Diritti

Il Sistema sanitario nazionale è al collasso: la denuncia dei medici

La scorsa settimana si sono tenute manifestazioni in 39 città per chiedere di frenare la privatizzazione e la fuga di cervelli: più di 5.000 dottori si sono dimessi dal pubblico a causa del lavoro sottopagato
Credit: Annie Spratt
Tempo di lettura 4 min lettura
21 giugno 2023 Aggiornato alle 13:00

Il diritto alla salute è a rischio: è ciò che hanno denunciato la scorsa settimana i medici guidati dal sindacato Anaao-Assomed in 39 città italiane. La richiesta dei manifestanti è di arrestare la deriva verso la privatizzazione del Sistema sanitario nazionale e di frenare la fuga dei professionisti investendo sul personale, contro le liste di attesa e per il diritto alle cure.

Mentre nella maggior parte delle Regioni gli ospedali faticano a gestire l’erogazione dei servizi, in molte strutture pubbliche, spesso vetuste e inadeguate, i posti letto per i ricoverati non bastano più e l’attesa per l’accesso alle cure aumenta. Ma sono anche i medici a diminuire, e per chi rimane il carico di lavoro diventa massacrante.

Secondo l’Annuario statistico del Servizio sanitario nazionale, in tutto lo Stivale sono disponibili 4,3 posti letto ogni 1.000 abitanti. Dei 1.004 ospedali presenti nel Paese, inoltre, solo la metà sono pubblici: il 48,6% delle strutture è invece privato accreditato, cioè convenzionato con il Sistema sanitario nazionale. L’analisi dei dati relativi all’assistenza ospedaliera nel periodo 2016-2020 mostra che sia le strutture di ricovero pubbliche sia quelle private accreditate sono calate rispettivamente del 3,9% e dello 0,8%.

L’analisi di Cittadinanzattiva parla di una desertificazione sanitaria che colpisce il diritto alla cura da Nord a Sud. Nella provincia di Bolzano un medico di medicina generale segue circa 1.539 cittadini, sfondando la media nazionale di un medico ogni 1.245 pazienti e superando il numero limite fissato dalla normativa. Ad Asti e provincia mancano i pediatri: ogni professionista segue 1.813 bambini fino ai 15 anni, anche se la normativa prevede che ogni pediatra abbia in carico un massimo di 800 bambini. A Caltanissetta, poi, c’è un ginecologo ospedaliero ogni 40.565 donne, ma la sproporzione raggiunge livelli elevati anche a La Spezia, Macerata, Viterbo e in 3 province della Calabria.

Al di là delle specificità territoriali, lo squilibrio più marcato tra il numero di medici e pazienti è maggiore in Lombardia, Piemonte e Friuli. Qui e in altre Regioni, il Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) prevede un intervento da 1 miliardo di euro per potenziare la rete di strutture sanitarie nelle zone del territorio più periferiche, dove i servizi di cura sono pressoché assenti. In queste zone, però, oltre 5 milioni di cittadini rischiano di rimanere comunque privi di assistenza. I fondi del Pnrr infatti mirano entro il 2026 a realizzare solo il 17% dei 434 ospedali necessari.

Negli ultimi mesi in Italia oltre 5.000 medici si sono dimessi dal settore pubblico a causa del lavoro sottopagato, in media fino al 40% in meno rispetto a quello dei propri colleghi europei. Lo conferma lo studio svolto da Anaao-Assomed, secondo cui uno dei motivi principali di fuga dei medici dal Sistema sanitario nazionale è la mancanza di crescita degli stipendi di fronte all’inflazione, “insieme alla marginalizzazione di un ruolo che li vuole costretti in matrici organizzative che trascurano le competenze e mortificano il merito”, scrivono gli autori.

La ricerca del sindacato sembra inoltre dare ragione al report di Cittadinanzattiva quanto al numero di professionisti disponibili: “in Italia non vi è carenza di medici intesi come laureati in Medicina e Chirurgia, ma piuttosto di medici specialisti”, spiega Anaao-Assomed. Una carenza stimata a livello nazionale pari a circa 25.000 medici tra specialisti e non. Questo in parte accade perché molti posti nelle scuole di specializzazione restano vacanti. In particolare, su 30.452 contratti statali finanziati negli ultimi 2 concorsi di specializzazione (2021 e 2022), ben 3.907 (13%) risultano non assegnati, mentre sono stati 1.601 (5%) gli specializzandi che hanno interrotto il percorso, soprattutto nell’ambito della medicina d’urgenza.

A lasciare sguarniti gli ospedali sono anche i medici che, una volta conclusi gli studi, scelgono di lasciare l’Italia. Nel decennio 2008-2018 sono stati più di 11.000 i dottori che si sono trasferiti per specializzarsi e lavorare fuori, soprattutto in Regno Unito, Svizzera e Francia. Ma secondo le stime, la mancanza di professionisti nel Paese raggiungerà il picco entro il 2025. Per i sindacati, la via per supplire al deficit del Sistema sanitario non è però quella di aumentare i numeri degli iscritti alle facoltà di Medicina, come di recente proposto dal Ministero dell’Università e della Ricerca, quanto piuttosto potenziare i programmi di prevenzione e riformare modelli assistenziali ormai obsoleti.

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