Ambiente

Caro Rishi Sunak, estrarre combustibili fossili dal mare non è la soluzione

Il Primo Ministro britannico ha annunciato la prossima attivazione di 100 licenze di estrazione nel Mare del Nord. Un’ulteriore occasione per avvicinarci sempre più alla catastrofe
Credit: EPA/NEIL HALL
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5 agosto 2023 Aggiornato alle 06:30

I combustibili fossili sono diventati una questione ideologica, o si crede fermamente in loro o li si teme. C’è chi li insegue, in una corsa all’oro nero fuori tempo massimo, chi ammicca nella loro direzione ma non troppo e chi cerca di mettere più distanza possibile tra loro e noi.

A destra o sinistra, un tiro alla fune che sta chiaramente lasciando indietro qualcosa. Di sicuro molti qualcuno.

Nel mezzo, si annida forse la discussione più importante che ci riguarda, come umanità e come abitanti di questo pianeta.

Rishi Sunak ha annunciato la prossima attivazione di 100 licenze di estrazione nel Mare del Nord.

A sentire il Primo Ministro inglese si tratta di una manovra che garantirà al Regno Unito la sicurezza energetica, permettendogli di capitalizzare sull’indipendenza tutelando i cittadini inglesi per le prossime generazioni.

Il segretario di Stato per imprese, energia e strategia industriale, Grant Shapps supporta la promessa di Sunak con un’accorata manciata di affermazioni secondo cui «i piani energetici e climatici dei labouristi (partito avverso) sono una minaccia esistenziale» alla sicurezza nazionale del Regno Unito.

Un intruglio mal mescolato di populismo e nazionalismo che produce una nuova e sinistra forma di survivalismo autarchico.

Invece che affermare il chiaro “ognuno per sé” che il partito conservatore sta perseguendo, si spendono a trovare una motivazione ecologica per mantenere in essere l’attività estrattiva fossile.

Il Regno Unito non è il solo ad affrontare questa nuova spaccatura, in cui sembra che i partiti conservatori stiano legando la loro strutturale avversione alle modifiche allo status quo ad azioni che sappiamo essere più lesive per la salvaguardia dell’equilibrio climatica.

Una conservazione suicida

I combustibili fossili, la combustione, l’estrazione, la dislocazione, l’indipendenza nazionale e il rifiuto verso l’esterno sono i capisaldi di un polo ideologico proiettato alla catastrofe. Quasi come se relazioni e importazioni internazionali fossero un pericolo maggiore della sostanza importata o, cosa da non dimenticare, del suo uso.

Dall’altra parte, sicché questo mondo appare sempre spaccato in due pur essendo affetto da un morbo lacerante multistrato, si schierano le timide offerte contrarie. Energia verde a tutti i costi, non tanto come riflessione, ma come ideologia.

E qui sorge il problema, cadiamo in fallo, come specie e come unità politiche. Perché abbiamo smesso di ragionare e stiamo veleggiavano sull’onda di slogan depoliticizzati proprio da chi abita i luoghi della politica.

L’energia pulita è una necessità innegabile. I combustibili fossili sono incompatibili con il raggiungimento degli obiettivi in materia di clima, ma anche con la vita stessa.

Stando alle stime ogni anno 9 milioni di persone muoiono a causa del particolato derivato dalla combustione dei combustibili fossili. Però, invece di tentare nuove strade restiamo su quella battuta, che si dimostra condurre a un vicolo cieco, ostruito e bollente.

E mentre quei 9 milioni muoiono il dibattito politico intride le potenziali soluzioni di appartenenza.

All’angolo destro gas, carbone e petrolio accompagnati da un rifiuto sostanziale per collaborazione e cooperazione internazionali. All’angolo un po’ più a sinistra rinnovabili, ma a piccole dosi, con una nuova cartografia estrattiva e relazioni internazionali un po’ meno note, abbastanza torbide da non turbare troppo l’opinione pubblica ma non troppo diverse da quelle che la hanno precedute.

In sala però, c’è poco pubblico. I seggiolini sono occupati a manciate, ma le file si svuotano progressivamente. Le curve restano, solide e piccole. Poli elettorali stabili, pronti a tifare a priori.

Gli altri si danno appuntamento con poca convinzione fuori, si mettono la crema solare, si riparano dalle grandinate o si preoccupano di recuperare un condizionatore a poco prezzo prima della prossima ondata di calore.

Manca un pezzo a questa storia politica contemporanea, il pezzo che conta di più, quello che darebbe senso al puzzle e comporrebbe un’immagine di futuro abitabile. I sostenitori del fossile parlano dell’inadeguatezza energetica delle rinnovabili, ritenute non sufficienti, mentre chi le supporta prospetta miniere “etiche” di litio.

Le rinnovabili produrrebbero abbastanza per soddisfare i bisogni di un’umanità che consuma con senso e bisogno. E per tutelare tale espressione di vita non servirebbero più tutte queste trivellazioni aggiuntive. Lo scopo attuale però non è cambiare il sistema, ma ridurne l’impatto. E qui casca la maschera ideologica.

Conservatori di consumo a destra e a sinistra.

Invece, ridurre il consumo, generale, appoggiandoci a un’energia meno impattante è la nostra possibilità migliore.

Fermare il sistema produttivo non è certo una cosetta facile facile, ma, scienza alla mano è la direzione verso cui dovremmo virare.

I compromessi non ci salveranno, fingere che si tratti di tutelare il lavoro nemmeno - anche perché si tratta di sfruttamento su larga scala - come pure dire all’elettorato che il problema non esiste. Figurarsi attivare nuovi piani estrattivi, quello significa firmare una condanna a morte. Farlo sotto una bandiera ideologica è un’assicurazione a costo zero. Ma anche la prova che il sistema va cambiato, radicalmente.

La verità è che ora si sta difendendo il mondo così come lo conosciamo, nonostante sia disfunzionale e così prossimo alla data di scadenza.

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