Ambiente

La Cop del mio peggior nemico

Secondo Al Jaber, rinunciare ai combustibili fossili equivarrebbe a riportarci all’età della pietra. Una metafora nemmeno troppo lontana dalla realtà, se per “pietra” intende una bella lastra con incisa la data “2030”
Credit: Beata Zawrzel/ZUMA Press Wire 

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5 dicembre 2023 Aggiornato alle 06:30

Dopo un anno di attesa, la ventottesima Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, meglio conosciuta come Cop28, è finalmente iniziata.

Nelle prossime due settimane, i rappresentanti di 198 Paesi si incontreranno, e scontreranno, nella Plenaria e nei corridoi della Expo City Dubai. 70.000 partecipanti stimati, inclusi osservatori speciali, giornalisti, ricercatori ed esperti che tenteranno di ritagliarsi un ruolo che, a seconda degli interessi difesi, potrà contribuire o meno alla lotta alla crisi climatica.

La Presidenza, quest’anno, è affidata al Sultano Al Jaber, ironicamente a capo anche della Abu Dhabi national oil company (Adnoc), la compagnia petrolifera nazionale degli Emirati Arabi. Una scelta alquanto azzardata che non ha tardato a dare i suoi frutti marcescenti contribuendo a diffondere quel clima di pessimismo che già permea ampiamente la società civile.

A pochi giorni dall’inizio della Conferenza, infatti, il Sultano era finito al centro di uno scandalo che, in base ad alcuni documenti raccolti e pubblicati dal Centre for climate reporting (Ccr), lo vorrebbe aver approfittato del suo ruolo per stringere accordi con la Cina per una serie di progetti congiunti nel settore del gas naturale liquefatto in Mozambico, Canada e Australia.

Non esattamente quello che ci si aspetterebbe da chi dovrebbe guidare il più grande processo multilaterale sui cambiamenti climatici di cui uno dei nodi principali è il phase out dei combustibili fossili, ossia la loro eliminazione completa in termini di domanda e produzione entro una data da definire e che sia compatibile con la necessità di mantenere l’innalzamento della temperatura globale entro 1,5 °C come richiesto dall’Accordo di Parigi.

A dissipare i dubbi di chi, fino all’ultimo, ha voluto credere nella possibilità che affidare al “sultano del petrolio” la guida della Cop nascondesse un segnale di speranza, è arrivata l’ennesima dichiarazione di Al Jaber che dopo soli 3 giorni di negoziati, durante un’intervista con Mary Robinson - ex Presidentessa dell’Irlanda e attualmente a capo dell’Elders Group, un’organizzazione internazionale indipendente e non-governativa formata da figure pubbliche che perseguono gli ideali di pace, giustizia e di rispetto dei diritti umani fondamentali - ha apertamente dichiarato che non esiste alcuna base scientifica che metta in relazione la necessità di eliminare gradualmente i combustibili fossili con il contenimento del riscaldamento globale a 1,5 °C.

Una prova alquanto evidente del fatto che il Sultano sia invischiato in una bella rete di interessi o, a volerla vedere con gli occhi bendati, che non abbia mai sentito parlare dell’Organismo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (Ipcc) il cui ultimo report - a cui ne sono preceduti ben altri 5 a partire dal 1990 - elaborato da 782 scienziati che hanno analizzato più di 66.000 studi peer-reviewed, afferma che le prove che le attività umane abbiano modificato il clima sono schiaccianti e che i combustibili fossili - carbone, petrolio e gas - sono di gran lunga i maggiori responsabili del cambiamento climatico, producendo oltre il 75% delle emissioni globali di gas serra e quasi il 90% di tutte le emissioni di anidride carbonica.

Eppure, secondo il Sultano Al Jaber, rinunciare ai combustibili fossili equivarrebbe a riportarci all’età della pietra. Una metafora nemmeno troppo lontana dalla realtà, se per “pietra” intende una bella lastra con incisa la data “2030”, anno in cui se non si limiteranno le emissioni di gas serra, verranno superati i limiti di sicurezza che renderanno le condizioni del Pianeta non compatibili con la vita.

Eppure, proprio a Dubai, più di 100 Paesi hanno confermato di essere a favore di un’eliminazione graduale dei combustibili fossili accendendo i riflettori su quel passaggio dell’accordo finale che ci si aspetta verrà siglato tra 11 giorni, in cui si proclamerà una “riduzione graduale” o “l’eliminazione totale” dei combustibili fossili nel mix energetico globale.

