(NASA)
Futuro

Space Economy: l’Italia è il terzo finanziatore dell’Agenzia Spaziale Europea

Il rapporto dell’Organisation for Economic Cooperation and Development fa il punto su traguardi e sfide globali nel settore dell’economia spaziale. Tra i problemi da affrontare: lacune occupazionali, divario di genere, detriti in orbita e attacchi alle infrastrutture
di Chiara Bernardini
Tempo di lettura 7 min lettura
12 febbraio 2024 Aggiornato alle 08:00
  • Indice dei contenuti
  • La crescita del settore spaziale, tra sfide e opportunità
  • Le lacune occupazionali e il divario di genere
  • Le minacce naturali e umane
  • I detriti in orbita
  • La grande sorpresa italiana

Dove saremo tra 1.000 anni? Quando si parla di futuro, questa è una delle domande più frequenti, ma a oggi il quesito non ha ancora una risposta definitiva; o meglio: la direzione non è per niente rassicurante. Il cambiamento climatico si è trasformato in una vera e propria crisi, la biodiversità è in pericolo, l’inquinamento è onnipresente.

Fenomeni che, nonostante l’evidenza, continuano a essere sottovalutati e ignorati dalla maggior parte delle persone. A descriverlo, in questo caso, è il rapporto pubblicato sulla Oecd iLibrary (Organisation for Economic Cooperation and Development) all’interno del quale si evidenzia quanto importante sia per il nostro futuro la Space Economy.

L’economia spaziale è una delle più promettenti traiettorie di sviluppo della stessa economia mondiale nei prossimi decenni. Una catena che, partendo dalla ricerca e dalla realizzazione delle infrastrutture spaziali, arriva fino alla creazione di prodotti e servizi innovativi, come la navigazione, il posizionamento e il monitoraggio ambientale.

Fantascienza? No, bensì la speranza di riuscire a riequilibrare la vita sulla Terra. Il settore, si legge nel rapporto, ha influito e continua a influire positivamente e con grandi risultati. Ma, per riuscire a compiere ulteriori passi, c’è bisogno di qualcosa in più.

La crescita del settore spaziale, tra sfide e opportunità

Negli ultimi 15 anni si è sperimentata una crescita esplosiva, con oltre 1.000 satelliti lanciati annualmente, tanto che nel 2022 si è arrivati un totale di 6.700 operativi in orbita (un dato che ha doppiato quello del 2020); complici gli eventi internazionali: dalla pandemia, per garantire connettività negli ospedali e nelle scuole, alla guerra tra Russia-Ucraina.

Questi fattori hanno portato alla consapevolezza della necessità di costruire una solida infrastruttura a banda larga, potente, in grado di raggiungere davvero chiunque per riuscire a fare la differenza in futuro. È importante, però, capire come questa ascesa sia guidata principalmente da attori commerciali, che rappresentano il 78,6% dei satelliti attivi, seguiti da quelli militari e governativi (10,2%) e non governativi (8%). È quindi chiaro come sia iniziata una vera e propria corsa per occupare lo Spazio e le sue risorse.

La presenza più “intensa” di oggetti nel cosmo incide non solo sull’ambiente, ma anche sulla società e porta con sé significative conseguenze che richiedono una maggior attenzione. Sebbene le previsioni a breve termine siano positive, grazie alla domanda governativa e alle attività commerciali, i dati storici mostrano una crescita disomogenea, con un aumento del 7% soltanto nel segmento delle apparecchiature utente tra il 2008 e il 2021.

Le tendenze sul periodo più lungo, invece, mostrano una diminuzione complessiva degli stanziamenti pubblici per la ricerca e lo sviluppo (R&S) spaziale rispetto anni ‘90. Inoltre si evidenzia un futuro incerto per le attività civili, mentre cresce l’interesse per quelle militari.

In sintesi, il settore presenta sfide da trasformare in opportunità, con l’imperativa azione di considerare diversi fattori, inclusi gli impatti delle crisi globali, le dinamiche geopolitiche e l’evoluzione delle tecnologie.

Le lacune occupazionali e il divario di genere

Nello Spazio, la situazione a livello di capitale umano non è delle migliori e diventa ancora più critica se si dà uno sguardo alla struttura interna. Secondo un’indagine inserita nel rapporto di Oecd iLibrary, le donne sono ancora sottorappresentate nel mondo dell Space Economy, soprattutto nei settori scientifici e ingegneristici. Tuttavia, negli Stati Uniti si può parlare di tendenza positiva, con un aumento in percentuale delle ingegnere laureate, dal 14% al 19% tra il 2010 e il 2021.

