Ambiente

I più vulnerabili pagano la crisi climatica sulla loro pelle

Donne, persone Lgbtq+, Bipoc e con disabilità sono le più colpite dal cambiamento climatico, che impatta di più la loro salute a causa dell’intersezione delle diverse oppressioni
Credit: Giorgio Encinas      

Le donne sperimentano in modo sproporzionato il peso del cambiamento climatico a causa dei bisogni unici di salute mentale, sessuale e riproduttiva che si intersecano con le disparità sociali, razziali ed economiche esistenti”. A dirlo è il Fifth National Climate Assessment, il primo rapporto del Global Change Research Program degli Stati Uniti dell’era Biden.

Che siano le persone più vulnerabili a soffrire in maniera più pesante le conseguenze della crisi climatica non è una novità.

Allo stesso modo sono ben noti, ormai, gli effetti delle disuguaglianze sulla salute.

È estremamente significativo, però, che per la prima volta questo documento - che è pensato per aiutare il pubblico a comprendere gli impatti dei cambiamenti climatici e viene pubblicato circa ogni 5 anni – contenga una sottosezione espressamente dedicata alla salute femminile, oltre a una dedicata a quella delle persone Lgbtq+.

Ma focus specifici sono dedicati anche alle persone con disabilità e alle minoranze razzializzate (persone indigene, latinx e afroamericane). Tutte categorie che più delle altre pagano gli effetti del cambiamento climatico antropico.

Cambiamento climatico: gli impatti su salute femminile, gravidanza e neonati

“Le donne”, si legge nel capitolo 15 Human Health, “in particolare le donne di colore, hanno maggiori probabilità di vivere in comunità con un basso livello di ricchezza, associate all’insicurezza alimentare e all’esposizione al particolato, al caldo estremo e ai disastri legati al clima”.

La situazione è particolarmente critica per le donne incinte: l’esposizione al calore, al particolato e ai fattori di stress associati ai disastri, infatti, ha come conseguenza scarsi esiti della gravidanza, tra cui aborti spontanei e basso peso alla nascita.

Questi fattori, però, non colpiscono solo feti e bambini ma anche le madri, contribuendo all’incremento del rischio di mortalità materna, un fenomeno di cui gli Usa detengono un triste primato: solo il Paese ad alto reddito, infatti, in cui è maggiore il rischio di morire di parto o per conseguenze legate alla gravidanza. Un rischio che per i gruppi emarginati, in particolare le donne Bipoc, è ancora più alto, “esacerbando le disuguaglianze sociali esistenti”.

Gli effetti dei cambiamenti climatici su madri e bambini, però, ha effetti anche a lungo termine: “l’esposizione in utero allo stress materno durante i disastri legati al clima è collegata a successivi disturbi psichiatrici nella prima infanzia”. A questo si aggiunge che le donne hanno maggiori oneri di assistenza e un ridotto accesso all’assistenza sanitaria, “il che rende più difficile il recupero dalle esposizioni legate al clima”.

Perché le persone Lgbtq+ sono più esposte agli effetti dei cambiamenti climatici?

Ma a essere a rischio non è solo la salute delle donne: le minoranze sessuali e di genere (Sgm), continua il rapporto, “si trovano ad affrontare disparità sociali, economiche e sanitarie e, di conseguenza, sono maggiormente esposte al rischio di danni derivanti dai cambiamenti climatici”.

Quanto parliamo di effetti dei cambiamenti climatici genere, classe, razza, orientamento sessuale e identità di genere si intersecano, colpendo in maniera più forte chi subisce più livelli di oppressione.

Nel 2015, per esempio, gli individui transgender neri e latini avevano una probabilità tre volte superiore rispetto alla popolazione complessiva degli Stati Uniti di vivere al di sotto della soglia di povertà, spiega il rapporto. Le persone indigene appartenenti a minoranze sessuali o di genere “si trovano ad affrontare crescenti disparità sanitarie poiché il cambiamento climatico continua a incidere sugli stili di vita e sulle economie”.

Non solo: le persone Lgbtq+ “potrebbero non avere accesso a servizi critici durante eventi estremi e spesso non sono inclusi nei piani di preparazione e risposta alle catastrofi a causa della discriminazione e delle strutture istituzionali che danno priorità ai bisogni degli individui cisgender ed eterosessuali”.

Le strutture istituzionali, avverte il rapporto, “potrebbero non riconoscere le “famiglie scelte” e fanno sempre più affidamento su organizzazioni religiose come primi soccorritori durante i disastri”. Organizzazioni religiose che in passato hanno incolpato proprio le persone Lgbtq+ per eventi estremi come gli uragani devastanti e gli incendi, definendoli una “punizione di Dio”. Convinzioni discriminatorie che non solo allontanano le persone dalla ricerca di soccorso, ma che possono essere portata avanti anche dagli stessi operatori sanitari, che possono rifiutarsi di fornire servizi sanitari o discriminare gli Sgm durante le catastrofi.

