Diritti

Pandoro et circenses. Buoni e cattivi nel tempo di un reel

Siamo di fronte a quella che per i Ferragnez è probabilmente la più grande crisi d’immagine di sempre e che, come ogni crisi, si aggira a colpi di crisis management. Ecco perché
Credit: ANSA/MOURAD BALTI TOUATI 
Ella Marciello
Ella Marciello direttrice comunicazione
Tempo di lettura 6 min lettura
19 dicembre 2023 Aggiornato alle 09:00

La faccia è contrita, la voce rotta. Dice che ha sbagliato e che chi sbaglia deve scusarsi.

Lo dice mentre parla di sé e della sua famiglia definendosi “fortunati” con “la responsabilità morale di fare del bene” e dimenticandosi improvvisamente che niente di ciò che lei considera fortuna è piombato dal cielo, ma è frutto dello stesso sistema per cui a fronte di pochi ricchissimi, moltissimi sgomitano nel fango.

Non c’è fortuna a fare i soldi sotto al capitalismo, chiariamoci. C’è però, necessaria, una consapevolezza: nessun profitto è per sua natura etico.

Siamo quasi alla fine del grande momento di fulgore della Csr - la corporate social responsibility - in cui sostanzialmente si paga il pegno dei propri peccati destinando i budget per fare del bene, si piantano alberi, si aiuta qualche organizzazione umanitaria, senza scomporsi più di tanto, senza rivedere processi, filiera, dinamiche di potere tra umani e ambiente. Di fatto, facendo in modo che nulla cambi e tutto rimanga nella zona confortante e sicura dell’immobilità.

Ci ha provato il Brand Activism, fallendo e ripiegandosi su se stesso e i propri ambassador, ci ha provato il mondo dell’influencer marketing e dei creator, triturando anni di politiche sociali e riuscendo a monetizzare ogni cosa - dai disturbi alimentari alla salute, dalle cause umanitarie ai sensi di colpa assortiti - per arrivare qui, in questo stallo alla messicana dove vince ancora il vittimistico “come fai sbagli” e la lacrima in mondovisione funziona da indulgenza plenaria.

Non lo so, Ferragni, un adagio di internet dice I’m too old for this shit. E un po’ perché lo sono davvero o forse solo perché vivo tra le pieghe di questo qualcosaverso infame da tanti anni studiandolo come una filologa medievale, non mi bastano più certe pantomime.

Siamo di fronte a quella che per i Ferragnez è probabilmente la più grande crisi d’immagine di sempre e che, come ogni crisi, si aggira a colpi di crisis management, fatto di silenzi strategici, foto e video dei figli per rialzare il sentiment, cagnolini usati come armi di distrazione di massa.

È una gestione della crisi ormai da manuale, il loro manuale, che si ripete sempre uguale a se stesso perché funziona.

C’è una precisa strategia nell’abbigliamento dei fit check e ce n’è una per il cordoglio e le scuse, sono soltanto due outfit diversi. Ci sono espressioni da tenere sul palco - quello di Sanremo - e altre da allenare per schermi decisamente più comodi da trasportare.

Qui, in quello che è già definito il Pandoro Gate e che una inchiesta di Selvaggia Lucarelli aveva già smascherato eoni fa (per l’esattezza a dicembre dell’anno scorso), insieme alla strategist Serena Mazzini che fa un lavoro eccelso di demistificazione delle dinamiche social, le cose non sono proprio quelle che appaiono.

L’influencer non aveva mai commentato la vicenda, salvo poi indire una conferenza stampa il 12 gennaio non per spiegare l’operazione opaca con Balocco ma per comunicare che avrebbe devoluto il suo cachet di Sanremo a D.i.Re.

Lo scorso giugno, l’influencer aveva inoltre eliminato la possibilità di commentare sui propri canali con la keyword “Balocco”, e anche questo era stato fatto notare in un episodio del podcast di Lucarelli. Perché l’operazione Balocco era fallace in termini di trasparenza fin dalla sua genesi e nulla è stato “travisato” o “mal interpretato” come invece invoca Ferragni battendosi il petto dall’ultimo dei suoi reel.

Un errore di comunicazione può succedere, chi la comunicazione la fa tutti i giorni lo sa.

Quello che invece non dovrebbe succedere è che all’errore si faccia ammenda solo dopo che parta un‘indagine e arrivi la multa dall’Antitrust.

Perché vecchia come sono la prima cosa che mi viene da chiedermi è: e se l’indagine non fosse partita? Sappiamo già la risposta.

Non c’è alcuna buona fede qui, nessun controllo mancato. Lo dimostrano le mail interne trapelate in queste ore, lo dimostra il ban agli utenti che ciclicamente pongono le loro rimostranze sotto agli account social dei Ferragnez, le shitstorm che partono verso chi prova a far luce su casi che controversi non sono.

Il reel di scuse è un pezzo magistrale di comunicazione, coerente e consistente con ogni altro pezzo di comunicazione che ha come obiettivo quello di far risalire le interazioni, ovvero la moneta di scambio tra brand e influencer. Dal 14 dicembre sono svaniti circa 10k follower e le interazioni del profilo Instagram sono calate dal 1.9% a 0 (dati Arcadia.com): è chiaro come certi contenuti più emozional-popolari siano inseriti strategicamente per alzare l’engagement rate.

Certe però sono alcune cose: chi ha comprato il Pink Pandoro Balocco l’ha fatto pensando erroneamente che una parte del ricavato andasse in beneficienza all’Ospedale Regina Margherita, quando in realtà la donazione era già stata fatta prima che i prodotti fossero messi in vendita.

Sulla pelle dei bambini malati oncologici si è giocata un’operazione squallida di posizionamento, per brand e influencer, che non può essere ammissibile, nemmeno in un sistema capitalistico come il nostro.

Ma il punto ancora più difficile è riportare nella non normalizzazione alcuni assunti. Ci pare normale ed encomiabile che chi sbaglia si scusi, e ci appare più che encomiabile che alle scuse segua una donazione di un milione di euro in beneficenza.

A chiunque di noi, comuni mortali, un milione sembra un patrimonio immenso perché facciamo l’errore di immedesimarci nei volti che attraverso gli schermi vediamo tutti i giorni. Smettiamo di farlo, i milionari non sono come noi: sono persone che detengono un potere immenso e che grazie a quel potere decidono di levarsi un piccolo lusso, donando percentuali irrisorie dei loro fatturati e passando come grandi benefattori.

Quando in realtà, in un Paese civile e normale - uso volutamente questo termine - gli ospedali dovrebbero poter acquistare i macchinari necessari con le tasse che paghiamo, non dovendosi genuflettere verso l’influencer o il megabillionair di turno.

In un Paese normale nessuno di noi comuni mortali dovrebbe volere come role model chi conduce vite ricchissime ed è completamente slegato dai bisogni contingenti ma anzi, induce bisogni irrilevanti in chi non ha nessuna vita smeralda da sfoggiare.

E in ultimo, in un Paese normale non ci commuoveremmo per un pezzo di teatro come quello che abbiamo visto nel Pandoro Gate, ma useremmo le energie che ci rimangono dalle nostre vite perennemente incastrate per chiedere a gran voce la patrimoniale, come è giusto che sia.

Il pane e il circo, si diceva millenni fa. E anche se qui non si parla di politica ma di profitti, rispolveriamo l’idea che questo sia un tema politico perché nel circo attuale, quello mediatico, a far confusione e a far passare per buoni i cattivi ci si mette un attimo. Per la precisione, il tempo di un reel.

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