Culture

Quali sono le origini delle tradizioni di Natale?

Perché si festeggia il 25 dicembre? Perché ogni anno si addobbano case e strade con lucine? Come è nata la Befana e da dove viene l’usanza dell’albero? A quanto pare, non tutto è ricollegabile alla religione
Credit: Nathan Dumlao   

Ha fatto molto scalpore, qualche tempo fa, la decisione dell’Istituto europeo di Fiesole di chiamare il Natale “festa d’inverno”, per favorire una maggior integrazione delle studentesse e degli studenti di fede diversa da quella cristiana. Come è facile immaginare, la proposta ha scatenato un polverone: si sono levate voci di protesta contro chi vuole cancellare secoli di storia, di cultura e di fede che andrebbero invece custoditi gelosamente.

Anche volendo schierarsi dalla parte di chi sostiene l’importanza dei simboli e delle tradizioni, risulta inevitabile chiederci di che simboli e di che tradizioni stiamo parlando. Perché chi oggi si erge a paladina e paladino del cosiddetto Natale cristiano (ma forse dovremmo chiamarlo più propriamente “Natale commerciale”) sembra aver completamente dimenticato, ammesso che lo abbia mai saputo, che il Natale come oggi lo celebriamo è il frutto di una stratificazione culturale che affonda le sue radici in tempi lontanissimi.

In principio era la data

Non conosciamo con certezza la data della nascita di Gesù. Non esistono documenti e i Vangeli, qualora decidessimo di considerarli una fonte storica attendibile, sono molto vaghi nella collocazione temporale. Da Luca veniamo a sapere solo che in quel periodo Quirino era governatore della Siria, e che i pastori che ricevettero l’annuncio vegliavano all’aperto per fare la guardia alle greggi. Secondo quanto sappiamo degli usi della Palestina dell’epoca, il periodo in cui le greggi erano portate al pascolo era la primavera.

Allora perché decidere di far cadere la ricorrenza della nascita di Cristo il 25 dicembre? La data non fu scelta a caso, ma piuttosto venne selezionata per l’alto valore simbolico che già aveva nelle tradizioni religiose precristiane. Come ricordano Eraldo Baldini e Giuseppe Bellosi nel loro saggio Tenebroso Natale, “Le date importanti del calendario cristiano, quelle dedicate alla celebrazione della nascita di Cristo o ai principali santi e apostoli, la Chiesa scelse, per facilitare il passaggio dalle vecchie alla nuova religione, di porle in giorni dedicati a feste e a celebrazioni nei calendari precristiani, conservando parte degli antichi contenuti e significati religiosi.”

Così la nascita di Cristo, “luce del mondo”, venne posta in un giorno in cui i Romani celebravano la festa di Mitra e della nascita del Sole Invitto, divinità solare di origine orientale il cui culto era stato portato a Roma nel 274 a.C. dall’imperatore Adriano, nel tentativo di creare un culto che potesse unire le varie regioni dell’Impero. Inoltre, vicinissimo al Solstizio d’Inverno, il 25 dicembre è il momento in cui il ritorno della luce e l’allungarsi delle giornate diventa materialmente percepibile, offrendo un ulteriore simbolo legato al mondo naturale.

Luce, rigenerazione, purificazione, eterno ritorno

Luminarie per strada, lucine alle finestre e sui balconi, candele, stampe che raffigurano caminetti accesi. Si può dire senza timore di esagerare che la luce sia l’elemento principale delle feste natalizie; anche se noi non siamo più un grado di riconoscerne il messaggio, le decorazioni luminose sono un segno della vittoria del chiarore sull’oscurità, in seguito al passaggio critico della lunga notte del Solstizio d’Inverno, quando il Sole muore e subito torna a rinascere nell’eterno ritorno della ruota delle stagioni.

Un eterno ritorno simboleggiato anche dall’albero di Natale, oggi onnipresente in spazi pubblici e privati, la cui origine si ritiene sia da collocarsi in un epoca lontanissima, nella quale gli esseri umani praticavano il culto degli alberi. E se questo può sembrare bizzarro o improbabile basterà ricordarsi di una celeberrima carola natalizia come O Tannenbaum, interamente dedicata all’albero di Natale e che tradizionalmente si canta danzando in cerchio attorno all’abete.

L’albero di Natale, poi, non a caso è un sempreverde (così come altre piante molto diffuse per le decorazioni natalizie, tipo il pungitopo e l’agrifoglio). Oggi, con serre e case calde che ci consentono di coltivare qualsiasi pianta in ogni stagione ci colpisce meno, ma basta un piccolo sforzo di immaginazione per capire la portata magico-simbolica di un albero che mantiene il suo aspetto vivo e rigoglioso anche nella stagione in cui tutti gli altri entrano in una condizione di morte apparente. Non stupisce quindi che le popolazioni antiche scelsero i sempreverdi come simbolo della speranza e della rinascita.

