Diritti

Il sogno americano è morire di parto?

Con i tassi di mortalità materna quasi 3 volte superiori alla media, gli Stati Uniti sono il Paese ad alto reddito dove avere un figlio è più pericoloso
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Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
26 marzo 2023 Aggiornato alle 08:00

Ogni 2 minuti una donna muore per motivi legati alla gravidanza o al parto. I dati diffusi dall’Oms mostrano come la mortalità materna sia un problema endemico ancora in tutto il mondo.

Sì, in tutto il mondo, anche se siamo portati a pensare che i decessi delle neo-mamme o di chi sta per diventarlo siano un problema dei Paesi in via di sviluppo, che l’Occidente del benessere si è lasciato alle spalle nel dimenticatoio della storia, se guardiamo ai dati è evidente che le cose non stanno proprio così.

E che, anzi, morire di parto o per una gravidanza difficile è ancora fin troppo comune anche in quei Paesi che associamo indissolubilmente al trionfo del benessere.

Come gli Stati Uniti, che si confermano la nazione ad alto reddito più pericoloso per partorire, e dove il numero delle morti continua a salire.

Nel 2021 si è verificato l’incremento più alto in quasi 60 anni. Come testimoniato dal National Center for Health Statistics il numero di donne morte durante la gravidanza o entro 42 giorni dal parto è aumentato del 40%, con 1.205 casi rispetto agli 861 del 2020.

Questo significa 33 decessi per 100.000 nati vivi, sensibilmente più alto rispetto ai 24 del 2020 e ai 20 del 2019. Non erano così tanti dal 1965.

I tassi in Francia, Regno Unito e Canada nel 2020 erano rispettivamente di 8, 10 e 11 decessi per 100.000 nati vivi, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. In Italia sono stati 5, mentre Australia, Austria, Israele, Giappone e Spagna hanno avuto tra i 2 e i 3 decessi ogni 100.000 nati nello stesso anno. Il tasso di mortalità materna nelle nazioni ad alto reddito nel complesso era di 12 per 100.000 nati vivi nel 2020, mentre nei Paesi a basso reddito era di 430 per 100.000.

I tassi di mortalità materna negli Stati Uniti sono dunque quasi tre volte la media e, soprattutto, sono aumentati del 78% tra il 2000 e il 2020, mentre sono diminuiti nella maggior parte degli altri Paesi, come reso noto dall’Oms.

Le cause sono diverse e in parte attribuibili al Covid-19 e alle interruzioni sanitarie legate la pandemia, che si sono aggiunte a problemi già esistenti:

la diffusione delle patologie cardiovascolari e la mancanza di assistenza sanitaria, oltre alle disuguaglianze razziali che pregiudicano l’accesso a cure e trattamenti sanitari adeguati. Disparità che hanno peggiorato la salute materna negli ultimi anni, soprattutto quella delle donne bipoc.

Le più colpite, infatti, sono le madri nere, con un tasso di mortalità 2,6 volte superiore a quello delle donne bianche nel 2021 (69,9 contro 26.6) I neri costituiscono circa il 14% della popolazione degli Stati Uniti, ma il 30% delle morti materne era tra donne nere. Anche il tasso di mortalità delle madri ispaniche ha superato quello delle donne bianche (28 contro 26,6), ed è raddoppiato in soli 3 anni.

Tra le cause principali delle morti materne ci sono condizioni cardiovascolari come embolie polmonari, sanguinamento incontrollato o problemi derivanti dall’ipertensione.

Come hanno spiegato alcuni medici al Washington Post, alcune complicazioni che avvengono durante la gravidanza e nel postpartum sono probabilmente legate all’aumento dell’obesità e dei problemi cardiaci. Circa il 42% degli adulti statunitensi, infatti, è considerato obeso, quasi la metà ha la pressione alta, circa l’11% ha il diabete e il 38% ha il prediabete, secondo i dati del Centers for Disease Control and Prevention.

Una situazione che il Covid-19 ha solo peggiorato, esponendo le donne incinte a rischi maggiori legati sia alla virus sia all’impossibilità di ricevere cure per paura di contrario.

I tassi di mortalità più elevati per le donne bipoc riflettono disparità come la mancanza di accesso all’assistenza sanitaria in alcune comunità e il diverso impatto del Covid: le persone nere, infatti, sono state ricoverate in ospedale e sono morte a tassi più alti dei bianchi.

Non solo: secondo diversi studi, gli operatori sanitari sono anche più propensi a trascurare i problemi di salute dei pazienti neri, oltre che quelli delle persone con obesità.

Ma le disparità razziali sono solo uno degli aspetti che rendono ancora più drammatica quella che è a tutti gli effetti un’emergenza sottovalutata: secondo l’ultima raccolta di dati effettuata da comitati in quasi 40 stati degli Stati Uniti e pubblicata a settembre dai Centers for Disease Control and Prevention, infatti, l’84% dei decessi correlati alla gravidanza era prevedibile.

Ancora più sorprendente, come ha spiegato l’infermiera Sheffield-Abdullah a Npr, è che il 53% dei decessi si è verificato dopo che le donne hanno lasciato l’ospedale, tra sette giorni e un anno dopo il parto.

«Siamo così concentrati sul bambino. - ha spiegato - Una volta che il bambino è qui, è quasi come se la madre fosse scartata. Come una tazza di burro di arachidi di Reese. La mamma è l’involucro e il bambino è la caramella. Una volta rimosso l’involucro, lo getti. E quello a cui dobbiamo davvero pensare è quel quarto trimestre, quello dopo la nascita del bambino».

Alcuni dati provvisori suggeriscono che i decessi abbiano raggiunto il picco nel 2021 e abbiano iniziato a scendere l’anno scorso.

Eppure alcuni esperti temono che altre tendenze in tutto il Paese possano peggiorare queste cifre, non migliorarle, comprese le restrizioni all’aborto che possono ritardare l’assistenza per le complicazioni della gravidanza, la carenza di personale negli ospedali e le chiusure dei reparti di maternità nelle zone rurali.

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