Economia

Nucleare, perché costi tanto?

Se circa 10 anni fa il prezzo medio dell’uranio oscillava tra i 20 e i 25 dollari per libbra, oggi supera i 65 dollari. Un aumento dovuto a una ritrovata attenzione verso una fonte di energia che potrebbe diventare strategica
Credit: Tom Fisk
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21 settembre 2023 Aggiornato alle 09:00

L’11 Marzo 2011 a Fukushima, in Giappone, un terremoto di magnitudo 9.1 ha dato il via a uno tsunami che ha inondato le coste del Pese danneggiando la centrale nucleare di Fukushima –Daichi. Un evento che ha rappresentato una chiave di volta nella storia dell’energia nucleare aprendo la discussione sulla sicurezza energetica e spingendo un numero crescente di governi a prendere le distanze dall’utilizzo dell’atomo.

Ad oggi però, di fronte all’impossibilità di rimandare ulteriormente la transizione ecologica, l’energia nucleare amplia la propria platea di sostenitori lasciando spazio a quella che Grant Isaac, direttore finanziario Cameco, definisce uno scontro tra l’attenzione rivolta alla sicurezza energetica e quella rivolta all’energia pulita.

La stessa Unione europa all’interno del suo Green Deal, volto al raggiungimento di un minor impatto ambientale, ha definito gli investimenti sul nucleare “sostenibili” e “verdi”. E mentre alcuni Paesi chiudono le porte al nucleare, come la Germania che ha salutato lo scorso aprile l’ultima centrale attiva, in Francia, negli Stati Uniti e in Corea del Sud si estende la durata degli impianti già esistenti e se ne progettano di nuovi.

Nonostante le politiche degli ultimi anni abbiano portato a un aumento dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, come quella eolica e solare, i combustibili fossili continuano ad avere un ruolo prioritario nella produzione energetica odierna.

Le centrale nucleari, invece, non producono gas Serra durante il loro funzionamento e possono, secondo gli studiosi, sostituire agevolmente la produzione energetica a combustibile fossile tramite una conversione degli impianti. Una mossa che, secondo la World Nuclear Association, corrisponderebbe a eliminare un terzo di tutte le automobili presenti sul nostro Pianeta.

L’aumento della domanda di energia nucleare sta portando a un costante incremento del prezzo dell’uranio, una delle fonti energetiche primarie per il funzionamento delle centrali, che ha raggiunto il livello più alto negli ultimi 12 anni.

Secondo UxC i prezzi sarebbe aumentati del 12% solo nell’ultimo mese raggiungendo i 65,50 dollari per libbra, mentre negli ultimi dieci anni il prezzo medio è oscillato tra i 20 e i 25 dollari.

Una cifra che sembrerebbe non essere destinata a fermarsi: secondo la società di intermediazione Ocean Wall il prezzo dell’uranio entro il 2025 potrebbe raggiungere i 200 dollari per libbra, mentre più di 140 reattori potrebbero veder incrementata la propria durata e circa 35 gigawattora di piccoli reattori modulari potrebbero essere sviluppati prima del 2040. Questo potrebbe portare a un ulteriore incremento della quantità di uranio in richiesta a oltre 130.000 tonnellate secondo le stime della World Nuclear Association. Una produzione non così facile da realizzare dato che, in seguito al disastro di Fukushima, il calo della domanda di uranio ha portato a una riduzione dei progetti minerari attivi contribuendo enormemente all’innalzamento dei prezzi a cui stiamo assistendo in questi mesi.

A giocare un ruolo chiave è il contesto politico economico della produzione dell’uranio stesso. Oggi, difatti, i principali esportatori mondiali sono: Australia (28%), Kazakistan (13%), Canada (10%), Russia (8%) e Namibia (8%). A seguire Sud Africa e Niger che da solo dispone di oltre 311.000 tonnellate di uranio, ovvero circa il 5% dell’uranio globale. Il Paese, che lo scorso luglio è stato protagonista di un colpo di stato guidato dal Generale Abdourahamane Tchiani, ha rappresentato nel 2022 uno dei principali fornitori di uranio per l’Europa: il 91%, difatti, proveniva da Kazakistan, Canada, Russia e Niger.

Una percentuale che allarma i Governi del Vecchio Continente dove, mentre l’uranio non è stato finora introdotto nelle sanzioni contro Putin, un’eventuale collaborazione tra Russia e Niger potrebbe inasprire ulteriormente una crisi che, da quando è iniziata la Guerra in Ucraina, continua a farsi strada.

Anche in Italia di energia nucleare si dibatte da tempo, tra chi la identifica come una scelta strategica e chi, invece, vorrebbe la chiusura delle quattro Centrali ancora a oggi attive. Particolarmente favorevole il Governo Meloni che lo definisce come «il vero volano di cui il Paese ha bisogno».

A pensarla diversamente sono, invece, associazioni ambientaliste come Legambiente, GreenPeace e Wwf, che criticano gli investimenti nel nucleare di quarta generazione per i tempi lunghi e gli elevati costi di realizzazione incompatibili con l’urgenza della crisi climatica, oltre a porre un accento sulle difficoltà nello smaltimento delle scorie radioattive, a cui è ancora non si trova una soluzione concreta.

Un dibattito che non sembra pronto ad arrestarsi e che continua a farci interrogare su quale sia il rapporto tra i rischi e i benefici dell’energia nucleare.

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