Sorprende il Regno Unito dove il divario da colmare sembra essere più grande, anche in termini di percezione: il 47% delle donne non si sente a proprio agio in questo ambito, contro il 79% degli uomini, una discrepanza evidente nel mondo accademico e nelle imprese di piccole dimensioni. Inutile aggiungere, purtroppo, che la cosa non cambia in riferimento alla provenienza etnica.

Le minacce naturali e umane

Un’altra grande sfida che la Space Economy dovrà sostenere è quella legata al rischio meteorologico nello Spazio: un’importante minaccia, soprattutto se pensiamo che oggi la capacità di prevedere alcuni fenomeni è ancora molto limitata.

Per fare qualche esempio: il brillamento solare del 2006, che interruppe comunicazioni satellitari e i segnali Gps per 10 minuti; l’espulsione di massa coronale nel 2022 che causò il guasto di un satellite SpaceX; la tempesta geomagnetica del 1859 che in Nord America e in Europa disabilitò i sistemi telegrafici, così come quella canadese del 1989 che colpì la rete elettrica di Hydro Québec.

L’essere umano, poi, fa la sua parte, posizionandosi spesso come un ostacolo. Le infrastrutture, infatti, sono progettate per resistere alle condizioni esterne naturali, ma sono meno difese contro gli “atti dolosi”, come quelli anti-satelliti ed elettronici che causano le interruzioni dei segnali satellitari. La guerra in Ucraina, infatti, ha portato a diversi attacchi elettronici e informatici alle infrastrutture.

I detriti in orbita

Infine, non va sottovalutata la crescente pericolosità dei detriti, una minaccia che ha catturato l’attenzione grazie ai 25.000 oggetti catalogati dalla US Space Force. E non si tratta solo di veicoli spaziali operativi e defunti, ma anche frammenti generati da collisioni ed esplosioni in orbita, insieme a resti legati alle missioni, come gli oggetti rilasciati durante il dispiegamento.

La massa complessiva a bassa quota è notevole, con i corpi dei razzi che rappresentano quasi il 40% della massa totale. Il problema è proprio qui: i detriti terrestri si decompongono naturalmente attraverso l’attrito atmosferico durante il rientro sulla Terra. Ma quelli situati in orbite geostazionarie richiedono strategie specifiche, come spostamenti in orbite “cimitero”, per evitare l’accumulo e il rischio di collisioni.

La vita operativa dei satelliti varia notevolmente: quelli in orbite geostazionarie sono progettati per durare 15-20 anni, mentre quelli in orbite inferiori possono rimanere operativi solo per alcuni anni. Nonostante la regolamentazione imponga ai carichi utili di liberare la loro orbita entro 25 anni dalla fine delle operazioni, la presenza di diverse categorie di detriti e satelliti complica il quadro.

Affrontare con successo questa sfida richiede sforzi coordinati e strategie innovative per garantire la sostenibilità e la sicurezza delle attività spaziali nel futuro della Space Economy.

La grande sorpresa italiana

Tra tutte queste informazioni, emerge una sorprendente verità: l’Italia è il terzo principale finanziatore dell’Agenzia Spaziale Europea, posizionandosi subito dopo Francia e Germania. La sua lunga e significativa presenza si traduce in un bilancio istituzionale di 1.391 milioni di dollari nel 2022, con una notevole crescita annua del 5,8% a partire dal 2015.

Il Belpaese, inoltre, rientra tra i primi 10 richiedenti brevetti per tecnologie a livello globale e ha visto un crescere notevolmente la quota di richiedenti nel settore privato tra il 2006 - 2010 e il 2016 - 2020.

Nell’ambito dell’assistenza ufficiale allo sviluppo sul campo, ha investito 5 milioni di dollari tra il 2002 e il 2021 con focus su protezione ambientale e gestione dei disastri. Ma non solo: l’Italia contribuisce anche in modo indiretto, attraverso le istituzioni europee (come l’Agenzia Spaziale Europea) e, a livello globale, con la Banca Mondiale. Guardando alla produzione scientifica, infine, lo Stivale si distingue per i suoi risultati superiori rispetto alla media dei Paesi Ocse.

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