Diritti

Chiara Ferragni: dal Pandoro-gate alle nuove (possibili) grane all’orizzonte

Mentre la procura di Milano indaga sull’operazione Pink Christmas condotta insieme a Balocco, altre azioni benefiche poco chiare fatte dall’influencer sono sotto i riflettori mediatici
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
9 gennaio 2024 Aggiornato alle 20:00

Se quello che si profila all’orizzonte sia il tramonto di Chiara Ferragni come l’abbiamo conosciuta fino a oggi, o se, come suggerisce il nome di una delle sue società, Fenice, alla fine l’imprenditrice digitale risorgerà dalle sue ceneri, è presto per dirlo.

Così come è prematuro emettere sentenze giuridiche. Quel che è certo però è che per la golden girl italiana le cose si stanno mettendo decisamente male, a livello mediatico in primis ma, forse, non solo.

Dopo lo scoppio del Pandoro-gate, seguito da un video di scuse quanto meno improbabile e un Natale insolitamente milanese passato barricata nel suo nuovo attico da 800 metri quadrati a Citylife (invece che in qualche location da sogno come i Ferragnez ci avevano abituati lo scorso anno) Chiara Ferragni era tornata, se pur timidamente, sui social sperando forse che il peggio fosse passato.

Tutto il contrario invece, visto che nei giorni scorsi è stata formalmente indagata per truffa aggravata nell’ambito dell’indagine che la Procura di Milano ha aperto proprio sul caso del pandoro Pink Christmas prodotto da Balocco. Insieme a lei e con la stessa motivazione, il procuratore aggiunto Eugenio Fusco ha iscritto nel registro degli indagati anche Alessandra Balocco, presidente e amministratrice delegata dell’azienda torinese.

Quello che si contesta all’influencer ormai è noto: aver spacciato per benefica un’operazione che nei fatti lo è stata ben poco. In vista del Natale 2022 è arrivato sugli scaffali dei supermercati il pandoro griffato Chiara Ferragni, con tanto di logo e zucchero a velo rosa, realizzato con Balocco e venduto al triplo del prezzo dei pandori normalmente commercializzati dall’azienda. A giustificare la spesa il fatto che il ricavato andasse, secondo quanto dichiarato dall’influencer tramite stories e post Instagram, all’ospedale pediatrico Regina Margherita di Torino.

Fin dal principio Selvaggia Lucarelli iniziò a indagare sulla vicenda, evidenziandone diversi punti oscuri. Pochi allora le diedero credito ma a distanza di un anno il caso è deflagrato, rendendo noto come, in realtà, Balocco avesse sì fatto una donazione all’ospedale da 50.000 euro alcuni mesi prima, ma indipendente dal ricavato delle vendite del pandoro, e che Ferragni avesse preso un cachet di 1 milione di euro come testimonial dell’operazione.

Un modo di agire poco trasparente che è valsa una multa da parte dell’Antitrust di 1 milione alle società riconducibili a Chiara Ferragni e di 420.000 euro a Balocco per pratica commerciale scorretta.

A seguito di ciò l’imprenditrice ha provato a ridimensionare l’accaduto parlando di errore di comunicazione. Secondo la Guardia di Finanza però si è trattato di ben altro. A rendere la sua posizione più scomoda ci sarebbe infatti una serie di email scambiate per programmare la campagna di promozione del pandoro, acquisite nella sede di Balocco, che hanno portato al cambio dell’ipotesi di reato, passato da frode in commercio alla truffa aggravata dalla “minorata difesa” dei consumatori, che si sarebbero trovati in una posizione di svantaggio perché il raggiro sarebbe avvenuto online, e quindi senza possibilità di molte verifiche.

Al momento la diretta interessata, che nel frattempo ha donano 1 milione di euro al Regina Margherita di Torino, si dice serena. “Ho sempre agito in buona fede e sono certa che ciò emergerà dalle indagini in corso” ha fatto sapere tramite una nota ufficiale (e non una stories Instagram, unico o quasi mezzo di comunicazione usato fin qui).

Eppure i motivi per stare serena sono veramente pochi. Oltre alla notizia dell’inserimento del registro degli indagati per l’affair pandoro, dopo il numero esorbitante di esposti arrivati da parte del Codacons alcune procure hanno aperto ulteriori fascicoli, seppur al momento senza ipotesi di reato né indagati. Nel mirino principalmente la collaborazione, antecedente a quella con Balocco, con Dolci Preziosi, per la realizzazione di uova di Pasqua anch’esse con scopo benefico e, pare, soggette allo stesso schema.

Schema che in realtà sarebbe adottato da Ferragni e dalle società che amministra da diverso tempo, almeno secondo quanto documentato da Selvaggia Lucarelli, che in un articolo sul Fatto Quotidiano di oggi ha acceso un faro su altre operazioni, a partire da quella che riguarda la bambola Trudi con le sembianze dell’imprenditrice, commercializzata nel 2019 e della quale aveva già parlato nei giorni scorsi anche il settimanale Dipiù.

In quel caso, l’intento dichiarato era di devolvere a Stomp out bullying, un’organizzazione americana che combatte il cyberbullismo, solo i profitti della vendita tramite il sito di Ferragni, escludendo quelli provenienti dai negozi e da Amazon. Peccato che, secondo il giornalista di DiPiù Rolando Repossi, che ha visionato i documenti online dell’associazione, nel 2019 Chiara Ferragni non risultava nell’elenco dei sostenitori e, prontamente contattati, nessun responsabile sembra conoscerla.

La Tbs, società di Ferragni, si è affrettata a precisare che la donazione sia invece avvenuta secondo quanto stabilito, senza però dire nulla in merito a chi abbia davvero fatto la donazione (se Tbs, Ferragni o Trudi) e a quanto ammonterebbe.

Tornando indietro nel tempo, come scrive sempre Lucarelli, anche il lancio nel 2020 di una linea di biscotti Oreo brandizzati non appare cristallina. Presentata come operazione commerciale regolare, a un certo punto si è mischiata a un’azione umanitaria. Pochi mesi dopo, infatti, l’influencer ha annunciato che avrebbe donato a un’iniziativa a supporto della lotta al Covid il 100% dei ricavati della sua nuova collezione di abiti per Oreo, salvo poi farsi ritrarre nelle adv con gli abiti in questione ma anche con i biscotti in vendita.

Insomma, la solita contaminazione tra business e beneficenza che tanto piace a Ferragni ma che poco pare conquistare le procure. Copione simile nel 2021, quando la figlia Vittoria venne ricoverata all’ospedale Buzzi di Milano e lei annunciò di voler destinare proprio all’ospedale che l’aveva curata i proventi derivanti dalla vendita dei alcuni suoi vestiti usati per l’acquisto di una nuova incubatrice. La vendita però era avvenuta sul sito Wallapop, che le aveva elargito un cachet, testimoniato dall’hashtag adv nelle stories dell’epoca.

Per questi ultimi casi la giustizia non si è ancora mossa e non è affatto detto che lo faccia. Pandoro-gate a parte, tutto il resto al momento rientra nella cronaca giornalistica, che non emette sentenze ma che indubbiamente traccia un quadro nebuloso che bene non fa all’immagine di perfezione che fino a questo momento la stella dei Ferragnez aveva tenuto a mostrare ai sui (ancora tantissimi) follower.

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