A far ben sperare sono le dichiarazioni del Presidente della Colombia, Gustavo Petro, che ha annunciato di voler guidare il Paese verso uno stop completo dell’estrazione di carbone, gas e petrolio, definiti come “veleni”.

Un passo importante per un Paese fortemente dipendente dai combustibili fossili e che rende incomprensibili le dichiarazioni di altri capi di Stato, come il primo ministro britannico, Rishi Sunak, che ha invece recentemente approvato nuove esplorazioni nel Mare del Nord finalizzate all’estrazione di gas e petrolio.

Tra gli accordi bilaterali stretti nei primi giorni, vale la pena citare quello tra il Presidente del Brasile Luiz Inácio Lula da Silva e il Presidente degli Emirati Arabi Uniti, lo Sceicco Mohamed bin Zayed Al Nahyan, i quali hanno annunciato una partnership bilaterale per affrontare congiuntamente le sfide interconnesse del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità sottolineando la complementarietà dell’attuazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, del suo Accordo di Parigi, della Convenzione sulla diversità biologica e del Quadro globale sulla biodiversità di Kunming-Montreal.

A rendere ancora più puntuale la nuova alleanza è uno nuovo studio presentato proprio alla Cop28 in cui vengono mappate le 918 aree protette attualmente minacciate da attuali o futuri progetti di estrazione di combustibili fossili.

Secondo le proiezioni, i 2.337 piani di estrazione di petrolio, gas e carbone comporterebbero almeno 50,8 Gt di emissioni potenziali di CO2 nel corso della loro vita, pari a più di tre volte le emissioni annuali di Stati Uniti e Cina messi insieme.

Altra nota positiva è l’accordo sulle perdite e i danni (Loss & Damage) annunciato in fase di apertura dei negoziati e che, come racconta Jacopo Bencini - policy advisor di Italian Climate Network presente anche quest’anno a Dubai per osservare da vicino i lavori - ha dato l’impressione che questa possa essere una Cop caratterizzata da un’accelerazione sul piano politico.

«Ora - continua Bencini - occhi puntati sul Global Stocktake (ossia il monitoraggio dei progressi collettivi in tema di mitigazione del riscaldamento globale e degli obiettivi concordati a Parigi nel 2015) e sulla capacità di far fare i compiti a casa ai Paesi che dovranno consegnare le revisioni obbligatorie dei propri Contributi Determinati a livello Nazionale (Ndc) entro il 2025».

Ma a fronte di quello a cui abbiamo assistito, e dei 28 anni di discussione, ha ancora senso un processo multilaterale di questo tipo?

Bencini non ha dubbi nell’affermare che «il senso della Cop sta nella sua capacità di riunire al tavolo negoziale 198 Paesi che, altrimenti, non avrebbero la possibilità di parlarsi o di ragionare collettivamente sulla crisi climatica. Certo, il livello dell’ambizione negli ultimi anni è notevolmente diminuito, soprattutto a causa delle svariate crisi geopolitiche, ma la Cop sarà il punto da cui ripartire quando la situazione globale si sarà calmata».

Della stessa opinione, anche Giovanni Mori - ingegnere energetico e attivista che da anni segue il processo e promuove la conoscenza sui temi legati alla crisi climatica e sulle azioni da implementare per mitigarne gli effetti - «la cosa più difficile delle Cop è tenere a mente che è uno dei processi più complessi e frustranti della storia, ma è anche tra quelli più necessari. Certo, vedere così esplicitamente il suo stesso presidente boicottare l’uscita dai combustibili fossili è un nuovo livello di sabotaggio. Bisognerebbe sfruttare questo (non inaspettato) scandalo per chiedere a tutti: da che parte state? Questo, forse, potrebbe aiutarci a smascherare i reali interesse dei Paesi seduti al tavolo».

Una cosa è certa: tra invitati tirati a lucido, delegazioni schierate come damigelle d’onore al fianco degli sposi, ricevimenti sontuosi, pettegolezzi e scandali, la Cop28 farà parlare di sé. E, a voler parafrasare un Rupert Everett vestito di tutto punto mentre tende la mano a una splendida Julia Roberts in abito lilla, “forse non ci sarà il “phase out”. Magari non ci sarà nemmeno lo “stocktake”… “Ma per Dio, ci sarà almeno il ballo”.

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