Culture

Antonio Viganò: «L’inclusione è capace di riscattare l’arte del teatro»

L’Accademia Arte della Diversità-Teatro La Ribalta celebra 10 anni di successi. Il direttore artistico Antonio Viganò li ha raccontati a La Svolta
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22 gennaio 2024 Aggiornato alle 10:00

L’Accademia Arte della Diversità - Teatro La Ribalta ha appena celebrato i primi dieci anni di attività: anni di tentativi, di scommesse, di successi, di premi e di riconoscimenti.

Dieci anni in cui l’obiettivo principale è sempre stato quello di allontanarsi dalle consuetudini e dalle forme di pensiero ufficiali e dominanti per dare visibilità a una forma di inclusione sociale dalla potenza unica, profonda, sincera e autentica, capace di riscattare l’arte del teatro. La Svolta ne ha parlato con il direttore artistico della Compagnia, Antonio Viganò.

L’Accademia Arte della Diversità è un luogo unico in Italia dove, come dice lei sul sito, «fate cultura, teatro, errori, relazioni, formazione, danza, laboratori, riunioni, contratti di lavoro e non nascondete di aver paura che il cielo vi possa cadere sulla testa». Ci aiuta a capire cosa intende?

Intendiamo sottolineare come la scelta di essere un luogo professionalizzante alle arti e ai mestieri della scena per uomini e donne in situazione di disagio psichico ci carica di tante responsabilità. Chiediamo ai nostri attori e alle nostre attrici di essere all’altezza di questa sfida, consapevoli del valore che portano in ambito culturale e sociale. Chiediamo ai nostri attori e alle nostre attrici, come a tutti i componenti di questa Compagnia, di lavorare ogni giorno, con accanimento, per creare opere che svelino bellezza, per diventare protagonisti della propria vita. Per fare questo, dobbiamo superare tanti confini, abitudini, pregiudizi e navigare in acque non ancora esplorate.

La Ribalta è la prima e ancora unica cooperativa teatrale professionale italiana costituita in maggioranza da uomini e donne in situazione di disagio psichico e fisico che hanno scelto, dopo 4 anni di attività di formazione e creazione, di diventare attori e attrici professionisti. Quando e perché ha deciso di avvicinarsi a certe tematiche?

Mi sono avvicinato al tema del disagio incontrando un romanzo straordinario che poi è diventato uno spettacolo. Il romanzo è Fratelli di Carmelo Samonà e parla di un incontro tra un fratello sano e un fratello malato. Questo romanzo mi ha aperto al mistero della “diversità”. Poi, con la compagnia francese degli Oiseau Mouche (prima compagnia teatrale europea costituita da uomini e donne con disabilità), ho iniziato, per diversi anni, un lavoro di ricerca sulle possibilità espressive di quei corpi narranti che sono i corpi degli attori definiti “svantaggiati”. Ho trovato in questi attori una potenza teatrale unica, profonda, sincera. Il teatro mi è sembrato uno strumento straordinario capace di restituire, attraverso la loro forza, la loro fragilità, la loro dolcezza, una diversa “diversità”, che riscatta loro e l’arte del teatro.

Gli attori di La Ribalta non chiedono indulgenze al pubblico ma solo di essere giudicati per il loro lavoro e per la loro capacità di comunicare usando gli strumenti che l’arte teatrale offre loro. Il pubblico come accoglie le loro performances?

Noi sentiamo forte la responsabilità di creare spettacoli, opere di teatro e danza, che nel momento in cui incontrano il pubblico, possano svelare qualcosa che prima non si conosceva e non si vedeva. Attori e attrici che sanno superare la loro condizione sociale e mostrare una capacità narrativa e attoriale rara, capace di passare dalla condizione alla comunicazione. Quando riusciamo a fare questo, il pubblico è rapito dal nostro racconto, dal nostro agire sulla scena e dimentica chi siamo (socialmente) per apprezzare quello che facciamo.