E che dire del vischio e del ginepro, che ancora oggi vengono appesi fuori dalle case o bruciati nel camino per i loro poteri protettivi, curativi e divinatori? Per non parlare dei falò tipici della fine dell’anno, che la Chiesa cercò di “ripulire” trasformandoli in benigni fuocherelli per riscaldare la natività (o in altre versioni per asciugare i pannolini di Gesù bambino) e che oggi sono inglobati in altrettanto innocue feste paesane, ma in tempi non troppo lontani erano fuochi purificatori nei quali si bruciava simbolicamente l’anno vecchio per accogliere quello nuovo (un traccia di ciò rimane nell’usanza, ancora molto presente in alcune zone d’Italia, di bruciare fantocci di stracci e paglia all’Epifania).

Il fuoco rappresentava sia la purificazione che la rigenerazione, e marcava il confine tra il tempo magico del passaggio solstiziale, durante il quale si apriva il varco tra il mondo dei vivi e quello dei morti e gli spiriti di defunti, antenati o altre creature soprannaturali potevano camminare liberamente sulla Terra (la somiglianza tra questi esseri magici e soprannaturali e le figure del nostro Natale, come San Nicola, Santa Lucia, Babbo Natale e la stessa Befana, sono impressionanti).

Con l’Epifania era necessario congedare tutte queste entità per poter tornare al tempo normale, della vita e del lavoro e il fuoco serviva a questo scopo. Era anche frequente gettare sale o altre sostanze che a contatto con le fiamme scoppiettassero, affinché il rumore spaventasse gli spiriti. Un’usanza le cui tracce sono ancora ben visibili nell’utilizzo di fuochi d’artificio e petardi a Capodanno.

Insomma, sembra proprio non esserci nulla delle nostre tradizioni natalizie che non sia stato attinto a piene mani da tradizioni precedenti al cristianesimo. A guardar bene, nemmeno la natività.

Madri, natività e riti agricoli di fertilità

Nei Paesi di lingua tedesca la Vigilia di Natale viene anche chiamata Mütternacht, la notte delle madri. Contrariamente a quanto potremmo pensare, questo termine non ha nulla a che vedere con la natività e la maternità di Maria, ma si riferisce ad antichi culti che, nel cuore dell’inverno, celebravano entità e spiriti femminili, vere e proprie madri solstiziali il cui compito era quello di benedire la terra e i campi per favorire la rigenerazione e la rinascita della natura e garantire abbondanti raccolti a primavera.

Tra le dee più note di questo culto delle madri ci sono Perchta-Berchta e Frau Holle, che sono arrivate fino a noi nella figura della Befana. L’idea della nascita/maternità, anche se solo a livello di mondo vegetale e non intesa come l’effettiva nascita di una divinità, esisteva dunque già nelle antiche tradizioni europee e ci permette di intravedere gli strati di sedimentazione perfino di quello che, a prima vista, sembrerebbe l’unico simbolo autenticamente cristiano del Natale moderno: la natività.

Una transizione difficile

Il permanere di così tante tradizioni risalenti all’epoca precristiana mette in luce un fatto, probabilmente scontato, ma che vale la pena di sottolineare ancora: la transizione dagli antichi culti a quello cristiano non fu indolore, né priva di tensione. La nuova religione trovò una fiera opposizione e diverse volte dovette essere imposta con la forza e la violenza. Non sempre però l’imposizione funzionò: ne è prova il fatto che la Chiesa non riuscì mai a cancellare le vecchie usanze “pagane”, ma preferì accettare e incorporare quelle più innocue (senza esitare nel demonizzarne altre che non era riuscita a ripulire. La Befana, da dea solstiziale a vecchia megera ne è un esempio lampante).

Dall’avvento del cristianesimo come religione egemonica dell’Europa sono passati secoli. Secoli in cui, abilmente, il potere religioso e quello politico hanno portato avanti la loro campagna di “colonizzazione cultuale”, tanto da riuscire a vendere senza troppe difficoltà l’inganno delle radici cristiane del nostro continente. Ma, come abbiamo visto, queste radici sono corte e poco sviluppate rispetto a quelle ben più solide e robuste che affondano nel sostrato culturale precristiano.

Alla luce di questo, dunque chiamare Natale “festa d’inverno” non appare più poi così campato in aria. Il punto non è sminuire o mancare di rispetto le tradizioni di ciascuno, ma relativizzarle, essere consapevoli che ciò che chiamiamo Natale cristiano altro non è che il frutto di stratificazioni cultuali avvenute nei secoli.

Le informazioni utilizzate per scrivere questo articolo sono state prese dai libri Tenebroso Natale. Il lato oscuro della Grande Festa (Eraldo Baldini - Giuseppe Bellosi) e Llewellyn’s Little Book of Yule (Jason Mankey)

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