Ambiente

Gli Stati africani e la (pessima) tentazione del nucleare

In molti Paesi africani la carenza dell’energia elettrica rappresenta un’emergenza, che tuttavia sarebbe meglio affrontare sfruttando il sole e le fonti pulite
Credit: Oliver Berg/dpa    
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3 dicembre 2023 Aggiornato alle 06:30

Tra le varie criticità di cui molti Stati africani soffrono una è senz’altro la carenza di energia elettrica che incide pesantemente su diversi aspetti. Sull’alimentazione, non potendo garantire la catena del freddo volta alla conservazione degli alimenti; sulla salute, considerata la necessità di ospedali e ambulatori di averla per assicurare servizi essenziali per le sale operatorie, la refrigerazione dei medicinali, il funzionamento delle incubatrici e altre apparecchiature diagnostiche e di monitoraggio; e sull’educazione, visto che l’energia assicura tramite internet accesso a fonti di informazioni e conoscenza.

Si stima che oltre la metà della popolazione dell’Africa subsahariana manchi di accesso all’energia elettrica. Un elemento da tenere in mente è che spesso la carenza di energia elettrica è legata non solo alle fonti di produzione ma anche all’assenza di una rete che possa distribuirla, ragione per la quale le fonti di produzione come pannelli solari, mini eolico e mini idrico possono aiutare ad alleggerire la situazione garantendo alle comunità isolate quell’energia che ben possiamo definire ‘vitale”.

Il sole però presenta un appeal in più, almeno nei Paesi della fascia del Sahel, che si trovano in una delle aree terrestri più idonee allo sfruttamento dei pannelli solari, e che possono trarne un vantaggio non solo economico ma anche in termini di indipendenza dell’altrui tecnologia.

Nonostante questi argomenti, la tentazione del nucleare e le possibilità che questa tecnologia può fornire per poi giungere ad altri utilizzi a scopo non civile è sempre dietro l’angolo. È di questi giorni infatti la discussione che sta sollevando l’intenzione di stati quali il Mali e il Burkina Faso, da poco interessati da colpi di stato militari, di ricorrere a una società russa, Rosatom, per la realizzazione di impianti nucleari per la produzione di energia.

Questi due Paesi sono stati preceduti dall’Egitto che ha già iniziato la realizzazione di un impianto che sarà costruito dalla medesima società russa.

Il punto è che tale forma di energia, a prescindere dalle preoccupazioni che ingenera in molti di noi, richiede un’alta specializzazione non solo nella costruzione ma anche nella gestione, e quindi della presenza di tecnici altamente specializzati che gli stati africani - al momento - non sono in grado di avere.

Il tema della carenza di tecnici non è nuovo in Africa se è vero che ben 50 anni fa la Comunità europea decise di abbandonare progetti di realizzazione di ferrovie per l’incapacità - almeno allora - dei Paesi africani di assicurare la manutenzione anche primaria di motrici, vagoni e binari con personale locale.

Certo ora il gap tecnologico è mutato, ma per il nucleare non si può dire la stessa cosa. E che il nucleare non sia la risposta giusta alla domanda di energia elettrica appare chiaro anche per altre ragioni di carattere pratico: la produzione di energia è uno dei punti deboli, ma manca comunque una rete per diffondere quella prodotta in grandi siti, laddove solare e le altre fonti alternative possono soddisfare direttamente i bisogni dei posti isolati.

La scelta nucleare pone poi un ulteriore interrogativo: possono gli stati africani abbracciare l’energia nucleare in modo sicuro e autonomo?

I dubbi ci sono e sono vari, non soltanto tecnici ma anche legati alla sicurezza dei siti in zone spesso teatro di guerre, dichiarate e non.

Senza pensare a Cernobyl, dove la tragedia accadde in tempo di pace, basta vedere cosa sta accadendo oggi a causa della guerra in Ucraina, con il continuo allarme legato alla centrale nucleare di Zaporizzja dove comunque i tecnici continuano a cercare di assicurare la sicurezza del sito in condizioni tremende.

Se una situazione simile si verificasse in uno stato africano, il dubbio che tecnici stranieri continuerebbero a prestare la propria opera è più che legittimo, così come è legittimo temere il facile ricatto che gruppi terroristici potrebbero paventare in ogni situazione di instabilità.

Si devono inoltre considerare le criticità relative allo smaltimento delle scorie nucleari e le normali manutenzioni.

Il quadro che ne emerge non appare rassicurante e, considerate le esperienze passate, la criticità non è solo locale, visto che gli effetti di fughe radioattive possono avere a centinaia e migliaia di chilometri di distanza.

C’è da sperare allora che desideri di potenza e le facili scorciatoie basate sull’aiuto straniero, che non è mai poi così disinteressato, lascino il passo alle energie pulite e che il sole aiuti l’Africa e anche noi.

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