L’Accademia Arte della Diversità - Teatro La Ribalta, di cui lei è direttore artistico, ha appena celebrato dieci anni di attività con 18 creazioni complessive, 704 recite, 9 paesi europei e 4 extraeuropei in cui siete stati invitati a rappresentare le vostre creazioni. Che cos’altro è successo in questi 10 anni?

È successo che, grazie a questi dati quantitativi, questi numeri, siamo diventati a tutti gli effetti una parte del teatro e non un teatro a parte. È successo che siamo stati riconosciuti come soggetto di valore culturale, culturalmente necessario e non come soggetto socialmente utile. Siamo convinti che, se siamo e restiamo un soggetto culturalmente necessario, rafforziamo di più anche il valore socialmente utile del nostro agire. I premi e i riconoscimenti che la critica e il mondo del teatro ci hanno assegnato ci confortano su questa nostra vocazione e volontà.

I vostri scopi sono il riscatto dai luoghi comuni, la possibilità di reinventarsi, la comunità, la polis, il pianto e il riso che interrogano e spiazzano ma non spiegano. Cercate nuove identità, possibilità di togliersi una pelle per indossarne un’altra. Quanto è stato facile o difficile, in questi dieci anni, raggiungere questi obiettivi, inventare nuovi codici estetici e sconfiggere i pregiudizi?

Non abbiamo fatto questo lavoro da soli, ma chiedendo ad altri artisti di riconosciuta qualità artistica di scommettere con noi sulla possibilità di creare un nuovo linguaggio teatrale, nuovi codici estetici, nuove drammaturgie, convinti che quei corpi pieni di asimmetrie fisiche e mentali contengano una verità, una potenza espressiva, una ferita che è parte fondante del teatro. Artisti di grande valore come Julie Stanzak del Tanztheater di Pina Bausch, come le danzatrici Antonella Bertoni, Eleonora Chiocchini e Michela Lucenti, registi come Michele Eynard e Alessandro Serra, drammaturghi come Bruno Stori e tanti altri, ci hanno aiutato e nutrito con le loro straordinarie capacità e visioni.

Per celebrare i dieci anni di attività della vostra cooperativa è stata dedicata un’intera rassegna “Corpi eretici”. Perché questo nome? Quali sono i “corpi eretici”?

“Corpi eretici” rimanda a tutti quei corpi non conformi, non omologati. Eretico è chi si allontana dalle consuetudini e dalle forme di pensiero ufficiali e dominanti.

Cosa propone il programma “Corpi eretici” e a quale pubblico si rivolge?

Ci rivolgiamo a tutto il pubblico del teatro e della danza. La Rassegna è alla sua 14° edizione e si propone di essere un “incubatore culturale” per nuove compagnie, nuove visioni. Cerca di portare in teatro quelle opere d’arte che raccontano la diversità e come la diversità sia capace di farsi arte.

Secondo lei, perché la rassegna “Corpi eretici” continua ad avere tanto successo?

Forse perché, molto spesso, è capace di spiazzare il pubblico, di portarlo altrove, di emozionarlo.

Sicuramente non lascia il pubblico indifferente.

Il nuovo spettacolo Lo Specchio della Regina che, dopo un’anteprima a Bolzano Danza, sarà presentato il 20 gennaio a Bolzano e, a seguire, a Milano al Teatro LaCucina, il 22 e il 23 gennaio alle 19.30, smonta e rimonta la fiaba di Biancaneve. Perché la gente dovrebbe vederlo?

Perché racconta una piccola storia che ci riguarda tutti e anche per farsi una nuova idea su cosa voglia dire “diversità”. Ma, soprattutto, per vedere un’opera di teatro e danza.

Festeggiando il vostro decimo compleanno avete deciso di guardarvi indietro: per capire quanto avete fatto, per vedere avanti, per capire e poi disegnare un prossimo futuro. E se guarda avanti, tra dieci anni, lei cosa vede?

La possibilità di avere un teatro tutto nostro, una sala, un ristorante, un piccolo bar, un hub culturale interamente gestito da uomini e donne in situazione di disagio sociale. Questo è quello che stiamo sognando di fare.

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