo del tessuto urbano e turistico dell’isola di 900 km quadrati che si trova a circa 800 miglia a est di Chennai.
Qui vive la comunità degli Shompen, che dipendono dalla foresta pluviale per la loro esistenza e hanno pochi contatti con il mondo esterno. Per questo, spiega la lettera, “il semplice contatto tra gli Shompen – che hanno poca o nessuna immunità alle malattie infettive esterne – e coloro che provengono da altrove, provocherà sicuramente un precipitoso collasso della popolazione. Ne conseguirà la morte di massa dell’intera tribù Shompen. L’unico modo per evitare la distruzione dello Shompen è che il progetto venga abbandonato”.
Come ricorda il Guardian, nei piani del Governo non è chiaro cosa che accadrà agli Shompen e ai nicobaresi, un’altra popolazione che vive sull’isola ma che viene considerata meno vulnerabile a causa del minore isolamento: si dice solo che gli indigeni potranno essere ricollocati “se necessario”.
Secondo gli studiosi, “l’effetto cumulativo di questi sviluppi e il proposto spostamento demografico che comporta 650.000 coloni, ovvero un aumento dell’8.000% della popolazione, saranno la condanna a morte degli Shompen. Il risultato sarà un crollo psichico collettivo, che porterà a un devastante declino della popolazione”.
Quella degli accademici non è la prima richiesta di abbandonare il progetto. Già lo scorso anno 70 ex funzionari governativi e ambasciatori avevano scritto al Presidente: “ci auguriamo che esaminerete la questione in modo approfondito e garantirete che un progetto inteso per lo sviluppo olistico della Gran Nicobar non si traduca nell’impoverimento e nella definitiva estinzione di queste comunità tribali altamente vulnerabili”.
Secondo il Governo indiano, però, il progetto è vitale anche per la sicurezza e la difesa, data la posizione strategica dell’isola nell’Oceano Indiano, che permetterebbe di contrastare la crescente presenza della Cina nella regione. L’approvazione del progetto è prevista per i prossimi mesi e la costruzione del porto potrebbe iniziare già entro la fine del 2024. a essere già stato approvato, invece, è l’abbattimento di 850.000 alberi sull’isola.
Arjun Munda, ministro degli affari tribali, ha dichiarato: «Ogni aspetto di questo progetto è stato esaminato molto seriamente da vari ministeri… il progetto sarà eseguito con le massime precauzioni per mantenere la sacralità del luogo e della sua gente».
Ma la paura è anche per l’impatto ambientale. La Gran Nicobar ospita numerose specie endemiche, tra cui macachi dalla coda lunga, toporagni e assioli, ed è un’area di nidificazione delle tartarughe marine. Il Conservation Action Trust, un’organizzazione ambientalista di Mumbai, ha presentato una petizione al National Green Tribunal per la tutela della biodiversità nell’isola, ma è stata respinta.