Diritti

Manifesto per un nuovo maschilismo

Gli uomini devono lottare per la loro emancipazione. Come e più delle donne hanno bisogno di liberarsi dalla cultura patriarcale
Credit: Cottonbro studio 
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13 gennaio 2024 Aggiornato alle 06:30

Il patriarcato non è - solo - l’egemonia di un genere sull’altro, ma è - soprattutto - la subordinazione delle generazioni successive alle regole e ai modelli delle generazioni precedenti. Come scrive Taleb, dai tempi di Catone il Censore, si può esprimere un certo tipo di “maturità” quando si biasima la nuova generazione per la “superficialità” e si esalta la generazione precedente per i suoi “valori”.

Il patriarcato è l’egemonia di un modello valoriale arcaico sulle generazioni successive, con lo scopo di garantire a una cultura la continuità intergenerazionale indipendente dai desideri e delle ambizioni delle generazioni successive. Il patriarcato è l’assicurazione che perduri il patriarcato.

All’opposto del patriarcato c’è l’emancipazione, dal latino: emancipatio - l’istituto romano che consentiva al figlio l’estinzione della patria potestà - composto da: e (fuori) e mancipium (acquisto della proprietà) - a sua volta composto da manus, mano e capere, prendere.

In modo figurato, il figlio prende in mano la sua storia, iniziando a scrivere una narrazione alternativa a quella che avrebbe scritto per lui il padre.

Seppure ancora incompiuta e lenta, da anni assistiamo a una progressiva emancipazione femminile, mentre di un’emancipazione maschile è difficile trovare anche solo delle tracce. Da una parte gli uomini hanno sempre confuso i progressi generali dei diritti universali e sociali con il percorso per la propria emancipazione di genere, dall’altro la condizione di egemonia nei confronti della donna ha generato l’errata convinzione che non avesse bisogno di un’emancipazione; di conseguenza si è limitato ad assistere all’emancipazione femminile (più o meno preoccupato da questo fenomeno) e a sostenere uno sviluppo - più o meno generale - dei diritti umani, come blando cambiamento generazionale.

Gli unici risultati ascrivibili al mondo maschile in termini di liberazione dal modello patriarcale sono stati registrati dalle comunità Lgbtq+, ma non introiettati e acquisiti pienamente anche dai maschi eterosessuali.

Eppure gli uomini avrebbero un grandissimo bisogno di un percorso di emancipazione dai modelli patriarcali, che andrebbe a proprio vantaggio, a esempio, svincolandosi dal modello del male breadwinner, che prevede che l’uomo debba nella vita provvedere integralmente o in modo preponderante al sostentamento della futura famiglia. Il modello produce come effetto negativo l’indissolubilità della declinazione “lavorativo” e “produttivo” del maschio (per giunta) life long: dalla pre-adolescenza fino alla vecchiaia. Segnando in ciascuna di queste fasi un diverso ma costante livello di ansia rispetto alle aspettative sociali della sua “capacità di produzione” alle quali, in larga parte, i maschi sono costretti a rispondere con comportamenti dolorosi e invalidanti, che difficilmente, se fossero liberi dal modello patriarcale sceglierebbero, come rinunciare alla cura dei figli per poter esprimere socialmente il massimo attaccamento al lavoro.

Gli uomini hanno bisogno di scoprire la libertà dell’espressione emotiva e la possibilità di vivere bene e felici anche senza l’ossessione di una realizzazione sociale in chiave prioritariamente lavorativa.

Servirebbe, in altre parole, un Movimento del nuovo maschilismo, che completamente deprivato della volontà egemonica sull’altro genere, del suo significato triviale e del carattere giustificatorio per contrapporsi alle legittime aspirazioni femminili e femministe, scopra la necessità di ribellarsi agli schemi ancestrali e culturali dei quali è prigioniero. Un maschilismo non antitetico al femminismo, ma insieme al femminismo contrapposto al patriarcato. Che faccia del recupero della libertà (di espressione, di scelta, di autodeterminazione) il suo caposaldo.

Il termine maschilismo per indicare il compendio al femminismo, capisco possa sembrare provocatorio in termini linguistici, ma ne sostengo la sua validità contenutistica. Ovviamente, questa fase non può che partire, come accaduto per il femminismo, da una fase di riflessione che conduca a una consapevolezza nuova e diversa rispetto all’uomo (maschio). Questo ci porterebbe a ridiscutere molte cose che diamo per assodate. Come, a esempio, la differenza di età pensionabile tra uomini e donne, per di più a fronte di una diversa speranza di vita che premia con circa 5,5 anni le donne. Questa differenziazione nacque nel 1939 - durante il fascismo - per compensare l’attività di cura familiare svolta dalle donne.

Si potrebbe obiettare che la condizione egemonica a cui la natura ha assegnato chi scrive (cosa di cui faccio fatica a trovare un motivo per scusarmene) mi dovrebbe impedire di fare simili considerazioni, anche in relazione alla diversa gravità che il patriarcato ha sugli uomini rispetto alle donne.

Ritengo che tale critica sia irricevibile per due motivi: da una parte ha la stessa matrice patriarcale che si vorrebbe combattere, dall’altra non tiene conto - politicamente - del contributo che una tale evoluzione potrebbe apportare in termini di accelerazione e risultati alla lotta femminista.

Sono convinto che nessuno dei due generi si emanciperà da solo. A questo, dai tempi di Adamo ed Eva siamo condannati, che ci piaccia o meno. Possiamo fare due battaglie separate - ma non gli uni contro le altre - oppure unirci in una comune lotta contro il patriarcato. La parità riguarda tutti e tutte. Sarebbe profondamente sbagliato leggerla come un livellamento (verso l’alto o verso il basso) dei diritti. Certo, l’equità è una parte integrante e fondamentale della parità, ma non l’unica. La parità è anche - e secondo me soprattutto - una questione di emancipazione dalle vecchie logiche di ruolo sia maschili sia femminili. Parità significa uscire dalla rincorsa a giocare il genere altrui ma a costruire una vera liberazione di genere. Per questo spero che l’arrotino* - prima o poi - passi anche per me e non mi vergogno di dirlo e di sognarlo, sia per i miei figli sia per me.

*Qui a Roma, ma credo in tutta Italia, l’arrotino si annuncia con un messaggio registrato che inizia con: “Donne, è arrivato l’arrotino!”

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