Diritti

Donazione di sperma: l’anonimato sta scomparendo

Oggi i figli concepiti con la fecondazione eterologa possono risalire alle proprie origini grazie a test genetici fai-da-te o, in alcuni Paesi, a leggi che permettono di conoscere nome e cognome di chi ha donato i gameti
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1 gennaio 2024 Aggiornato alle 13:00

La politica dell’anonimato assoluto dei donatori di sperma sta perdendo popolarità e è stata abbandonata da diversi Paesi in nome di un interesse ritenuto più importante: il diritto del bambino di conoscere le proprie origini. È successo prima in Svezia nel 1984, poi nei Paesi Bassi, in Svizzera, Germania, Austria e Gran Bretagna. L’ultima è stata la Francia con una legge entrata in vigore l’anno scorso. Tutti questi Paesi consentono ai figli nati da fecondazione eterologa di conoscere nome e cognome del donatore, generalmente al compimento del diciottesimo anno d’età (o in alcuni casi anche fin dai 16 anni).

La fecondazione eterologa, resa possibile dalla donazione esterna di gameti (ovuli o spermatozoi) pone da sempre questioni etiche e normative complesse, in cui si sommano e si scontrano interessi diversi e contrapposti. Da un lato la legittima e comprensibile curiosità del bambino nato da tecniche di procreazione medicalmente assistita (Pma) di conoscere l’identità della persona che ha contribuito al concepimento, dall’altro la tutela della segretezza dei dati del donatore, che fin dall’inizio rinuncia a qualsiasi responsabilità genitoriale sul bambino, e il diritto della coppia o delle persone single che fanno ricorso alla Pma a vedersi riconosciuti come genitori a tutti gli effetti.

Negli ultimi anni, le persone nate da queste donazioni e diventate adulte hanno promosso una serie di campagne per chiedere l’eliminazione dell’anonimato. Con buoni risultati: negli Stati Uniti, a esempio, le principali banche del seme richiedono già privatamente la divulgazione delle informazioni del donatore al compimento dei 18 anni, ma grazie alle pressioni dell’U.S. Donor Conceived Council (un gruppo di attivisti nati da donazione di gameti) lo Stato del Colorado l’anno scorso ha abolito per legge l’anonimato dopo la maggiore età e una proposta di legge presentata al Senato dello Stato di New York vuole introdurre una disciplina analoga.

E in Italia? Da noi la segretezza dell’identità del donatore è ancora un caposaldo. La donazione di gameti, oltre a essere necessariamente gratuita e anonima (come tutte le donazioni di organi e tessuti), è riservata soltanto alle coppie eterosessuali. Come disposto nel 2014 dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, il donatore non deve poter risalire alla coppia che ha ricevuto il suo seme e viceversa. Soltanto in casi straordinari di problemi di salute del bambino, i dati clinici del donatore vengono comunicati al personale sanitario, su specifica richiesta, ma in ogni caso non vengono condivisi con la coppia.

Al di là delle scelte normative, c’è chi fa notare che la diffusione dei test genetici commerciali “fai-da-te” rende ormai impossibile garantire l’anonimato dei donatori. Una condizione che chi aveva deciso di donare il seme prima degli anni 2000 non aveva previsto, ma che ha reso possibile a migliaia di persone di acquistare appositi kit per risalire alle vere origini del proprio Dna. Anche per questo nel Regno Unito l’autorità che regola i trattamenti di fertilità (Hfea) ha proposto di recente di far conoscere l’identità del donatore biologico fin dalla nascita, avanzando l’ipotesi di inserire i dati anagrafici anche nel certificato di nascita del bambino.

L’idea che non conoscere la vera identità dei propri genitori biologici rappresenti un vuoto incolmabile non è condivisa da tutti. Diverse organizzazioni pro famiglie Lgbtqai+ (come Family Equality) chiedono che le leggi a favore dell’anonimato restino così come sono. La caduta dell’anonimato, dicono, potrebbe rappresentare una possibile minaccia. Molti temono che leggi simili possano aprire le porte a qualche forma di riconoscimento del donatore come genitore. E nello scenario peggiore, alla negazione delle famiglie formate da coppie omogenitoriali. La preoccupazione è che nella definizione di “famiglia” si arrivi a dare più importanza al patrimonio genetico che alla volontà effettiva di essere genitori.

In Italia ha fatto molto discutere l’intervento della Procura di Padova, che prima ha impugnato gli atti di nascita di 37 bambini nati all’estero con fecondazione eterologa e registrati con due madri (chiedendo la cancellazione della madre non biologica), poi ha cambiato idea e ha richiesto una pronuncia della Corte Costituzionale. In un recente caso negli Stati Uniti, invece, un giudice dell’Oklahoma ha stabilito che, dopo il divorzio di due donne con un figlio nato con Pma, gli unici ad avere diritti in qualità di genitori fossero la madre biologica e il donatore dello sperma. Una conseguenza paradossale della mancanza di tutele adeguate per i figli delle coppie omogenitoriali.

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