Salute delle persone con disabilità: come è impattata dai cambiamenti climatici?

“Il cambiamento climatico danneggia in modo sproporzionato e differenziato la salute delle persone con disabilità, amplifica le disuguaglianze socioeconomiche e sanitarie esistenti, crea sfide uniche e aggrava le disparità dovute a discriminazioni multiple”.

Le persone con disabilità hanno un rischio maggiore di mortalità e lesioni durante le catastrofi climatiche: non solo in questi momenti possono esserci interruzioni nell’accesso ai dispositivi di assistenza, anche salvavita, ma nei periodi di temperature ambientali più elevate e ondate di caldo, “le persone con disabilità fisiche e mentali sperimentano impatti negativi sulla salute, aumento delle visite al pronto soccorso e tassi di mortalità più elevati”, anche perché le misure di raffreddamento possono essere fisicamente o finanziariamente inaccessibili.

A influenzare la salute delle persone con disabilità sono, infatti, anche le difficoltà finanziarie: a causa della minore ricchezza, della maggiore disoccupazione e della scarsa istruzione rispetto coetanei non disabili, le persone con disabilità vivono in modo sproporzionato in quartieri con maggiore esposizione al particolato fine. Questo gli espone a un rischio elevato di esposizione all’inquinamento atmosferico cronico.

Popoli tribali e indigeni: colpiti in modo “sproporzionato”

“Oltre a sopportare le difficoltà storiche alle ingiustizie della colonizzazione, delle delocalizzazioni forzate e dell’espropriazione delle terre le popolazioni indigene sono tra le prime ad affrontare le minacce alla salute spirituale, fisica e mentale e gli impatti dei cambiamenti climatici”.

Una minaccia che impedisce loro di accedere (o di mantenere) ai propri stili di vita culturali ed economici e peggiora le vulnerabilità a livello comunitario. Un esempio, tra i tanti, è la limitata disponibilità di acqua per l’uso da parte di esseri umani, animali e piante.

A questo si aggiungono i pericoli legati al clima – inondazioni, erosione, l’innalzamento del livello del mare e scioglimento dei ghiacci – fenomeni che potrebbero rendere impraticabili le strade in parti remote dei territori tribali, “ampliando così il divario nella capacità di accedere a un’assistenza sanitaria adeguata”.

Gli effetti del razzismo sugli effetti del cambiamento climatico

“Le politiche e le pratiche discriminatorie in materia di alloggi, istruzione e ubicazione di strutture inquinanti, compreso il disinvestimento in infrastrutture e assistenza sanitaria”, spiega il report, “amplificano gli impatti negativi sulla salute legati al clima”.

Per questo, “il cambiamento climatico ha avuto e continuerà a avere impatti negativi sproporzionati sulla salute delle comunità a basso reddito e delle comunità Bipoc, peggiorando le disparità sanitarie già esistenti”.

Rispetto ad altri gruppi demografici, per esempio, le persone Latinx hanno il 43% di probabilità in più di vivere in aree che subiranno la maggiore riduzione di ore di lavoro a causa delle temperature estremamente elevate a causa dell’innalzamento di 2 °C entro il 2085-2095.

Ma secondo le previsioni anche 143.145 afroamericani dovranno affrontare rischi “sproporzionatamente maggiori” derivanti dai cambiamenti climatici.

Gli afroamericani e gli individui a basso reddito, infatti, corrono rischi maggiori di morte a causa di inondazioni e inquinamento atmosferico dovuti al clima rispetto ai bianchi e le persone bipoc sono esposte in modo sproporzionato ai co-inquinanti dei gas serra, e ai problemi di salute che ne conseguono.

A causa della discriminazione e di quello che prende il nome di “redlining abitativo”, gli afroamericani hanno maggiori probabilità di vivere in quartieri con meno alberi e più marciapiedi e, conseguentemente, di soffrire in modo sproporzionato di morti legate al caldo, di essere esposti a una peggiore qualità dell’aria e di sperimentare tassi più elevati di asma.

Condizioni che in larga parte condividono con le persone Latinx.

Leggi anche
La parlamentare inglese Nadia Whittome nel gennaio 2022 durante una manifestazione contro il disegno di legge di polizia, criminalità, condanne e tribunali
Climate change
di Costanza Giannelli 4 min lettura
Il 30 giugno 2022 ambientalisti di tutte le età si sono riuniti per protestare contro la decisione della Corte Suprema di limitare le capacità dell’Epa di regolare le emissioni per le centrali elettriche operative
Inquinamento
di Fabrizio Papitto 3 min lettura