Città

Con Bulgakov tra Kyiv e Mosca

Una guerra, due nazioni che un tempo lontano erano una sola, e i romanzi scritti tra capitali che oggi sono in conflitto. In questi giorni difficili, il grande scrittore ci ricorda che la vita nei due mondi non è sempre stata così
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1 marzo 2022 Aggiornato alle 21:00

C’è una panchina a Mosca, davanti ai Patriarshiye Prudy (gli stagni del patriarca), un grande stagno nel centro della capitale russa, su cui difficilmente torneremo a sederci presto. E poi c’è una casa, a quasi 900 km di distanza, in cui lo scrittore e drammaturgo Michail Bulgakov, nacque nel 1891. Anche lì, a Kyiv, al numero 13 di Andrijvskij Uviz, difficilmente torneremo presto.

Diventata museo nel 1991, l’anno del crollo dell’Unione Sovietica e dell’indipendenza ucraina, l’abitazione in cui Bulgakov visse per i primi 30 anni della sua vita, è chiusa a causa della guerra scoppiata giovedì 24 febbraio. E pensare che negli anni era diventato uno dei musei più visitati della capitale ucraina, così come quegli stagni moscoviti in cui tanti lettori si sono immersi con l’immaginazione in uno dei romanzi più famosi di Bulgakov, Il Maestro e Margherita. Anni fa, su iniziativa della casa museo di Bulgakov (questa volta quella di Mosca) comparve nei pressi del laghetto un cartello che invitava a non rivolgere la parola agli sconosciuti: si distinguono le sagome di Woland, Korovev e del gatto Behemoth, protagonisti del libro.

Negli scritti di Michail, però, altri giardini, taciturni e quieti, avevano conquistato la sua memoria: quelli di Kyiv. «D’inverno, come in nessun’altra città al mondo», scriveva in La guardia bianca, «calava la quiete sulle vie e sui vicoli tanto della città alta, sulle colline, che della città bassa, che si stendeva lungo le anse del Dnepr intirizzito, e tutto il rombo delle macchine si perdeva all’interno degli edifici di pietra, si smorzava e diventava un borbottio sordo. […] Ed ecco che, nell’inverno del 1918, la città viveva una vita strana, innaturale, che con ogni probabilità più non avrà a ripetersi in tutto il ventesimo secolo. Di là dalle pareti di pietra tutti gli appartamenti erano stracolmi. La gente che da tempo immemorabile ci viveva si stringeva e continuava sempre più a stringersi, per accogliere, volente o nolente, sempre nuovi rifugiati che confluivano nella città. E questi arrivavano proprio da quel ponte simile a una freccia, da quei luoghi da cui si levavano enigmatiche foschie azzurrognole».

Il racconto del convulso inverno a cavallo tra il 1918 e il 1919 a Kyiv, durante la guerra civile russa, sembra avere qualcosa di simile con questi giorni e con questo inverno. Kyiv come Mosca, dove si trasferì nel 1921 per ricongiungersi con la prima moglie (si sposò altre 2 volte), le capitali assediate oggi, per motivi diversi, sembrano parlarci direttamente attraverso la penna di Michail. Simbolo della resistenza allo stalinismo, il giovane si schiera contro il regime succeduto all’impero zarista dopo la rivoluzione bolscevica del 1917 e nella guerra civile viene arruolato come medico militare nell’Esercito del Popolo Ucraino (era laureato in Medicina e aveva lavorato come medico prima di dedicarsi alla narrativa, ma anche al giornalismo e al teatro).

«Al mondo non c’è una città più bella di Kyiv», scriveva in Memorie di un giovane medico quando ormai abitava a Mosca da 7 anni. Quella Mosca notturna e fantasiosa che il diavolo de Il Maestro e Margherita mette a soqquadro, e che ci appare, senza troppa immaginazione, distrutta quasi quanto Kyiv. Entrambe in scacco a una persona sola. E chissà cosa avrebbe scritto oggi Bulgakov, delle sue città, entrambe abbandonate, amate e profondamente diverse.

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