Culture

Le Buste di Poesia di Emily Dickinson

Il Saggiatore ha pubblicato una raccolta di testi che la poetessa scrisse su carta ricavata da vecchie buste. Una forma stilistica che impone una domanda: cos’è davvero la poesia?
Tempo di lettura 5 min lettura
12 novembre 2023 Aggiornato alle 09:00

Nel 1971 Stanley Fish, professore alla State University of New York, condusse un esperimento con una delle sue classi, per capire che cosa porti le persone a riconoscere una poesia come tale.

Ad alcuni nomi propri che aveva scritto sulla lavagna per la lezione precedente, aggiunse alcuni elementi contestuali che facessero leggere quelle righe come una poesia (le incorniciò e segnalò un numero di pagina) e chiese ai suoi studenti e studentesse di interpretarla.

La classe prese molto sul serio l’esercizio e riuscì a estrarre significati incredibili da quella manciata di nomi assolutamente casuali, solo perché erano partiti dal presupposto che fosse una poesia.

La conclusione a cui giunse Fish, riportata in un testo pubblicato in Italia da Einaudi, (C’è un testo in questa classe? L’interpretazione nella critica letteraria e nell’insegnamento, Torino, Einaudi, 1987) è che “gli atti di riconoscimento, anziché essere fatti scattare dalle caratteristiche formali, ne sono essi l’origine”.

In breve, riconosciamo un testo come poesia non per le sue caratteristiche intrinseche, formali o sostanziali che siano, ma perché lo leggiamo in un contesto in cui siamo portate e portati naturalmente a considerarlo tale. Insomma, una serie di nomi di cibi scritti su un foglietto volante trovato in cucina è solo la lista della spesa, ma se la troviamo stampata in un libro a firma di un poeta allora è poesia.

La riflessione di Fish è affascinante e mi è tornata in mente leggendo, Buste di poesia la raccolta poetica di Emily Dickinson pubblicata da poco dal Saggiatore, che si apre con una domanda di Nadia Fusini, curatrice dell’edizione italiana: “Sono poesie queste?”.

Una domanda che potrebbe sembrare strana dal momento che stiamo parlando dei testi di una delle più grandi poetesse di tutti i tempi.

Il fatto è che i testi raccolti nel volume non rispecchiano i “normali” canoni formali della poesia (se di normalità si può parlare, soprattutto dopo la rottura degli schemi avvenuta nel ‘900), ma furono appuntati da Dickinson su pezzi di carta ricavati riciclando vecchie buste di lettere. Fogli sparsi, frammentati, dalle forme più bizzarre.

Una scelta non stranissima per chi conosce l’urgenza dello scrivere la fugacità dei pensieri che impongono di essere fissati sulla carta al più presto. Non importa dove, va bene tutto: scontrini, biglietti dell’autobus, pagine strappate dal fondo di un libro e perché no, vecchie buste.

Ed è una scelta ancor meno strana per Dickinson che, come fa notare Fusini, non corteggiò mai la forma libro e non scrisse mai per la pubblicazione, preferendo invece affidare le proprie parole a fascicoli rilegati a mano, quando non proprio fogli sparsi. Tanto che alla sua morte, il lavoro poetico di una vita (circa 1800 poesie) venne trovato in un cassetto, scritto su foglietti accuratamente ripiegati e cuciti con ago e filo.

Tuttavia, le parole annotate sulle buste sembrano andare oltre la fretta di fissare i pensieri e di trovare un pezzo di carta adatto allo scopo, come scrive Fusini: “Envelope è il termine inglese per dire «busta»; un suo sinonimo è cover. Entrambi i termini alludono con chiarezza a qualcosa che avviluppa, contiene, include qualche altra cosa. In questo senso la busta nasconde la lettera che contiene. Ma Emily che cosa fa? Apre la busta: la usa nel senso avverso alla sua programmata funzione, la rovescia, la smembra, la apre, la dispiega, la sviscera. Non è più uno scrigno. Non più uno spazio segreto. Epperò, nasconde. In un altro senso.”

Nasconde, ma anche rivela, e l’interessante scelta editoriale del Saggiatore di riprodurre le poesie sia riportando le foto delle buste di Dickinson, sia in facsimile, con la trascrizione in inglese del testo nella stessa forma in cui venne scritto a mano (è poi fornita la traduzione italiana a fondo pagina) ci dice molto del processo creativo di Dickinson, della sua minuziosa attenzione nella scelta delle parole, spesso affiancate da più di un sinonimo, e delle sue decisioni che emergono poi dalle parti cancellate, sbarrate o addirittura scartate in blocco.

Una parte del lavoro artistico che generalmente non emerge dalle edizioni finali delle opere, ma che consente a chi legge di entrare in contatto con il momento magico della creazione e avvicinarsi di più alla mente dell’artista.

Ma per tornare alla domanda iniziale, quelle che ci troviamo fra le mani leggendo il volume sono poesie? E se lo sono, lo possiamo dire solo perché le vediamo stampate in una raccolta che porta il nome di Emily Dickinson?

Fish risponderebbe di sì, ma dopo aver letto questi frammenti poetici credo che la risposta migliore sia no.

Anche senza un contesto preciso è impossibile non cogliere la Poesia (con la p maiuscola) contenuta nelle parole di Dickinson che, in questi brevi testi, lascia trasparire ancora una volta tutta la bellezza e la profondità della sua anima poetica. “La cosa più bella che abbia | mai visto | fu costruita in un’ora | da due tipi che conoscevo bene | un ragno e un fiore - | una canonica di pizzo e merletti | e luce - sole -”.

Leggi anche
Autrici
di Manuela Sicuro 4 min lettura