Ambiente

Cop28: il negazionismo climatico di Al Jaber e gli annunci sulla transizione energetica

A Dubai è stato un week-end di fuoco. 118 Paesi firmano l’accordo Ue su rinnovabili ed efficienza energetica ma per il presidente del summit rinunciare ai combustibili fossili significa ritornare nelle caverne
Credit: EPA/ALI HAIDER
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4 dicembre 2023 Aggiornato alle 09:00

Durante il primo week-end di Cop28 è successo davvero di tutto.

Durante la mattinata di sabato, secondo e ultimo giorno del World Climate Action Summit dedicato agli interventi dei Capi di Stato, è stato finalmente il turno di Giorgia Meloni, che si rivolge alla platea con un discorso di circa 5 minuti, ben oltre il limite di 3 minuti normalmente concessi ai leader.

Le sue parole sono molto politiche, e rispecchiano il programma di governo. «La sostenibilità ambientale non può compromettere la sfera economica e sociale», ammonisce. In questo senso, aggiunge Meloni, per parlare di transizione ecologica bisogna adottare un approccio «pragmatico e libero dal radicalismo ideologico».

Dallo stesso palco ha parlato anche Kamala Harris (che nel Vertice dei leader sostituisce Joe Biden), annunciando lo stanziamento di 3 miliardi per il Green Climate Fund.

Le notizie salienti che riguardano Stati Uniti arrivano però da John Kerry, inviato speciale per il clima, che annuncia l’entrata degli Stati Uniti nella Powering Past Coal Alliance, la coalizione di governi nazionali e subnazionali, imprese e organizzazioni impegnate nel phase out del carbone come fonte di energia.

Si tratta di un annuncio importante: gli Stati Uniti hanno la terza capacità di centrali a carbone in funzione più grande al mondo, dietro soltanto a Cina e India.

Il carbone è il combustibile fossile più inquinante, contribuendo a circa il 40% delle emissioni di gas a effetto serra derivanti dai combustibili fossili, e per questo il suo progressivo superamento è essenziale per contrastare la crisi climatica. Con un annuncio che secondo gli analisti rappresenta un chiaro tentativo di fare pressione proprio sulla Cina, molto silenziosa e defilata in queste prime giornate di Cop, l’amministrazione Biden si è impegnata a creare un settore energetico privo di inquinamento da carbonio entro il 2035.

Sempre Kerry fa sapere che gli Stati Uniti fanno parte dei 22 Paesi che hanno espresso il proprio sostegno all’approvazione della Declaration to Triple Nuclear Energy by 2050, chiedendo di triplicare la capacità dell’energia nucleare entro il 2050 per centrare gli obiettivi climatici. Un annuncio che suscita non poche perplessità: il rischio è che diventi una distrazione per il lavoro da fare subito con le tecnologie già a disposizione, come le rinnovabili.

Per una ragione molto simile, è stata accolta timidamente anche la Oil and Gas Decarbonisation Charter, firmata da 50 aziende del settore Oil & Gas, che rappresentano oltre il 40% della produzione globale di petrolio, impegnandosi a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e a ridurre a “quasi zero” le emissioni di metano entro il 2030.

Anche sul fronte delle rinnovabili, però, si è mosso qualcosa, con il discorso della Presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen che ha annuncia che 118 governi – tra cui figurano anche Emirati Arabi e Stati Uniti – hanno firmato l’accordo di proposta Ue che prevede di triplicare la capacità di energia rinnovabile globale e raddoppiare l’efficienza energetica entro la fine del decennio.

Nel frattempo, arriva la notizia di una nuova dichiarazione, questa volta sul tema del nesso tra clima e salute.

Durante l’evento Putting Health at the Core of the Climate Agenda, organizzato dalla presidenza in partenariato con l’Organizzazione Mondiale della Salute (Oms), la Cop28 Uae Declaration on Climate and Health è stata promossa da 123 Paesi allo scopo di accelerare le azioni volte a proteggere la salute delle persone dagli effetti del cambiamento climatico.

Per la prima volta, i governi hanno riconosciuto la necessità di investire nei sistemi sanitari nazionali, soprattutto quelli dei Paesi più vulnerabili, come una priorità strategica per fronteggiare gli impatti sulla salute correlati al clima, quali le ondate di calore, l’inquinamento dell’aria e la diffusione delle malattie infettive.

Per sostenere tali impegni politici sono stati annunciati nuovi strumenti finanziari per un totale di oltre 1 miliardo di dollari, grazie anche ai contributi di banche di sviluppo, istituzioni multilaterali, organizzazioni non governative e attività filantropiche.

Va però ricordato che, come nel caso della Emirates Declaration on Sustainable Agriculture and Resilient Food Systems che ti abbiamo raccontato venerdì, si tratta di un testo che non contiene obiettivi vincolanti e misurabili.

Comunque la si pensi, per la prima volta alla Cop il nesso climate-health è al centro dell’agenda, come dimostrato dal primo incontro ministeriale che si è tenuto ieri, domenica 3 dicembre, proprio in occasione dell’Health Day, e che ha visto la partecipazione di oltre 50 ministri della Salute provenienti da ogni parte del mondo.

Insomma, un altro precedente importante e non da sottovalutare, soprattutto alla luce dei dati emersi recentemente dal report Lancet Countdown 2023, che hanno rivelato come i decessi legati al caldo estremo di persone di età superiore ai 65 anni sono aumentate dell’85% rispetto al periodo 1990-2000.

La vera notizia che arriva nella giornata di domenica è però un’altra, e rimette al centro delle polemiche il presidente della Cop28 degli Emirati Sultan Al Jaber e il suo conflitto di interessi.

A metà mattinata, The Guardian ha reso pubblica la registrazione di un evento Zoom organizzato da She Changes Climate lo scorso 21 Novembre e che vede Al Jaber protagonista di uno scambio acceso con Mary Robinson, ex presidente dell’Irlanda e Alta Commissaria delle Nazioni Unite per i Diritti Umani dal 1997 al 2002.

Durante la conversazione, Al Jaber, incalzato da Robinson sui crescenti investimenti fossili degli Emirati, ha affermato: «Non esiste alcuna evidenza scientifica o scenario che affermi che l’eliminazione graduale dei combustibili fossili ci permetterà di raggiungere l’obiettivo di 1,5 °C. […] Per favore, aiutatemi: mostratemi una roadmap in base alla quale il phase out dei combustibili fossili consentirà uno sviluppo che sia sostenibile a livello socio-economico senza riportare il mondo all’età delle caverne».

A seguito di questa indiscrezione, la reazione indignata della comunità scientifica non si fa attendere, e sono in molti a chiedere le sue dimissioni. Tra gli altri, Bill Hare, chief executive di Climate Analytics, ha commentato: «Parole preoccupanti e inaccettabili. Quello del ritorno alle caverne è il più antico degli stereotipi utilizzato dall’industria dei combustibili fossili. È una forma di negazionismo climatico».

“That escalated quickly”, verrebbe da dire. La credibilità della Presidenza emiratina si sta sgretolando davanti ai nostri occhi, e cresce sempre più la sensazione per cui la quantità abnorme di dichiarazioni (non vincolanti) annunciate in questi primi giorni di conferenza non siano altro che un’arma di distrazione di massa per distogliere l’attenzione da quello che dovrebbe essere l’unico vero obiettivo di questa e di tutte le Cop: smettere di bruciare combustibili fossili e inquinare.

A questo punto, è inutile fare previsioni. Di certo, a Cop28 non ci si annoia mai. E siamo solo alla quinta giornata di negoziati.

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