Diritti

La carenza dei medici accende nuove polemiche tra Africa e Occidente

La partenza di molti medici verso il nord del mondo è vista negativamente dall’opinione pubblica di diversi Paesi africani. Forse però prima di indignarsi bisognerebbe indagare le cause del fenomeno
Credit: Mulyadi 
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17 dicembre 2023 Aggiornato alle 06:30

Con toni che non lasciano dubbi circa una certa animosità con la quale molti africani guardano all’Occidente, alcuni giornali del Continente si stanno occupando della carenza di medici di cui l’Africa sta soffrendo, a causa – nella narrazione collettiva – dell’offerta di migliori retribuzioni concesse nei Paesi del Nord del mondo, che sottrarrebbero così il personale esperto dalla terra in cui medici e paramedici sono nati, cresciuti e si sono formati.

I titoli dei giornali parlano di bracconaggio a stigmatizzare quella, che a torto o ragione, è interpretata quale una sottrazione di personale medico e paramedico a nazioni che, per numerosità di popolazione e altre condizioni non proprio favorevoli, ne hanno maggiore bisogno.

Altri Paesi sempre africani, quali la Nigeria, usano addirittura il termine esodo, quasi che si tratti di numeri di proporzioni bibliche. Ma qual è la situazione nel mondo?

La carenza di personale medico e paramedico è un male comune a molti Stati e non solo africani, sebbene parliamo di professioni che almeno da bambini quasi tutti vorremmo fare. Basta guardare a certi numeri per rendersene conto.

Secondo un repost di Statista del 2021, Israele ricorre a medici stranieri per circa il 58%, la Nuova Zelanda per il 42%, l’Irlanda per il 40%, Australia e Regno Unito per circa il 32%, sino a giungere all’Italia con un 0,9%.

E così, mentre da europei siamo abituati a pensare ai nostri tanti medici, giovani e meno giovani, che trascorrono le proprie ferie o periodi di congedo ad aiutare le popolazioni bisognose di Paesi meno fortunati, dall’altro capo del modo siamo visti come coloro che sottraggono energie a chi ne ha più bisogno.

Da italiani siamo abituati a parlare di fuga dei cervelli all’estero, mentre altrove la fuga è vista in un altro modo ed è considerata quale sottrazione. La differente prospettiva merita di essere valutata sotto almeno tre profili.

La prima considerazione riguarda la libertà di movimento delle persone, che è un valore per molti di noi e un valore fondante dell’Unione Europea.

È così da tanto tempo, a partire dal tardo Medioevo in cui le persone che si spostavano arricchivano la propria cultura ma anche quella del luogo d’origine quando nello stesso tornavano.

Nelle professioni, le esperienze all’estero arricchiscono la conoscenza di chi le esercita e portano a espandere le competenze.

Altro punto che deve essere considerato è che spesso la migrazione all’estero, anche di soggetti qualificati, è sostenuta dagli stessi Paesi di appartenenza e vista come un modo per aumentare expertise ma anche ricevere rimesse dall’estero che possano aiutare la crescita del prodotto lordo nazionale. Non è un caso che, a esempio, il Regno Unito, essendone carente, abbia sottoscritto con il Kenya un accordo per accogliere infermiere e infermieri specializzati. La partecipazione all’accordo del governo keniano chiarisce che l’operazione presenta vantaggi anche per questo stato, nonostante il sacrificio non debba essere piccolo, se si pensa che spesso in Africa l’infermiere specializzato, aiutato da strumenti di telemedicina, supplisce alle necessità dei villaggi rurali recandosi lì a mezzo di una moto o una bicicletta.

Terza e ultima notazione, il termine bracconaggio - scelto per inveire nei confronti del Nord del mondo - è utilizzato in questi giorni dai nigeriani per stigmatizzare l’assunzione dei loro medici da parte di altri Paesi africani.

Da europeo, la cosa mi consola, perché - per una volta tanto - sono in compagnia di coloro che spesso ci criticano, a dimostrazione, laddove occorra, che le differenze le marcano le azioni e non certo il colore della pelle o il posto dove nasciamo.

La realtà effettiva è data dal fatto che ci accorgiamo – in Italia e nel resto del mondo - che i medici e il personale paramedico sono essenziali solo nei momenti di emergenza, quando poi si ricorre agli specializzandi perché non ci sono professionisti esperti.

Pertanto, se dall’Africa i medici nativi si allontanano, ci si dovrebbe chiedere quanti posti di lavoro siano effettivamente loro offerti nella propria terra e con quali retribuzioni, se è vero come è vero che dall’Africa orientale spesso si preferisce andare a curarsi negli Emirati Arabi perché nei Paesi del Corno mancano centri medici e laboratori.

E a conferma del fatto che forse vi sia più una carenza di posti che di medici giunge la notizia che il Kenya non rinnoverà l’accordo con Cuba, sulla base del quale cento medici cubani lavorano stabilmente in Kenya e giovani laureati medici keniani vanno a fare esperienza a Cuba: l’accordo venne in passato impugnato da medici keniani che lamentavano il fatto che in patria molti medici erano disoccupati ed è stato oggetto di altre contestazioni per il fatto che i medici cubani sarebbero pagati il doppio dei medici locali.

E così, prendendo spunto dalla situazione africana e guardando al mondo nella sua globalità, dovremmo chiederci se la fuga dei cervelli da un Paese all’altro e la carenza di personale medico non dipenda da politiche scellerate di contenimento delle iscrizioni universitarie, carriere negate da baronie mai davvero cancellate e politiche d’impiego, retributive e, ahi noi, anche pensionistiche di scarso respiro, che portano a domandarsi se non sia meglio andare altrove. Del resto il giuramento d’Ippocrate impone ai medici di prestare cure ai malati ma non li relega alla terra dove sono nati e hanno studiato.

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